Triassic Park in Lombardia, migliaia di orme di dinosauri scoperte nel Parco dello Stelvio: dove si trovano e foto del ritrovamento

Un evento imperdibile a Sondrio

Orme di dinosauro nel Parco dello Stelvio © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

Sondrio, 17/12/2025.

Nel cuore delle Alpi nella Valle di Fraele, tra Livigno e Bormio (Sondrio) - luoghi che ospiteranno le gare delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 - la storia ha fatto un inatteso e straordinario dono. Nel settembre 2025, un fotografo naturalista ha individuato su estese pareti di dolomia quasi verticali, camminate di dinosauri lunghe centinaia di metri, testimonianza di un passato che risale a oltre 200 milioni di anni fa. Le orme, conservate in ottimo stato nonostante l’altitudine, mostrano tracce di dita e artigli impresse su piane di marea alla fine del Triassico.

L’area non è raggiungibile tramite sentieri, quindi per studiarle si dovranno impiegare droni e tecnologie di telerilevamento. Le foto, le prove geo-paleontologiche e i video realizzati dal Nucleo Carabinieri Parco dello Stelvio di Valdidentro sono stati presentati martedì 16 dicembre 2025 e, secondo le analisi del Museo di Storia Naturale di Milano e dell’Università di Bergamo per conto del Parco Nazionale dello Stelvio, si tratta del più importante giacimento di tracce fossili del  Triassico in Europa.

La scoperta assume un significato ancora più profondo perché avviene alla vigilia di un evento mondiale come le Olimpiadi: è come se la storia stessa avesse voluto omaggiare il più grande evento sportivo globale, unendo passato e presente in un simbolico passaggio di testimone tra natura e sport. Ma vediamo nel dettagli

Come e quando è avvenuta la scoperta

Domenica 14 settembre 2025, nel corso di un'escursione nella Valle di Fraele (Parco dello Stelvio) per fotografare cervi e gipeti, Elio Della Ferrera ha notato, con il binocolo, un versante roccioso che espoenva strati quasi verticali: quello che catturò la sua attenzione furono le numerose depressioni che percorrevano quegli strati in lungo e in largo. Alcune veramente grandi, fino a 40 centimetri di diametro, altre allineate in file parallele. Avendo a disposizione il resto della giornata, Elio decise di dare risposta, più da vicino, al dubbio che lo attanagliava: risalì faticosamente un ripido pendio e, raggiunta la base di uno degli affioramenti, si rese conto di trovarsi davanti a centinaia di orme fossili. Alcune mostravano chiare tracce di dita e di artigli: erano certamente impronte lasciate da grandi animali del passato.


La prima immagine inviata alla Soprintendenza competente da Elio Della Ferrera, scopritore del nuovo sito paleontologico. Scattata il 14 settembre 2025, inquadra il cosiddetto strato 0, che affiora sulle pareti alte delle Cime di Plator: solo qui si contano circa duemila orme fossili, in gran parte riferibili a dinosauri prosauropodi. © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

Il giorno dopo, senza quasi chiudere occhio, Elio Della Ferrera telefonò a Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, che già conosceva per via di una collaborazione precedente, per confermare questa affascinante ipotesi. Viste comparire le prime foto sul cellulare, Dal Sasso quasi non credette ai propri occhi: erano certamente orme di dinosauro, mai segnalate in precedenza. Nella stessa giornata la notizia di questa eccezionale scoperta venne comunicata alla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Como, Lecco, Sondrio e Varese, responsabile per la tutela dei beni paleontologici, che a sua volta informò la direzione del Parco Nazionale dello Stelvio, nel cui territorio ricade l’area dei ritrovamenti.

Per delimitare l’area degli affioramenti e raccogliere le prime informazioni, la Soprintendenza ha costituito un gruppo di lavoro chiedendo la collaborazione del Museo di Storia Naturale di Milano e del Parco Nazionale dello Stelvio, che prontamente si sono attivati. Il paleontologo del museo di Milano fece un primo sopralluogo accompagnato dal Nucleo Carabinieri Parco-Valdidentro, dal personale scientifico del Parco e da Elio Della Ferrera, prima che la neve coprisse tutto. Poi coinvolse l’icnologo Fabio Massimo Petti (Muse di Trento e Società Geologica Italiana), esperto in orme di dinosauro, e il geologo Fabrizio Berra (dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio, Università degli Studi di Milano), esperto della geologia locale e già rilevatore della Carta Geologica d’Italia nell’area di Bormio.

