Milano, 22/11/2019.
Venerdì 29 novembre 2019 è stato indetto il quarto sciopero globale per il clima. In programma manifestazioni in tantissime città d'Italia e del mondo per dimostrare contro l’inadempienza della politica e dell’amministrazione pubblica di fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. Siamo giunti al quarto capitolo della mobilitazione globale per la crisi climatica e ambientale, iniziata con le dimostrazioni silenziose della giovane svedese Greta Thunberg e trasformatasi in un fiume di gente che non ci sta più.
A pochi giorni dalla Cop25 a Madrid - la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - il mondo scende in piazza per chiedere giustizia climatica. Anche Milano fa la sua parte e scende in strada per «cambiare questo sistema ingiusto», come recita l’evento Facebook ufficiale.
Ma perché è così importante partecipare? Ne abbiamo parlato con Federica Ceragioli, 22 anni, studentessa di Ingegneria Ambientale al Politecnico di Milano, che fa parte di Milano per il Clima, una delle maggiori realtà cittadine nella lotta al cambiamento climatico assieme a Fridays for Future.
Federica, cos’è Milano per il Clima?
«Milano per il Clima è una rete aperta e di coordinamento tra varie associazioni e movimenti che si battono per le cause ambientali e climatiche. È una struttura nata per facilitare la collaborazione tra soggetti che lottano per la causa ambientale, ma non solo. Siamo infatti uno spazio dentro a cui organizzazioni che lavorano su progetti non strettamente legati al clima e che ora invece vogliono mettere un focus sull’ambiente, come Mani Tese, trovano la struttura per farlo assieme ad altri».
Come è nato questo movimento?
«Due anni fa c’è stato un primo tentativo di coordinamento cittadino sotto il nome di Tavolo Universitario Ambiente. Qui ci siamo resi conto che mancava una piattaforma comune, uno spazio di confronto tra le varie associazioni il cui lavoro rischiava quindi di accavallarsi e risultare meno efficace. L’obiettivo con cui è nato il movimento Milano per il Clima è quello di creare una rete di contatti tra i vari soggetti che operano sul territorio per la stessa causa senza però parlarsi. Con una rete e movimento comune ed inclusivo siamo riusciti a realizzare azioni di grande impatto».
L’impatto di cui parli, lo vedi nella realtà quotidiana sociale e politica?
«Milano è stata la seconda città in Italia a dichiarare lo stato di emergenza climatica. Le politiche implementate da parte del Comune, però, non paiono rispecchiare lo stato di emergenza dichiarato. Ci sembra che l’amministrazione pubblica continui a mettere il profitto economico prima dell’interesse e del benessere della città e dei suoi cittadini. Dimostrazione di ciò è il caso del Giardino comunitario Baiamonti, esempio lampante di consumo di suolo da parte dell’amministrazione: il giardino, un tempo parte di un progetto cittadino di rigenerazione urbana di quartiere, oggi fa parte del nuovo progetto di piazzale Baiamonti e quindi destinato a trasformarsi nella piramide gemella della Fondazione Feltrinelli. Allo stesso tempo la proposta del ministro Fioramonti di inserire contenuti di Educazione Ambientale nel curriculum scolastico mi dà grande fiducia. È fondamentale inserire questi contenuti nei programmi scolastici: i rischi e le conseguenze legate all’inquinamento climatico e a un sistema produttivo non sostenibile sono cose di cui siamo a conoscenza da decenni, la gente è disinformata ed è per questo che ci stiamo mobilitando così tardi».
Ed è per questa disinformazione e inazione che succedono emergenze come quella di Venezia?
«Esatto, in Italia abbiamo già raggiunto 1,5 gradi in più rispetto ai livelli pre-industriali. Con questo ritmo tante città sulla costa sono destinate a scomparire. I decisori politici e le amministrazioni devono cominciare a prendere seriamente i dati scientifici e le proiezioni ed agire di conseguenza. La scienza ha fatto la sua parte, ha avvertito. Non capisco perché non ci sia una risposta politica. E non c’è stata perché quel che sta succedendo a Venezia non è un’eccezione ma la naturale conseguenza di quello che abbiamo creato».
