Jacopo Gassman alla regia di Confirmation di Chris Thorpe all'Altrove

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Genova, 06/04/2017.

Un incontro folgorante quello tra Confirmation, del drammaturgo inglese Chris Thorpe, e il regista Jacopo Gassman, che ha deciso di portarlo in scena con Nicola Panelli in una produzione Narramondo. Già mise en espace nel 2015 all'interno della rassegna Trend - Nuove Frontiere della scena britannica curata da Rodolfo Di Giammarco al Teatro Belli di Roma, ora il 7 e l'8 aprile 2017 arriva all'Altrove - Teatro della Maddalena, dove Narramondo ha preso casa da tre anni.

Il fascino della scrittura di Thorpe ha portato Gassman a un'ulteriore produzione, nell'edizione 2016 di Trend, There has possibly been an incident, con Francesco Bonomo, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò. E presto un terzo lavoro di quest'autore impegnerà il più giovane dei quattro figli di Vittorio Gassman, sia come traduttore che come regista.

Se la letteratura e il teatro inglese sono una passione antica, consolidata con un anno di studi al RADA - Royal Academy of Dramatic Art di Londra, l'incontro tra Gassman e Nicola Panelli si rintraccia negli anni novanta, «quando - racconta lo stesso Jacopo Gassman - ero solo un bambino e Nicola recitava accanto a mio padre in Ulisse e la balena Bianca», produzione dello Stabile di Genova per l'Expo del 1992 di cui Vittorio Gassman curò regia e drammaturgia ispirandosi a Moby Dick di Melville ma anche ad altre fonti.

Le ragioni della folgorazione per Thorpe stanno in una scrittura, «dove la riflessione è complessa e articolata in una costruzione raffinata, a metà fra testo teatrale e saggio, che diventa lecture performance. Confirmation affonda il coltello in una serie di tematiche attuali scomode, a partire da una più forte, mutuata dalla psicologia: confirmation bias o pregiudizio di conferma. Thorpe è rimasto affascinato dallo psicologo americano Jonathan Haidt e dal suo testo di psicologia cognitiva Menti tribali».

Teatro e conferenza, o più conferenza che teatro? «La parte iniziale è fortemente interattiva, qui il personaggio in scena (l'alter ego di Thorpe, ndr) - gioca a mostrarci il significato dell'espressione con giochi matematici e quiz. Accompagna quindi il pubblico a scoprire come funziona questo pregiudizio di conferma. Nella maggior parte dei casi ognuno di noi cerca conferma rispetto a posizioni personali (ideologiche o religiose) già forti. Poi lo spunto porta alla fase due: un progressista liberale si mette in viaggio per snidare i suoi pregiudizi in un confronto con una persona che offra una visione diametralmente opposta, con cui aprire un dignitoso dialogo».

Una traccia drammatugica che Thorpe ha realmente vissuto, mettendosi «a confronto con un estremista di destra. Così in scena Chris incontra Glenn, come realmente accaduto, prima via email poi via Skype. Questi carteggi si articolano con il coinvolgimento del pubblico».

Il lavoro di regia è cominciato sulla pagina scritta attraverso la traduzione: «Il testo indica alcune strade obbligate per la messa in scena, ma per me l'impegno è nato cercando possibili ponti per questioni che potrebbero restare troppo britanniche. Oppure in scelte minimali ma precise sul palco poggiate su pochi elementi: una lavagna, le luci, la recitaizone e pochi meccanismi teatrali che poggiano su una struttura già chiara. A livello concettuale aveva bisogno di essere restituito dalla pagina alla vivacità del teatro».