L’analisi delle carte geologiche e delle pubblicazioni più recenti indica che le orme sono conservate in rocce dolomitiche del Triassico superiore, risalenti a circa 210 milioni di anni fa. Sulle Alpi Orientali, Dolomiti incluse, sono noti diversi siti con orme della stessa età geologica, ma queste si rivelano essere le prime orme dinosauriane scoperte in Lombardia e le uniche esposte a nord di una delle più importanti faglie delle Alpi, la Linea Insubrica.


Le orme meglio conservate mostrano chiaramente i lunghi talloni, le dita e le impronte degli artigli, nonostante siano state esposte per migliaia di anni a neve e ghiaccio, anche durante le ultime glaciazioni. © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

Che aspetto hanno le orme e quali dinosauri le hanno prodotte

Le orme di gran lunga più numerose hanno una forma allungata e sono state prodotte in gran parte da animali ad andatura bipede. In quelle meglio conservate si riconoscono le tracce di almeno quattro dita. Queste caratteristiche sono più evidenti se si osservano le piste più lunghe e più isolate; dove hanno camminato molti animali le orme si confondono e spesso si sovrappongono. In alcuni casi, davanti alle orme dei piedi si trovano quelle delle mani, che sono più larghe che lunghe e più piccole. In quei punti gli animali si erano probabilmente fermati, appoggiando a terra gli arti anteriori.

Queste camminate sono attribuibili a dinosauri prosauropodi: erbivori dal collo lungo e testa piccola, che sono considerati gli antenati dei grandi sauropodi del Giurassico (come il famoso brontosauro). Di corporatura robusta, i prosauropodi possedevano artigli appuntiti sia sulle mani che sui piedi. In alcune specie, come Plateosaurus engelhardti, gli adulti potevano raggiungere una lunghezza di 10 metri.


Particolare dell’orma di un piede: la somiglianza con l’icnogenere Pseudotetrasauropus è forte ma non totale, per cui è possibile che le orme dello Stelvio appartengano a un’altra icnospecie o addirittura a una finora mai trovata in altre parti del mondo. In ogni caso l’autore doveva essere un dinosauro erbivoro simile a Plateosaurus engelhardti. © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

In Svizzera e in Germania sono stati trovati molti scheletri di plateosauro, che dunque è il più probabile responsabile (trackmaker) delle orme trovate in Val Fraele. Per le orme, però, i paleontologi usano nomi diversi rispetto agli scheletri, perché non è quasi mai possibile accertare l’esatta identità dei trackmaker. Le orme dei prosauropodi sono chiamate Tetrasauropus, Pseudotetrasauropus, Pentasauropus, Evazoum, a seconda dei dettagli anatomici mostrati. Pseudotetrasauropus è quella che più si avvicina alle orme dei dinosauri dello Stelvio. Tuttavia è anche possibile che queste orme appartengano ad una icnospecie ancora sconosciuta, cui si dovrà dare un nuovo nome. Solo le future indagini di dettaglio permetteranno di classificarle con precisione.

Gli studi previsti diranno più precisamente quali grandi rettili hanno percorso questo territorio 210 milioni di anni fa. Fra le tracce non è escluso che ci possano essere anche rettili quadrupedi simili a coccodrilli (arcosauri) e dinosauri predatori antenati del Saltriovenator, che per ora resta l’unico dinosauro carnivoro lombardo di cui si conoscono le ossa.

In quale ambiente hanno camminato i dinosauri dello Stelvio

La posizione attuale degli strati con le orme, quasi verticale, non è quella originaria ma è conseguenza delle enormi deformazioni che hanno portato alla formazione della catena alpina. Tra 227 e 205 milioni di anni fa le rocce che oggi costituiscono queste montagne si formarono come sedimenti calcarei in piattaforme carbonatiche di mare basso con ambienti simili a quelli delle aree tropicali attuali, con piane di marea che si perdevano all’orizzonte, per centinaia di chilometri.