Quindi Milano scende di nuovo in piazza per «cambiare questo sistema ingiusto». Cosa vi aspettate dalla manifestazione di venerdì 29 novembre?
«Un bilancio piuttosto positivo, nonostante il probabile maltempo. Milano è ancora molto attiva da questo punto di vista. L’interesse non è sceso e i cittadini sono molto partecipi e attenti alla questione».
Come si organizzerà la manifestazione del 29, saranno sempre due manifestazioni separate? Il corteo studentesco di Fridays for Future la mattina e il corteo serale di Milano per il Clima?
«Venerdì 29 novembre ci sarà solo una manifestazione, a differenza dei precedenti scioperi: quella della mattina, organizzata da Fridays for Future. A questo corteo parteciperà anche Milano per il Clima, non come rete ma singoli, per un motivo deontologico di Fridays che non vuole rivendicare la manifestazione come sua. La giornata però è pensata insieme. Seguono alla manifestazione attività in piazza organizzate fino a tardi: quiz ambientali a tema cambiamento climatico, musica, interventi di contenuto delle varie associazioni, attività e giochi per i bambini e uno swap party: uno scambio di vestiti seguito da una sfilata - informale e giocosa - con quegli stessi abiti, in contrasto con il Black Friday, in programma quello stesso giorno, per lanciare una sfida ad essere più minimal, più sostenibili».
Perché gli scorsi scioperi erano organizzati in due manifestazioni differenti?
«I rapporti con Fridays for Future Milano sono sempre stati ottimi e di grande cooperazione. Ma abbiamo idee diverse riguardo la struttura dei nostri movimenti: Fridays è un movimento apartitico e di singoli, non di gruppi, associazioni o sindacati che non vuole bandiere, mentre Milano per il Clima è una rete di associazioni. La divisione degli scorsi scioperi in due momenti diversi è stata fatta non per differenze di idee ma per una questione di principio: volevamo dare la possibilità di partecipare anche a coloro che - per qualsivoglia motivo - non possono saltare il lavoro, e quindi creare uno sciopero inclusivo per tutti».
Dici che i cittadini sono partecipi e attenti alla questione ambientale, ma cosa può fare un milanese per salvare il pianeta?
«Bisogna focalizzarsi molto sulle proprie scelte personali, guardare tutto quello che facciamo con occhio critico e chiederci sempre cosa implicano le nostre azioni. Nel concreto inizierei sicuramente con l’implementare l’uso di trasporti pubblici e mezzi di mobilità sostenibile, come la biciletta. E poi ragionare sui nostri acquisti, dai vestiti ai prodotti detergenti e privilegiare i negozi leggeri e i mercati agricoli. Insomma, minimizzare la nostra impronta ecologica, anche nella nostra dieta. È necessaria più consapevolezza da parte di tutti noi per fare pressione e cambiare la situazione».
E Milano fa la sua parte?
«Il Comune sta dimostrando buone intenzioni nel farsi e vedersi leader della conversione verso un sistema più sostenibile. Milano è sempre propositiva e innovativa, però deve fare di più, e più velocemente. Bisogna alzare l’asticella ma soprattutto bisogna ascoltare i nostri movimenti, che non sono solo di protesta. Siamo propositivi e molto competenti: tra di noi ci sono scienziati, ingegneri e membri della comunità scientifica e per questo dobbiamo essere non solo ascoltati ma anche coinvolti. Io mi sono impegnata molto in questi anni a rendere mie scelte personali consapevoli, e ho messo in discussione il mio stile di vita, ora tocca alla politica mettere in discussione il suo».
Di Angelica Pansa