Che cosa ti ha insegnato sulla regia la Royal Academy? Cosa ti sei portato a casa da Londra? «Ero andato per completare il mio percorso formativo, dopo che mi ero laureato in America (in Film e TV al The Tisch School of the Arts della New York University). Ma anche per un amore verso un intero bacino di autori straordinari. RADA è un tempio della tradizione attoriale britannica. C'è una professionalità e un'organizzazione straordinaria, ti insegnano che oltre al talento e alle buone idee ci deve essere una macchina produttiva fatta di persone che hanno compiti precisi. Sono rimasto lì un anno e mezzo, collaborando anche al Soho Theatre e facendo una regia a conclusione del Master su un testo di Juan Mayorga Animali notturni» - dello stesso autore è la prima regia di Jacopo Gassman in Italia, La pace perpetua.

«Una delle cose straordinarie rispetto alla drammaturgia in Inghilterra è che quasi tutti i teatri hanno un dipartimento di drammaturgia al loro interno dove si archiviano e accolgono i nuovi testi e i relativi autori con programmi di residenza e workshop». L'attività di traduzione ha quasi la meglio rispetto a quella di regista per Jacopo Gassman, che si definisce per l'appunto «lettore accanito e traduttore per Luca Sossella Editore», per cui cura una collana sul teatro.

Sarà come sarà, eppure in autunno Jacopo Gassman tornerà ancora una volta a Genova con un'altra traduzione e regia, Disgraced, questa volta di un autore pachistano-americano, Ayad Akhtar. Un altro testo politico, un altra angolazione sulla questione della convivenza, dei punti di vista e delle diverse culture, un altro affondo nei pregiudizi tra chi spesso predica tolleranza.

Una coincidenza? O sono questi i temi che ti riguardano e ti preme portare in scena? «Occupandomi di drammaturgia contemporanea, mi accorgo di essere attirato da tematiche che però non riguardano solo me, sono urgenti un po' per tutti. Confirmation parla al ventre molle di un certo animo di ognuno di noi, ricordandoci che bisogna fare attenzione a sedersi su una serie di valori che ci sono stati dati, perché un giorno che ci prendessimo un caffè con un estremista ci ritroveremmo strappati fuori e di fronte a un percorso pauroso. Uscire allo scoperto però, ci permette anche di uscirne rinforzati o almeno questo è il messaggio di Thorpe. La tesi interessante è che a un certo punto alcuni pregiudizi andranno trattenuti per restare fedeli a se stessi».

In Disgraced, in scena i personaggi di una New York colta, progressista, avanzata, per un testo che «va a stanare alcune ipocrisie, quelle che alcuni di noi continuiamo a portare avanti. Cadono tante maschere. Si mette in scena la carne umana, nuda. A me interessa sempre, non fare del teatro un esperimento di pubbliche relazioni, piuttosto credo che da qualche parte occorra affondare il coltello. Entrambi i testi di Thorpe mi interessano perché parlano della zona grigia dell'umano, ci portano là dove la contraddizione è ancora viva. Di fronte ai temi irrisolti del nostro tempo».

Come intendi il tuo lavoro di regista? «Credo che la regia avvenga per un buon 50 per cento nell'individuare un attore rispetto a un testo. Sono molto morbido come regista. Mi piace lasciarmi condurre dagli interpreti e dai loro percorsi. D'altra parte mi piace anche farmi affascinare da un testo, quello è il primo mattone. Ogni spettacolo ha una sua storia, è un viaggio specifico. La parte bella è quella che si scopre facendola. Nicola Panelli è un attore che ogni giorno porta qualcosa di suo per questo mi piace. Per quanto mi riguarda, sono pieno di dubbi, che per me sono la materia interessante da andare a risolvere in sala prove».

E della virata verso il teatro, dopo lo studio del cinema? Puro amore per la drammaturgia? O c'è dell'altro? «Avendo esperito varie forme, diciamo che al momento ho trovato un habitat più simile a me, una dimensione più affine per sperimentare e andare a fondo su certi argomenti. Ma non credo ci sia niente di definitivo. Il teatro è il luogo dove tutte le mie passioni si incontrano: quella più archivistica e quella che vuole ridare indietro, restituire qualcosa attraverso emozioni più vitali, che fa parte dell'arsenale più specifico del teatro».

Di Laura Santini

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