Su queste rive lambite dalle calde acque dell’Oceano Tetide camminarono i dinosauri, imprimendo le loro orme nei fanghi calcarei. Ricoperte e protette da altri sedimenti, quelle camminate si sono conservate inalterate fino a oggi: con il sollevamento delle Alpi e l’erosione dei versanti montani sono tornate di nuovo alla luce. L’esposizione agli agenti atmosferici minaccia la loro preservazione: serviranno fondi per studiarle, valorizzarle e conservarle, utilizzando anche tecnologie di digitalizzazione.


Camminate lunghe decine di metri sono ben visibili su diverse superfici. Nel sito delle Cime di Plator le orme fossili sono impresse con evidente profondità, il che indica che i dinosauri camminarono su fanghi calcarei resi molto plastici da abbondante presenza di acqua. © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

Perché sono importanti le orme fossili scoperte nel Parco dello Stelvio

Le orme di dinosauro scoperte nel 2025 sono di grande importanza per vari motivi. Innanzitutto sono le prime scoperte in Lombardia e inoltre sono in assoluto le prime rinvenute nel Dominio Austroalpino italiano, cioè a nord della Linea Insubrica. Poi, confermano l’esplosione evolutiva dei dinosauri nell’ultima parte del Triassico superiore: il 90% delle tracce appartiene a dinosauri sauropodomorfi vissuti in un intervallo di tempo compreso tra 227 e 205 milioni di anni fa, chiamato Norico.


Dettaglio di uno strato di dolomia con le camminate di diversi dinosauri evidenziate da falsi colori. I passi lenti e cadenzati indicano una andatura tranquilla da sinistra verso destra. © Disegno di Fabio Massimo Petti su foto aeree di Giacomo Regazzoni, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc).

Da stime preliminari effettuate su base fotografica il numero di orme è stimabile in alcune migliaia. Cifre impressionanti, che derivano da tre fattori favorevoli. Il primo è l'altissima densità delle tracce (fino a 4-6 orme per metro quadrato), che non è per nulla comune: qui i dinosauri camminarono in branchi numerosi. Poi c'è la varietà dimensionale delle orme, ovvero compresenza di orme grandi, medie e piccole che aumentano numero e densità delle tracce, testimoniando una varietà di taglia dei trackmaker. Terzo fattore è l'estensione spaziale del sito fossilifero: le superfici di strato dinoturbate affiorano su almeno sette crinali diversi, con decine di strati sovrapposti che emergono dai detriti di frana fino alle creste delle Cime di Plator e di Cima Doscopa, lungo la Valle di Fraele sulla sponda meridionale dei Laghi di Cancano. Ad oggi si contano circa trenta punti di affioramento, distribuiti su una distanza di quasi cinque chilometri. Il complesso Plator-Doscopa è dunque uno dei siti a orme di dinosauro più ricchi ed estesi del mondo, almeno per il periodo Triassico.


Il complesso delle cime Plator-Doscopa visto dalla riva nord dei Laghi di Cancano, che si trova a 1960 metri di altitudine. Gli affioramenti con le orme dei dinosauri, mai viste sino ad ora, sono distribuiti lungo sette crinali a quote comprese tra i 2400 e i 2800 metri, per quasi cinque chilometri. Per questo si parla di valle dei dinosauri. © Cristiano Dal Sasso, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

Cosa dicono gli esperti

«Questo luogo era pieno di dinosauri, è un immenso patrimonio scientifico», afferma Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano: «le camminate parallele sono prove evidenti di branchi in movimento sincronizzato e ci sono anche tracce di comportamenti più complessi, come gruppi di animali radunati in cerchio, forse per difesa. Dopo trentacinque anni di attività non avrei mai immaginato di trovarmi davanti una scoperta così spettacolare, nella regione in cui vivo: incredibilmente anche in Lombardia ci sono luoghi ancora inesplorati, remoti nel tempo e nello spazio».

