Tutta questa tecnologia che ci pervade all’apparenza sembra molto democratica, ma quando si violano le regole della community sono dolori. Qualunque esse siano. Anche su un artista del calibro di Leo Bassi è scesa la scure della censura. «Due anni fa, in pieno Covid, ho aperto un account TikTok, mi sono messo il vestito di Mussolini e sbeffeggiavo il fascismo, inscenavo un Mussolini completamente imperfetto, ridicolo. In sei giorni sono arrivato a 120.000 followers, ho fatto otto video, alcuni sono arrivati a milioni di visualizzazioni. Al settimo giorno mi hanno chiuso l’account TikTok con la motivazione di istigazione all’odio. Ho pensato che magari l’algoritmo non aveva capito che si trattava di scherzi, mentre il pubblico lo aveva compreso perfettamente. Ma non mi hanno più restituito l’account. È facile dire che la colpa è dell’algoritmo: io credo che dietro a queste piattaforme ci siano individui che non accettano che qualcuno abbia successo promulgando una visione antifascista e anticapitalistica. Non siamo affatto in democrazia, anche se apparentemente sembra il contrario».
Nulla di nuovo sotto il sole, peraltro. Basti pensare a Charlie Chaplin e al suo Il Grande Dittatore: «dopo quel film – ricorda Bassi – Chaplin è stato cacciato dagli Stati Uniti con l’accusa di comunismo». L’arte stessa nel tempo si è fatta più smussata in tutte le sue propaggini, più edulcorata, perdendo il suo portato eversivo. «Quando l’arte si trasforma in industria è morta. Anche per questo io non mi faccio aiutare da nessuno, non prendo sovvenzioni, e malgrado tutto faccio un sacco di spettacoli, lavoro da tutte le parti e questo mi dà la possibilità di dire ciò che voglio. Come questa sera: nessuno mi ha approvato il testo, nessuno sul palco mi ha impedito di dire alcunché, non c’era nessun algoritmo, ho detto tutto quello che volevo dire, per 300 persone che hanno assistito a un momento di libertà: piaccia o non piaccia è così».
Il ricordo di Mauro Sabbione, l’uomo dietro la svolta elettropop dei Matia Bazar, dietro Vacanze Romane e il capolavoro Tango del 1983, ma anche deus ex machina di El Diablo dei Litfiba, ha chiuso lo show con la lacrima. Qualcosa che a un clown non capita spesso. «Un amico da tutta la vita, da quando militava nei Matia Bazar: stava in strada con me e poi la sera suonava sul palco Vacanze Romane. Un uomo che amava l’arte, che non si era venduto all’industria, che ha sempre mantenuto la sua libertà: per questo siamo stati amici quarant’anni, abbiamo lavorato insieme. Oggi era la prima volta che facevo uno spettacolo nella sua Genova senza di lui e per me è stata molto dura. Ciao Mauro». Lunga vita a Leo Bassi: abbiamo bisogno di emozioni.
Di Enrico Pietra