Made in Ilva: lavoro in fabbrica a teatro in una tournée mondiale

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Made in Ilva. L’Eremita contemporaneo, regia Anna Dora Dorno, con Nicola Pianzola, musiche originali Riccardo Nanni, canti originali e voce dal vivo Anna Dora Dorno, produzione Instabili Vaganti, con il sostegno di Spazio OFF – Trento

Mercoledì 12 aprile 2017, alle ore 17.30, al Teatro dell'Archivolto incontro-aperitivo con la compagnia.

Genova, 08/04/2017.

«Una drammaturgia testuale che è anche drammaturgia fisica, visiva e sonora». Così descrivono Made in Ilva. L'eremita contemporaneo gli autori Anna Dora Dorno, regista e interprete vocale, e l'attore Nicola Pianzola della compagnia Instabili vaganti. Lo spettacolo torna a Genova, al Teatro dell'Archivolto, martedì 11 e mercoledì 12 aprile 2017, dopo essere stato ospite all'interno di Testimonianze Ricerca Azioni all'Akropolis nel 2014 e a seguito di una lunga tournée mondiale.

Il primo nucleo di questo spettacolo raccoglie l'eredità di un lavoro precedente, Lenz la scimmia di Goethe, dedicato alla figura dello scrittore Joseph Lenz a partire dal racconto incompiuto di Georg Büchner (1836). Se in quell'occasione la compagnia Instabili vaganti affrontava il tema di un'alienazione legata a disturbi mentali e schizofrenia successivamente, sempre riflettendo su Lenz (contemporaneo di Goethe), questa volta a partire dal romanzo di Peter Schneider, sono arrivati a parlare di un'altra forma di dissociazione quella derivante dal lavoro in fabbrica.

Originaria di Taranto, Anna Dora Dorno ha rivolto lo sguardo al suo contesto, ai lavoratori delle acciaierie all'Ilva di Taranto: «abbiamo cominciato a raccogliere testimonianze dirette sia nel mio contesto familiare che attraverso amici e conoscenti, incontrando persone di tutte le età e anche molti giovani. Tra questi, moltissimi quelli con contratti temporanei spesso messi a lavorare subito agli alti forni, in condizioni difficili, con maggiore esposizione. L'Ilva richiama a se un bacino molto ampio di lavoratori che provengono dai vari paesi della zona. Molti di questi partono alle quattro di mattina con l'autobus e tornano solo la sera molto tardi, dunque non fanno vita. Sembra di tornare al contesto della prima rivoluzione industriale».

L'impianto ideativo non ha un intento polemico, piuttosto analitico e di osservazione sulla relazione tra ciò che è organico e ciò che non lo è, tra meccanicizzazione e dimensione umana. All'interno della drammaturgia sono confluite anche «associazioni poetiche - prosegue Dorno - sia attraverso le suggestioni dei componimenti di Luigi Ruscio, poeta operaio, sia con versi miei. Quando i lavoratori ci parlavano dei rumori della fabbrica di come questi entrassero anche nei loro sogni le risonanze con la scrittura di Ruscio era molto forti. Lui parla di un'altra realtà, quella che ha vissuto in una fabbrica di chiodi in Norvegia da emigrato, come molti altri italiani. La sua poesia incarna questa realtà che sembra passata ma esiste ancora».

Tutti i materiali raccolti sono diventati una base intorno a cui il gruppo ha svolto un lavoro interpretativo autonomo e agito in varie direzioni. «Dal punto di vista visivo e musicale - aggiunge Dorno - dalle testimonianze emergevano alcuni elementi ricorrenti. Il rumore, per esempio, è un elemento espressivo molto forte, attorno a cui Riccardo Nanni ha creato tracce sonore che seguono tutto il percorso, ma anche basi musicali per i canti e per la mia parte di narrazione - sia parlata che cantata. L'introduzione è favolistica, si descrive un mondo fantastico che in qualche modo riecheggia lo spot dell'Ilva, retaggio di una comounicazione anni settanta, dove progresso e industrializzazione erano presentati come qualcosa di avveniristico, che porta al benessere, senza dubbi né effetti collaterali».

La parte di Anna Dora Dorno in scena la descrive Nicola Pianzola. «Anna è a lato della scena. La sua è una provocazione, una forma di stimolazione per tutto il processo scenico. Manovra anche alcuni elementi tecnici». La tournée mondiale, che ha portato questo spettacolo praticamente in tutto il mondo, ha fatto sì che il gruppo lo rendesse disponibile in tre lingue: «oltre all'italiano, l'abbiamo tradotto in inglese per il Festival di Edimburgo 2014 (finalista al Total Theatre Award al Fringe Festival di Edimburgo, ndr) e in spagnolo per la tournée in America Latina e Centrale - Messico, Uruguay e Cile».

