Come fatto a maglia il teatro di Deflorian e Tagliarini

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Genova, 23/02/2018.

Si avanza per tentativi in Reality, o almeno così appare. A scena aperta Daria Deflorian e Antonio Tagliarini creano la messa in scena di una persona che muore per strada di infarto. Come si cade? Come si muore? Per strada poi? Fai il passante. Eh, ma non è semplice. E tu, come si dice, datti un compito e poi voltati all'improviso così ti sorprendi davvero. Ma tu hai mai visto qualcuno morto per strada? No. Sì, ho messo la testa dentro il finestrino della macchina, erano tutti morti. C'era il silenzio, sai, quello della morte.

In Reality come in un infantile facciamo-finta-che, Deflorian/Tagliarini sembrano goffamente attrezzarsi di fronte a un'idea complicata e tabù: la morte; la morte in scena; il morto in scena quale elemento catalizzatore di uno sguardo morboso; la morte come azione, la caduta nella fitta di un attacco imprevedibile che coglie il corpo all'improvviso. Sì, ma come? Messa a nudo l'arte dell'andare in scena produce momenti estremamente comici e il pubblico ride istintivamente nonostante il tema. Lo spettacolo è in scena ancora solo stasera, 23 febbraio 2018, al Teatro dell'Archivolto - ore 21.

Proposto a partire dal momento artigianale, contesto di un agire ingenuo e sincero, dalle fasi di montaggio dell'interpretazione, ogni inadeguatezza ogni dubbio va a marcare il senso profondo dell'azione e al contempo lascia scoperti i lati buffi e ingrati mentre l'una osserva l'altro alla prova e viceversa: Ma sì, sembra un attacco acuto di gastrite... Vabbé allora fallo tu, dai. Il montaggio dello spettacolo, la sua ideazione non è però trama a sé. Piuttosto è struttura che racconta un testo ellittico, in cui una mole inverosimile di dati non ha vestito emotivo, né commento morale a cui l'interpretazione può o potrebbe in qualchemodo appiggliarsi. Il sottotesto? Non è dato.

A mano a mano il progetto drammaturgico cresce, punto dopo punto, in una maglia, precisa, disegnata ad arte e composta di sorprendenti immagini, evocazioni, simboli. Deflorian/Tagliarini insieme inanellano un tessuto di episodi, a partire dalla morte appunto, di una donna polacca di nome Janina Turek. Si tratta di una storia vera ma soprattutto della storia di una vita conservata in 748 quaderni in cui Janina Turek "per oltre cinquant’anni ha annotato minuziosamente i dati della sua vita: quante telefonate ha fatto, quanti regali ha ricevuto, quante volte ha acceso e spento la tv, quante volte è andata a teatro". Ritrovati nel 2000 dalla figlia, la storia è stata raccontata in un reportage Kaprysik. Damskie historie da Mariusz Szcygiel, giornalista e scrittore polacco e pubblicata in Italia da Nottetempo (2012) e Deflorian/Tagliarini hanno deciso di portarla a teatro.

In poco più di 40 minuti una donna il cui aspetto, la cui dimensione affettiva, i cui gusti ci sono ignoti va in scena alternativamente nel corpo di Deflorian e Tagliarini. La sfida è tracciare momenti dell'immaginario di Janina. Recuperare visioni e relazioni intime. Al di là di quegli asciutti e mostruosi dati che tanto meticolosamente lei ha appuntato sulla carta: pranzo 2124; persone viste di sfuggita 3605; lettura 2435, Zelda; visita annunciata o non annunciata e ancora numeri, numeri sempre più mostruosi 54921, 7713, 70042 film. Janina registra solo quello che succede a lei, ogni pasto per esempio è tracciato solo per quello che lei mangia da cui si evince una sola dimensione, la più basica dell'evento. Quello che fa è scritto. Quello che non fa più è quello su cui smette di appuntare dati: Dal 1997 ha smesso di andare in chiesa perché non registra più la sua elemosina. Janina i scrive anche delle cartoline: unico momento in cui diventa chiaro cosa passi per la testa di questa donna, quali pensieri, quali immaginario.

Allora gli oggetti diventano altro: questa tazza di caffé nero è la registrazione di una consumazione. No, è quel giorno in cui il marito la lascia. Un margine di interpretazione, sempre asciutta e discussa, o meglio messa in discussione dagli interpreti, si manifesta in scena. Un'altra versione è però ugualmente possibile. Questa è una poltrona con telecomando. No, è una domenica in cui tu sei sola e immagini qualcosa seduta sulla tua poltrona. Che poi di domenica in Tv non c'è mai niente. Che ore sono? Le tre. Che ore sono? Le tre e venti. 

L'espediente degli attori in prova diventa canale attraverso l'interazione le ipotesi di pensiero e immaginario prendono forma, sempre però da aggiustare, dunque fatta imperfetta perché impossibile restituirla realmente se non infarcendola del proprio vissuto. Del proprio sentire in possibili condizioni di età simili.

Quanto mi piacerebbe ogni tanto morire cinque minuti. Sai così nessuno ti può chiedere niente: Scusa, non vedi che sono morta, ora non posso. Poi però lo so morirei con un ciuffo di capelli in faccia, una noia da morire.

Un lavoro di imprecisione sofisticato per la creazione di una maglia intelligentemente larga e casereccia i cui fili sono gli stessi interpreti che si prestano a annodare appunti, momenti storici, a partire da numeri aridi che però raccontano comunque una vita intera nelle sue inevitabili sofferenze Auschwitz, il divorzio, la solitudine nonostante i figli.

Da non perdere.

giovedì 22 febbraio ore 19.30 | venerdì 23 febbraio ore 21

@ Teatro dell’Archivolto | Teatro Modena 
Piazza Modena 3 Genova

Reality
a partire dal reportage omonimo di Mariusz Szcygiel
ideazione e performance Daria De Florian e Antonio Tagliarini
disegno luci Gianni Staropoli
produzione A.D., Festival Inequilibrio / Armunia, ZTL-Pro
in collaborazione con Fondazione Romaeuropa e Teatro di Roma

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