In provincia di Asti è operativo un piano strutturato per la gestione e la riduzione di alcune specie animali la cui proliferazione eccessiva sta creando problemi ambientali e igienico-sanitari. L’intervento non riguarda soltanto i piccioni, ma anche cinghiali, caprioli, corvidi, minilepri e nutrie. L’obiettivo dichiarato è contenere l’impatto sul territorio e tutelare sia la salute pubblica sia l’equilibrio degli ecosistemi.
Il tema più discusso resta quello dei piccioni, soprattutto nei centri abitati. Nei punti con la maggiore concentrazione saranno installate gabbie di cattura, come spiegato dal consigliere provinciale con delega alla caccia Davide Migliasso. All’interno delle aree urbane non è consentito l’uso di armi da fuoco, mentre al di fuori dei perimetri cittadini potranno intervenire le guardie faunistiche e i privati in possesso di porto d’armi e patentino per il contenimento, ottenuto dopo un corso di formazione organizzato dalla Provincia.
Il censimento provinciale conferma numeri elevatissimi: ad Asti si stimano 14.000 piccioni per chilometro quadrato, seguita da Castelnuovo Don Bosco (10.000), Isola d’Asti (3.000) e Nizza Monferrato (1.900). Anche centri più piccoli come Bubbio (1.844) e Monastero Bormida (1.500) mostrano densità rilevanti, mentre nelle zone più alte della Langa Astigiana, come Vesime e Cessole, il fenomeno è marginale.
La questione ha generato un acceso dibattito che da ambientale si è rapidamente spostato sul piano politico. Maria Ferlisi, capogruppo PD in Consiglio comunale ad Asti, ha presentato un’interpellanza per sollecitare interventi di contenimento, definendo la situazione un serio problema di igiene pubblica. L’associazione ambientalista SEqus ha invece criticato la proposta, giudicandola ideologica e irrilevante rispetto alle principali criticità ambientali della città, sottolineando che “in una città inquinata come Asti, il guano dei piccioni è l’ultimo dei problemi”.
Il piano provinciale non si limita agli uccelli. Il censimento del settore caccia ha rilevato la presenza di 7.899 cinghiali e 568 caprioli, oltre a migliaia di corvidi, minilepri e nutrie. Anche per queste specie sono già stati avviati piani di abbattimento controllati.
Come per i piccioni, possono partecipare solo persone in possesso di porto d’armi, autorizzazione specifica e attestato di frequenza a un corso di formazione. Per le nutrie, in particolare, sono in corso serate informative per ottenere il permesso di intervento.
Originaria del Sud America e introdotta in Italia per l’allevamento a fini di pellicceria, la nutria – spesso scambiata per un grosso ratto – si è diffusa rapidamente dopo la chiusura degli allevamenti, colonizzando argini, canali e aree agricole, con conseguenze negative su ecosistemi e infrastrutture idrauliche.
Il confronto tra posizioni opposte resta acceso: da un lato chi chiede il massimo rispetto per la biodiversità, dall’altro chi evidenzia la necessità di un controllo attivo per ridurre rischi sanitari e danni all’agricoltura.
La Provincia difende il piano come uno strumento regolamentato e riservato a operatori formati e autorizzati. Migliasso ribadisce che non si tratta di caccia indiscriminata, ma di un contenimento mirato e necessario per mantenere l’equilibrio del territorio.
Di Giulia De Sanctis