The Many Lives of Erik Kessels, la mostra a Camera Torino

Camera. Centro Italiano per la Fotografia Cerca sulla mappa

Torino, 31/05/2017.

Foto ritrovate, scatti pieni di errori, immagini ridondanti. Il mondo di Erik Kessels è fatto di tante storie che l’artista olandese, che lavora anche come designer e curatore, ha raccolto nel corso di vent’anni di lavoro.

Giovedì primo giugno apre a Camera Torino la mostra The Many Lives of Erik Kessels, curata dal giornalista Francesco Zanot, con trenta lavori di Kessels che costituiscono una accumulazione di modalità espositive: immagini incorniciate e senza cornice, appese a parete e disposte sul pavimento, lightbox, cubi, wallpaper. Insomma, come l’ha definita Zanot durante la presentazione, «una mostra di mostre». Si tratta di immagini scartate dai fotografi professionisti, oppure di scatti amatoriali, restituendoli così a una sguardo collettivo, ma sotto una prospettiva rinnovata. L’esposizione sarà visitabile fino al 30 luglio.

«Per me è strano – ha spiegato Kessels – vedere i miei lavori tutti insieme. Ho cercato di trovare le foto meno perfette, raccontando storie a partire dalle immagini che ho trovato. Ho preferito non mettere al centro di questa mostra la macchina fotografica, perché noi fotografiamo con gli occhi». Ed è così che, esplorando l’esposizione, ci si immerge in una sorta di “archeologia fotografica”, con le storie delle persone che hanno prodotto quegli scatti, spesso pieni zeppi di errori.

Nell’articolato percorso espositivo spiccano installazioni come 24hrs of Photo, che invade letteralmente lo spazio con innumerevoli stampe, che rappresentano le centinaia di migliaia di immagini che ogni giorno vengono caricate su Internet. Oppure My Feet, composta da immagini di piedi di chi fotografa. Poi c’è Almost Every Picture, ciclo di 14 progetti centrati ogni volta su un soggetto ossessivamente ricorrente. Come ad esempio un cane troppo nero per essere adeguatamente fotografato.

Ma c’è anche un prezioso contenuto video, intitolato My Sister, musicato dal compositore Ryuichi Sakamoto, tratto da un home-movie interamente dedicato a una partita di ping pong tra l’autore e sua sorella, prematuramente scomparsa.

Anziché riprendere nuove immagini, quindi, Kessels raccoglie fotografie già esistente e le utilizza per comporre un proprio mosaico. Il risultato è una sorta di «ecologia delle immagini». «La mostra – ha aggiunto Walter Guadagnini, direttore di Camera – viene poi introdotta da piccoli testi che aiutano il visitatore ad avvicinarsi all’opera». Ma ci sono anche altri appuntamenti che daranno la possibilità di incontrare l’artista olandese.

Tra i Giovedì di Camera, che ripartiranno l’8 giugno con una conversazione tra Michele Smargiassi e Walter Guadagnini (ore 19), spicca infatti Raccontare storie con la fotografia familiare, un incontro con Erik Kessels, introdotto da Guadagnini e moderato da Francesco Zanot, che si terrà il 22 giugno alle 19.

In programma anche diversi appuntamenti legati alla didattica, tra cui il workshop A blind date con lo stesso Kessels, che assegnerà a ciascun partecipante il compito di sviluppare un progetto fotografico nuovo a partire da un nucleo di immagini e suoni mai sentiti prima.

«Questa mostra – ha aggiunto il curatore, Francesco Zanot – è la prima retrospettiva dedicata a Kessels e comprende circa vent’anni del suo lavoro di ricerca. È interessante perché si riferisce a un immaginario esistente. Vediamo così come, in un altro contesto, la fotografia può avere una nuova vita».

«Con questa straordinaria esposizione – ha commentato Emanuele Chieli, presidente di Camera – confermiamo la nostra attenzione nei confronti della ricerca contemporanea e dei linguaggi più diversi, attraverso i quali si esprime la ricerca fotografica».

Come di consueto, accanto alla mostra principale, Camera inaugura anche un nuovo allestimento nella project room. Insieme alla mostra di Kessels, infatti, Camera propone una personale dedicata a Stefano Cerio, dal titolo Night Games, prima esposizione pubblica nazionale dedicata all’autore.

«Amo fotografare i luoghi di massa – ha spiegato Cerio – nel momento della non fruizione. I luoghi, quindi, vengono illuminati ed elaborati in maniera interpretativa. Illuminare un oggetto è come scolpirlo».

Di Paolo Morelli

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