Magazine, 01/03/2018.
‘O Padreterno non è mercante, ca pava ‘o sabbato
La prefazione del secondo volume dedicato al Commissario Ricciardi, La Condanna del Sangue (Sergio Bonelli Editore – 174 pp, 19 euro), è fatta da Ricciardi con le parole utilizzate dal suo padre letterario Maurizio De Giovanni. Una pagina che si presenta come una bella confidenza. Nella sua premessa Ricciardi rompe la quarta parete del fumetto, quella che separa lettore e oggetto della lettura, creando una corrispondenza con chi lo legge.
Poche righe per una riflessione sul proprio stato di personaggio letterario che si trasfigura in personaggio a fumetti trovando nella sua immagine disegnata, finalmente, il proprio volto.
Io mi sono ritrovato, e ho preso un altro po’ di coscienza della mia identità
Ne Il Senso del Dolore De Giovanni, coadiuvato dalla scrittura di Claudio Falco, presentava il suo Commissario ad un pubblico nuovo, esplorando il media fumetto. Il primo volume, la prima stagione del Commissario Ricciardi, è un lavoro capace di mostrare i pregi del racconto di De Giovanni, dalla Napoli fascista al teatro passando per la nobiltà partenopea, il bar con le sfogliatelle consumate assieme al Dottor Modo, Maione e il suo lutto senza pace; un affresco ricco di sfumature, capace di catturare l’attenzione quel tanto da lasciare la voglia di rivedere Ricciardi e la sua Napoli anni trenta nel nuovo capitolo. Una città ricca di meraviglia e meschinità, vivace tanto in vita quanto in morte con i fantasmi pronti a raccontare a Ricciardi quel che i vivi tacciono.
La Condanna del Sangue è una promessa mantenuta. Dopo lo zaffiro che colorava l’Inverno, è il turno dello smeraldo per vestire la Primavera. Le lettura svela un racconto corale, nel quale è facile intuire la grande voglia di raccontare l’animo umano. I personaggi in scena si rincorrono in nome di un amore desiderato, perso, inseguito, annegato. La primavera è la stagione del risveglio delle passioni, non solo quelle nobili. Ancora una volta Ricciardi si trova ad essere indagatore, un nuovo omicidio efferato sulla sia strada, ma anche e soprattutto esploratore dell’anima di una città che lo spaventa e attrae.
Abbiamo fatto qualche domanda a Sergio Brancato, la cui sceneggiatura ha consentito l‘incontro tra la penna di De Giovanni e i disegni di Lucilla Stellato, protagonista di una lunga intervista in appendice al volume
«Sceneggiare un romanzo – racconta Brancato – che sia per trarne un film quanto un fumetto, richiede la capacità di attraversare le differenze di linguaggio. Con un romanzo puoi prenderti un sacco di libertà, lasci suonare le parole dentro una struttura di contenimento abbastanza elastica, nell'insieme poco costrittiva, fatta di descrizioni e dialoghi. Ma quella stessa materia narrativa richiede molto più rigore se devi spalmarla nella griglia del fumetto, con un numero esatto di pagine, con un tot di vignette dentro ogni tavola, con il rispetto che devi all'architettura della parte grafica».
Alla sfida rappresentata dalla traduzione di linguaggi, dare
forma e disegno alle parole del romanzo, si è aggiunto, racconta
Sergio, un elemento ulteriore.
«Quando sei anche personalmente amico dell'autore del
romanzo, proprio come capita a me con Maurizio, devi porti il
problema di rispettare la forma originaria del testo.
Insomma, è un continuo stare in equilibrio tra il romanzo, la
necessità produttiva di allestire un fumetto appassionante per il
lettore, l'esigenza di essere anche tu autore... di lasciare la
tua impronta all'interno del processo creativo».
Il risultato dell’incontro dei due è un volume che celebra il romanzo da cui è tratto senza restarne prigioniero. I disegni di Lucilla Stellato consegnano al lettore un Ricciardi affascinante, dallo sguardo intenso, carismatico eppure fragile. A vestire il tutto, il verde.
«Fa parte del progetto originario delle Stagioni del Commissario Ricciardi a fumetti. Insieme al direttore della Scuola Italiana di Comix di Napoli, Mario Punzo, vero soggetto propulsore di questa avventura, noi sceneggiatori - Claudio Falco, Paolo Terracciano ed io - pensammo alla possibilità di assegnare una dominante cromatica ad ogni singola stagione dei primi quattro romanzi di Maurizio. Il verde del volume realizzato da Lucilla, me e gli altri collaboratori - e qui vanno lodati soprattutto i coloristi Ylenia Di Napoli e Andrea Errico, coordinati da Giuseppe Boccia - rientra in questa scelta estetica finalizzata a rendere colore e sapore del racconto di de Giovanni, il cui sottotitolo è appunto la primavera del commissario Ricciardi».
