Residenza Arcadia, la vita in un condominio a fumetti

Magazine, 16/06/2017.

Chiunque viva in un condominio sa bene che si tratta di un microcosmo, un universo intero fatto di rapporti precari, pareti troppo sottili ed orecchie troppo grandi. In un condominio crescono come gardenie risentimenti, invidie, ma anche uno stravagante, non necessariamente sano, senso di appartenenza. I membri di un condominio sono una famiglia, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Daniel Cuello, argentino, italiano, cosmopolita per destino e fumettista per scelta, ha raccontato quel mondo in Residenza Arcadia (ed Bao 176 pp – 20 euro), unendo volontà di allegoria ad una capacità comica dall’apparente cinismo messa in mostra anche nelle tavole che tappezzano il suo Blog.

Cuello ha un tratto personale: curve morbide, visi rugosi densi di capacità espressiva, colori nel quale dominano quelli caldi. Per raccontare la sua storia, quella della Residenza Arcadia, Daniel ha scelto pagine divise in modo netto, capaci di conferire al racconto un ritmo scandito da continui cambi di scena nella quale ambienti e protagonisti, punti di vista, cambiano continuamente.

Dialoghi ben curati tanto quando si tratta di fare sorridere, quanto nei momenti nei quali si arriva all’incontro con le pagine più drammatiche. Certe persone, pur di seppellire il dolore, seppelliscono qualunque cosa

La divisione delle tavole in stanze porta al risultato di trovarsi di fronte alla storia di un condominio sviluppata come impugnando una telecamera, attraverso un occhio da documentarista che non giudica, lascia la completa libertà di farlo al lettore, e che sa spostarsi di casa in casa costruendo un’opera corale, nella quale tutti sono protagonisti, prigionieri in una gabbia scelta, arredata, difesa.

Il volume cattura immediatamente. L’incipit ha infatti un'impronta surreale – ricorda i vecchi cartoni di Gatto Silvestro nei quali nel momento del bisogno c’è sempre un fucile da tirare fuori da una tasca - che sorprende. In poche tavole abbiamo la certezza che quello che ci si appresta a leggere non è affatto banale.

Dopo il prologo nel quale la dialettica paradigmatica del confronto di coppia di anziani si evolve in qualcosa di inatteso, tragico, grottesco, l’autore passa alla costruzione di un ambiente nel quale è forte senso di familiarità sviluppato nel lettore.

Fin dalle prime tavole chi si ritrova a leggere il volume si sente quasi ospite di questo condominio, parte di un mondo del quale viene messo a conoscenza dei segreti e delle manie dei protagonisti che diventano così suoi vicini di casa.

Le tessere messe assieme da Cuello mostrano un mosaico di rapporti secondo i quali nessuno è isola rispetto agli altri. Eccellenti i dialoghi. Divertono quelli dal contenuto comico, che hanno il compito di avvicinare il volume alla classica sit com americana, e ben si alternano a momenti dal forte impatto emotivo, che pongono il volume a metà strada tra la commedia e il dramma, restando in equilibrio.

Residenza Arcadia è una Drammedia – questa forse la definizione più calzante - che non lesina momenti di reale ilarità ad altri nel quale è facile cedere alla commozione.

Mano a mano che esploriamo il volume, conosciamo meglio i protagonisti svelandone i segreti – inevitabile – ma anche le meschinità quotidiane, quell’insieme di risentimenti da condominio che altro non sono che insofferenza verso la propria condizione ed invidia di quella degli altri.

Gli ospiti della residenza Arcadia sono persone ora patetiche, ora meschine, figure tragiche, segnate da un passato fatto di traumi e rinunce e un presente fatto di ritualità che ne preservano la serenità, ma nel quale bastano ospiti inattesi perché ci si senta minacciati.

Interessante come Cuello scelga di non spiegare l’elemento che scatena le maggiori tensioni all’interno di un condominio per lasciare che siano i pregiudizi del lettore a darne forma. È questo probabilmente l’elemento di maggiore forza nel romanzo.

Tra una discussione e l’altra si scopre che gli ospiti di Arcadia dovranno tollerare una famiglia intollerabile, qualunque cosa questo significhi, una specie di abominio del quale l’autore non dice assolutamente nulla di più di quello che emerge attraverso l’ostilità degli abitanti del palazzo. Ovviamente è forte la tentazione di accostare l’occhio allo spioncino, ma alla fine non è importante sapere quale la ragione per cui sono invisi, lo sono e basta.

Mentre ci immergiamo nella vita a palazzo e i suoi ritmi dettati dalle chiacchiere da scale e il mondo visto attraverso la deformazione dello spioncino, ci affacciamo alle sue finestre per definire quello che circonda la residenza, e che è solo accennato.

Mentre gli ospiti sono emozionati per l’imminenza di una parata, scopriamo, intuiamo,  che fuori dall’Arcadia c’è una dittatura che non ha pietà per i cittadini sospettati di essere avversi, una dittatura vissuta dai residenti con doveroso rispetto e patriottico orgoglio.

Quello che accade fuori è indefinito, quasi alieno, tanto che alla perizia nel definire i dettagli dei protagonisti l’autore contrappone una polizia segreta fatta di ombre trasfigurate. Racconto appagante, nel quale non mancano attimi di sincero divertimento.

Tanti i momenti nei quali è facile ritrovare manie e debolezze quotidiane per un condominio, ma alla riesumazione di aneddoti che diventano propri, si contrappone sincera commozione, un senso di colpa che si insinua perché, una volta chiuso il volume ci si accorge quanto sia facile definire un vicino pedante; difficile e doloroso scoprire quali i drammi che certe manie nascondono.

Un invito a non fermarsi alle apparenze, per scoprire quanto siano forti i pregiudizi che quotidianamente ci condizionano.

Di Francesco Cascione

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