Ogni palcoscenico, alle varie latitudini, ha letto lo spettacolo riconducendolo alla propria realtà industriale creando così un interessante esplosione di significati e sottotesti. «In Argentina, la risposta è stata particolare perché c'è ancora una grande comunità di immigrati italiani e per loro era una storia locale. Succede spesso che, il racconto trovi risonanza con un caso specifico nel paese ospitante per esempio in Cina, ha fatto rivivere la tragedia di Tanjin, zona industriale poco distante da Bejiing, rasa al suolo in seguito a un esplosione, nell'estate del 2016».

Lo spettacolo ha così incarnato il conflitto in senso epico quello lavoratore-padrone. «Sì, io sono sia l'una che l'altra voce, ma in scena va un prototipo del lavoratore eroe-contemporaneo che non vede la luce del giorno, unavariazione sul tema dell'eremita di Lenz. In India, a Bangalore, siamo andati in scena nel bel mezzo della Silicon Valley indiana, e lì seppure non si parli di catenza di montaggio ma di impiegati in open space, un lavoratore mi ha fermato dicendomi "mi hai ricordato il mio quotidiano". Così come a Taranto un lavoratore dell'Ilva, mi dice: "hai riassunto in 50 minuti i miei 35 anni in fabbrica". Credo che questo sia possibile perché che le esperienze più che narrate sono incorporate. Marx citato anche nell'opera di Schneider, dove Marx Abbiamo lavorato all'idea del minimo sforzo massima resa, richiamandoci a Marx, citato anche da Schneider. Per guardare al corpo meccanico organico, come trovare una via organica rispetto a un corpo costretto in situazioni non organiche, in movimenti ripetitivi e estenuanti, e lasciare che il corpo assorba e reagisca a tutto questo. Questo ha innescato un percorso di ricerca fisica che ci ha permesso di eliminare sul palco il gap tra pensiero e azione e forse anche loro nel rispondere a un ordine».

Come ha fatto una compagnia che all'epoca del debutto era under35 a lanciarsi e sostenere una tournée tanto ampia? È nato tutto dal successo di Edimburgo? «Ci sono state alcune date dirette ma paradossalmente la prima richiesta dopo Edimburgo è arrivata da Orvieto in Italia. Quindi non c'è un meccanismo immediato, ma un grande lavoro di promozione per esempio fatta attraverso la diffusione degli articoli pubblicati sui giornali inglesi che hanno catturato l'attenzione degli istituti italiani di cultura all'estero. Molti direttori ci hanno chiamato in risposta a questa attività e, direi, che sono stati coraggiosi perché portiamo un messaggio positivo nel mondo rispetto al teatro italiano di sperimentazione e di qualità ma anche una riflessione con una dimensione fortemente critica sulla realtà della fabbrica».

America Latina. Centro America. Medio Oriente. Iran. Nord Europa. India. Cina. Made in Ilva è approdato soprattutto in città specie industriali o deindustrializzate di recente. In qualche caso l'invito è arrivato da piccoli teatri o compagnie sensibili a temi contemporanei è il caso di quattro città indiane, ma spesso gli istituti Italiani di cultura all'estero sono poi diventati parte attiva delle ospitalità all'estero. «La differenza la fanno i direttori e molto sta alla loro capacità di integrarsi con le realtà locali. A Montevideo torniamo per la terza volta e con piazze nell'entroterra del paese». E il Mibact? «Abbiamo il sostegno del MAE - Ministero per gli Affari Esteri, ma non del Mibact. Il MAE per esempio ci sostiene la tournée in America Latina. Con il Mibact non riusciamo a instaurare un dialogo produttivo. La nostra domanda per il primo triennio è rimasta inevasa su una scrivania e poi rigettata. Ci sostiene anche la Regione Emilia Romagna».

Oltre a questo spettacolo, gli Instabili vaganti stanno portando avanti anche Desaparcidos #43, un'altro spettacolo che proprio a Genova, sempre all'Akropolis ha preso le mosse attraverso una residenza nel 2015 e un primo momento pubblico dal titolo Megalopolis #43. Secondo Studio. «È un lavoro sugli studenti messicani scomparsi nel 2014 in seguito ai raid della polizia di Iguala nelle sedi dell'università Escuela Normal Rural de Ayotzinapa. Ha già girato in Italia, e l'anno scorso siamo stati in Messico perché lo spettacolo faceva parte di un progetto più ampio coordinato da un centro universitario dedito alle arti e al contemporaneo di Città del Messico - Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) - che prevedeva un coinvolgimento più ampio del quartiere al confine con Tampico, zona pericolosa di Città del Messico. Abbiamo realizzato un workshop con alcuni studenti locali che poi sono entrati a far parte del coro dello spettacolo. C'è stata anche una lecito magistralis a cui abbiamo preso parte con altri artisti tra cui una fotografa italiana residente in messico, Giulia Iacolutti».

Di Laura Santini

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