Il personaggio di De Giovanni è un eroe Bonelliano sotto molti aspetti. Un antieroe che vive il suo stato, il suo potere di vedere i morti, come una maledizione, un morbo capace di condizionare non solo il suo lavoro ma tutta la sua vita. Un personaggio tormentato del quale colpisce, più che il suo rapporto coi fantasmi di Napoli, l’amor cortese che pratica nei confronti di Enrica, la sua timida e affascinante vicina di casa.
«Ricciardi – osserva Brancato – è sintesi virtuosa tra poliziesco, horror, melò e romanzo storico. Un mélange complesso che la penna di de Giovanni ha saputo rendere armonioso e attraente: non ci spiegheremmo, altrimenti, il suo enorme successo di pubblico. In un noir, poi, il tormento del protagonista è l'inevitabile correlato del sentimento disperato che caratterizza il genere sin dalle sue origini alla metà del Novecento: nella crisi della modernità che intravede le ombre del proprio crepuscolo – aggiunge -, l'eroe noir testimonia la condizione dell'uomo contemporaneo, dell'individuo metropolitano che ha in sé il germe del totalitarismo e i mattatoi dei campi di sterminio».
L’Italia di Ricciardi è quella fascista e del fascismo riveste il senso di decadenza, o follia collettiva, che il ventennio ha rappresentato. «Per far muovere Ricciardi in maniera credibile sulla scena della storia moderna, dobbiamo sempre considerare che la sua quotidianità è situata sul confine di una follia tanto individuale quanto collettiva. Perfino l'amore per Enrica non può non essere il riflesso di un'angoscia irredimibile».
I due si osservano attraverso le finestre dei loro appartamenti in un continuo dialogo di spalle. Si rincorrono e si amano, ma fuggono l’un l’altra non appena il destino li porta a condividere lo stesso spazio. L’amore. Se c’è un sentimento declinato ne La condanna del Sangue, al di là del titolo, è proprio l'amore. Di Ricciardi si è detto, ma nel racconto declinato da Brancato tutti i personaggi in scena vivono una propria condizione amorosa. Colpisce il rapporto sospeso tra il brigadiere Maione e sua moglie, un personaggio di una purezza unica, ma non solo; tutti i personaggi hanno un loro modo di affrontare il risveglio delle emozioni.
«La primavera di Ricciardi vede il risveglio dell'amore ma conferma anche che nessun sentimento umano ha un solo volto. L'amore di Lucia per Maione si risveglia quando lei si rende conto che non è possibile vivere nel rimpianto per la morte del figlio Luca, dunque l'amore materno - e la disperazione per una perdita irrimediabile - deve fare i conti con la vita e la necessità di andare avanti. Anche gli altri personaggi mostrano l'ambiguità sostanziale dell'amore, perfino dell'amore materno o filiale. La primavera, in questo caso, simboleggia il risveglio della brama di vivere ma anche le sue contraddizioni».
Un racconto corale, nel quale emerge con forza la figura della vedova Filomena, un personaggio tanto intenso che sembra faccia fatica a stare nel volume, una donna che combatte quotidianamente in un mondo di uomini e della quale non è possibile non innamorarsi.
«Filomena Russo è certamente un gran personaggio, sin dal romanzo. Una donna condannata – un po' come Ricciardi stesso – a vivere una condizione di perenne tormento. Ma mentre il commissario è condannato a vedere l'orrore della morte violenta, senza potersene sottrarre, Filomena sconta gli effetti sugli uomini della propria straordinaria bellezza. Il suo dono diviene la pena da portare, la minaccia da cui difendersi, giungendo all'atto estremo di rinunciare ad esso pur di essere lasciata in pace. Le bellezza come un fardello del quale liberarsi per diventare normale.
La soluzione che trova è difficile e cruenta – pagine drammatiche e intense quelle che la riguardano – ma rappresenta comunque una soluzione... a ben guadare una simile occasione, ovvero il ritrovato sollievo della normalità, a Ricciardi è negato. Il Commissario è quindi un eroe tragico - forse l'ultimo credibile eroe romantico - destinato a muoversi in un mondo oscuro e freddo sognando la pace e l'amore, tutto ciò che gli è negato dalla Condanna del Sangue a cui il titolo si riferisce. Questa disperazione esistenziale è tuttavia la forza dirompente del suo personaggio, il segreto del suo appeal sul pubblico del nostro tempo».
Ricciardi come eroe romantico, circondato da personaggi dalla grande struttura emotiva e tremendamente vivi. Vivi come solo un romanzo può raccontare, come solo un fumetto può mostrare.
Di Francesco Cascione