«Le orme sono state impresse quando i sedimenti erano ancora soffici e saturi d’acqua, sulle ampie piane di marea che circondavano l’Oceano di Tetide», spiega Fabio Massimo Petti, icnologo del Muse di Trento ed dditorial manager della Società Geologica Italiana: «la plasticità di quei finissimi fanghi calcarei, ora divenuti roccia, ha talora permesso di conservare dettagli anatomici delle zampe davvero notevoli, come le impressioni delle dita e persino degli artigli».

Fabrizio Berra, geologo del dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio dell’Università degli Studi di Milano, sottolinea: «sulle pendici delle Cime di Plator affacciate verso i Laghi di Cancano affiorano rocce sedimentarie dolomitiche del Triassico superiore, note con il nome di Dolomia Principale, chiamata anche Dolomia del Cristallo nel settore dell’Alta Valtellina. Risalgono al Norico, una epoca che durò oltre venti milioni di anni, da 227 a 205 milioni di anni fa e siccome gli strati con le orme sono diversi e sovrapposti, abbiamo una occasione unica di studiare l’evoluzione nel tempo degli animali e del loro ambiente, leggendo le pagine di un libro di pietra».


Scheletro di Plateosaurus engelhardti esposto nella sala dei  inosauri del Museo di Storia Naturale di Milano. È il calco di un esemplare ritrovato in Germania, dove se ne trovano molti. Le terre emerse della Lombardia triassica erano collegate con l’attuale centro-Europa. Nella foto, da sinistra a destra: Cristiano Dal Sasso (Msnm), Fabrizio Berra (UniMi), Fabio Massimo Petti (Muse/Sgi) e Elio Della Ferrera (fotografo naturalista professionista). © Elio Della Ferrera, Arch. PaleoStelvio (Pns; Msnm; Sabap Co-Lc)

«La scoperta di questo eccezionale affioramento, che si aggiunge al sito Unesco di Monte San Giorgio e al recente rinvenimento della Val d’Ambria, sottolinea il ruolo chiave del territorio della Lombardia settentrionale per la tutela, lo studio e la valorizzazione del patrimonio paleontologico, ambito che rientra nelle competenze del Ministero della Cultura al pari delle altre tipologie di beni quali quelli archeologici, monumentali, storico-artistici e paesaggistici», aggiunge Beatrice Maria Bentivoglio-Ravasio, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Como, Lecco, Sondrio e Varese.

«Una scoperta eccezionale in un luogo eccezionale», commenta Franco Claretti, direttore dell’area lombarda del Parco Nazionale dello Stelvio: «già da qualche anno la Valle di Fraele riserva scoperte e riscoperte storiche e archeologiche che ci stanno permettendo di ridare vita al passato storico, dal medioevo fino alla storia recente, della valle. Questa nuova, sensazionale scoperta aggiunge ancora più fascino a un luogo di grande bellezza. Apre orizzonti di tempo di centinaia di milioni di anni e ci permette di sapere quali animali incredibili vivevano qui, quando i nostri monti ancora non esistevano e qui c’erano vastissime spiagge marine. Si aggiunge così un nuovo elemento per la conoscenza del territorio e per la sua valorizzazione. Nostro compito, nei prossimi anni, sarà di contribuire alla ricerca scientifica e, soprattutto, quello di inserire questo nuovo elemento di conoscenza e di fascino nelle
azioni di valorizzazione della Valle di Fraele».

Lo scopritore del sito Elio Della Ferrera, fotografo naturalista professionista, aggiunge infine: «la speranza che una scoperta di tale rilevanza possa stimolare una riflessione in tutti noi, evidenziando quanto poco conosciamo dei luoghi in cui viviamo: la nostra casa, il nostro pianeta. L’eccezionale scoperta può rappresentare anche uno stimolo nel sostenere in maniera adeguata la ricerca e la divulgazione su questi temi, contribuendo alla promozione culturale in luoghi di montagna e favorendo di conseguenza la presenza di popolazioni stabili».

Di R.M.

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