Il caso Zanfretta: siamo veramente soli nell'Universo? Il sesto e ultimo episodio

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Genova, 19/08/2025.

Come dice Rino Di Stefano, il giornalista che ci ha accompagnato nella ricostruzione a episodi del caso Zanfretta: «Gli avvenimenti che hanno coinvolto il metronotte genovese sono considerati a livello mondiale tra i 10 casi più importanti mai avvenuti».

Proviamo a immaginare cosa potrebbe essere successo, ad esempio, durante il primo presunto incontro tra il metronotte Pier Fortunato Zanfretta e queste creature venute dallo spazio: è notte fonda, di un freddo dicembre del 1978, e tra le stradine di campagna dell'entroterra genovese, nella zona di Torriglia, si notano delle luci che provengono da una villetta in quel momento disabitata. Zanfretta, in forze all'istituto di Vigilanza Val Bisagno, pensa a dei ladri e si avvicina per fare il suo dovere: da lì in poi la sua vita cambia, perché lo spintone che sente e che lo fa cadere a terra non è il movimento violento di un malintenzionato, ma di un essere alto tre metri, dalle fattezze non umane e - presumibilmente - dalle intenzioni poco amichevoli (qui il resoconto completo del primo episodio).

Da questo momento in poi si susseguono altri incontri, presunti rapimenti, sparatorie, sedute di ipnosi regressiva e il coinvolgimento di Polizia e Magistratura, intervenute a seguito di una denuncia sporta proprio dall'Istituto di Vigilanza Valbisagno dopo l'aggressione subita dal suo dipendente. Le zone in cui si svolgono i fatti, che testimonierebbero un contatto con gli alieni, spaziano dalle vicinanze di Torriglia, come nella zona di Rossi, dove avvenne il secondo episodio, fino ai piedi del Monte Fasce, luogo in cui Zanfretta venne ritrovato in stato di totale confusione mentre correva in direzione di Uscio. Fallarosa, di nuovo nell'entroterra e a pochi chilometri dal luogo del primo presunto rapimento, fu sede di uno degli episodi più inquietanti, che coinvolse anche i colleghi di Zanfretta. Lumarzo non fu da meno, visto che fu teatro di un altro presunto contatto di cui si riscontrarono tracce anche nella Fiat 127 di servizio, a cui l'Istituto Val Bisagno aveva applicato dei lacci d'acciaio tra la carrozzeria e gli assi dei mozzi ruota, che quella notte si spezzarono di netto, come se il mezzo fosse stato sollevato da terra.

Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, Pier Fortunato Zanfretta fu protagonista (e vittima, ndr) di molti incontri ravvicinati. Il numero esatto si perde nei meandri del tempo e dei racconti: «Zanfretta oggi è un'altra persona, che non ha niente a che vedere con l'uomo che era all'epoca. Molto di ciò che racconta ora non è più attinente a quella che è stata la realtà dei fatti. Alcuni testimoni sono ancora in vita e possono confermare che purtroppo certe cose di cui ora parla non sono mai avvenute».

Di Stefano, inoltre, sottolinea: «Come giornalista ho sempre cercato storie da raccontare. Nel caso di Zanfretta, ho notato fin da subito che le sue disavventure celavano qualcosa di incredibile. Il fatto poi che molti testimoni si siano avvicinati a questa storia (i cinquantadue che affermarono di aver visto qualcosa la notte del primo presunto incontro, ndr) e che la Magistratura si sia voluta interessare di questa vicenda mi diede la conferma che fosse necessario seguire questo caso. Io non saprei dire esattamente cosa, ma qualcosa è successo. Credo di poter affermare di avere vissuto un'esperienza che ben poche persone possono sperimentare nel corso della vita».

È necessario anche ricordare che i fatti di cui abbiamo parlato sono accaduti alla fine degli anni Settanta, quando l'Italia e quindi anche Genova erano sconvolte quasi quotidianamente dalle stragi di stampo brigatista: quando un giornalista come Rino Di Stefano, abituato a coprire avvenimenti così tragici, e un metronotte come Pier Fortunato Zanfretta, che più di una volta aveva affrontato vis à vis un tipo di deliquenza spietata come quella che si aggirava all'epoca degli anni di piombo, raccontano una storia come questa, meritano di essere ascoltati e rispettati.

Tutto ciò conduce a una domanda. Perché non abbiamo interpellato il diretto interessato, ossia Pier Fortunato Zanfretta? La nostra intenzione, nel nostro viaggio insieme a Enrico Pietra, esperto conoscitore del caso Zanfretta, era quella di raccontare una serie di fatti di cronaca che riguardarono un nostro concittadino, Genova e il nostro entroterra, con un metodo quasi scientifico: raccolta di foto e video di archivio, sopralluoghi e ricostruzione dei fatti in maniera cronologicamente e narrativamente coerente, per quanto possibile, vista la natura dell'argomento. Abbiamo quindi preferito non disturbare il signor Zanfretta per proteggerlo ed evitare incongruenze in un racconto che, come per la persona che ne é stata protagonista, merita rispetto.

A proposito di tutela: «Mio padre ci ha sempre lasciato fuori, per salvaguardaci», ci ha raccontato il figlio Fabio. Crescendo, però, mi sono avvicinato a lui, l'ho sempre seguito, sostenuto. Rimane il fatto che io sono solo uno spettatore, come mia mamma, le mie sorelle. Una situazione del genere, sicuramente, non giova ai rapporti famigliari».

«Questa storia ci ha procurato solo dei danni», continua Fabio Zanfretta. Ricordo il telefono che squillava continuamente, le prese in giro. Ecco, io credo che mio padre abbia voluto tenerci fuori proprio per questo motivo, per far sì che le persone lasciassero in pace almeno noi».

Termina così il nostro racconto a episodi, che ci lascia con molte domande, tra cui quella che forse accompagna intrinsecamente tutta l'Umanità: siamo veramente soli nell'Universo?

Di Paola Popa

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