Elliott Erwitt: mostra al Ducale con le foto mai viste

Elliott Erwitt/MAGNUM PHOTOS
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Genova, 10/02/2017.

Cosa differenzia una fotografia a colori da una in bianco e nero; cosa rende uno scatto riuscito, capace di emozionare ed entrare nella storia? «Nel primo caso solo un cambio di pellicola, risponderebbe Elliott Erwitt: quando una fotografia è buona, è buona e basta»: queste le parole di Biba Giacchetti per introdurci negli occhi (e nel carattere) di uno dei più celebri fotografi di tutti i tempi.

Alle immagini a colori, ai volti, ai paesaggi, a quelle atmosfere capaci di passare da una rarefatta concretezza ad un'ironia affilata, è dedicata la mostra Elliott Erwitt Kolor che sarà ospitata, nel Sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova, da sabato 11 febbraio a domenica 16 luglio 2017 (prorogata fino al 3 settembre 2017).

L'esposizione, curata da Biba Giacchetti, presenta la prima grande retrospettiva di immagini a colori del fotografo che Robert Capa in persona invitò ad unirsi all'Agenzia fotografica (quella con la A maiuscola) Magnum Photos.

«Sono circa 135 le immagini - racconta Giacchetti - che Erwitt ha selezionato personalmente insieme a me e che vengono stampate e messe in mostra per la prima volta in assoluto». Solo in tempi recentissimi, infatti, il fotografo ha deciso di mettere mano al suo archivio a colori, tecnica che aveva dedicato solo ai suoi lavori editoriali, istituzionali e pubblicitari.

La mostra ha il sapore di un viaggio lungo la vita di un «fotografo poliedrico, capace di essere molto romantico, ironico e tagliente, di toccare l'aspetto sociale e di rappresentare i grandi della terra», per usare le parole della curatrice che collabora con Elliott Erwitt da circa vent'anni e che, dopo tanto tempo, ammette di aver scoperto ancora degli aspetti che non conosceva.

Ad aprire Kolor, una delle immagini più famose di Elliott Erwitt: un uomo e un bambino in bicicletta tra le strade della Provenza con la tradizionale baguette. Si passa poi alle immagini che raccontano un mondo. Tra queste le donne di Bretagna, che con i loro vestiti scuri dialogano con un cielo e un mare che si confondono in un azzurro quasi materico. A fare da controcanto a questa foto naturale, troviamo uno scatto composto, strutturato, che restituisce un senso di opulenza. La foto, sottolinea la curatrice, con gli occhi degli uomini che frugano oltre il bordo della tela, ci rimanda «un'immagine sospesa, aperta a tanti interrogativi: chi entrerà nella sala, cosa verrà dopo? Un Erwitt al 100%».

Tra gli scatti del fotografo Magnum anche tanti personaggi famosi: da Frank Sinatra e Mia Farrow a Truman Capote, da Sophia Loren a Arnold Schwarzenegger. E poi lei: Marilyn Monroe, ritratta, insieme agli altri attori, sul set del film Gli spostati, ma anche in un momento che ne restituisce intimità e fragilità. «Per l'importanza de Gli spostati - racconta Giacchetti - la Magnum aveva messo in campo tutti i suoi grandi fotografi, nomi come Henri Cartier-Bresson. Erwitt, però, fu l'unico a riuscire a ritrarre il cast insieme».
La Marilyn scelta, invece, come chiusura ideale della parte dedicata a Kolor è un'immagine a cui il fotografo «è particolarmente legato, scattata poco prima che Monroe se ne andasse». La non nitidezza dello scatto sembra far trasparire il tremolio dell'anima dell'attrice.

In mostra anche i ritratti di John Fitzgerald Kennedy, Che Guevara e Fidel Castro.
Con questi ultimi due Erwitt seppe instaurare un rapporto che consentì loro di rilassarsi davanti all'obiettivo. «Il Che, ricordato come una persona dal carattere ombroso, qui è colto forse nell'unica fotografia che lo ritrae mentre sorride», afferma la curatrice.

Tra le immagini di Kolor, anche qualche scatto che restituisce il senso dell'architettura di Erwitt, come quella in cui la smisurata piccolezza dell'essere umano è inserita nella grandiosità delle forme.

Al di là degli scatti dal mondo, al di là delle star, di Marylin, c'è la sezione dedicata ad André S. Solidor, l'alter ego scelto dal fotografo per mettere sotto la lente di ingrandimento il mondo dell'arte contemporanea. Dietro a questa maschera, il fotografo, «mettendosi lui stesso in gioco in prima persona», ce ne restituisce una parodia, tra controsensi e assurdità. Le modelle alla Helmut Newton o alla Robert Mapplethorpe, diventano una sorta di manichini. La nudità per la nudità si fa avanti insieme all'eccentricità, di cui, gli autoritratti di André S. Solidor sono il primo emblema. A chiudere, come in un ciclo, l'immagine di schiena di Solidor/Erwitt in sella a una bicicletta con baguette che richiama - in chiave ironica - il suo stesso scatto iniziale.
Oltre, poi, una piccola video-collezione che ricorda l'Erwitt più famoso, quello della vita in bianco e nero, degli abbracci sotto la Torre Eiffel o dei baci rubati negli specchietti delle auto.

L'esposizione presenta anche «due chicche», come le definisce Giacchetti. In chiusura vengono proposti due video. «Pochi sanno che, per circa vent'anni, Elliott Erwitt ha fatto anche il regista». In mostra a Palazzo Ducale verrà proiettato un estratto del primissimo documentario che, agli inizi degli anni '70, aveva deciso di autoprodursi: una testimonianza sui metodi di allenamento in un college del Texas delle giovani majorette. Insieme, un documentario sui divertimenti più assurdi, come la gara di polo a dorso di elefante, catturati in giro per il mondo.

A ogni angolo una foto, a ogni incrocio di sguardo colori che raccontano attimi, in un'alternanza tra serietà e ironia. Le foto, scatti da prendere singolarmente, tracciano un non-percorso, in un allestimento che volontariamente ha voluto essere arioso, lasciando lo spettatore libero di vagare, di andare avanti e tornare indietro. Di guardare, veramente, all'improvviso. «Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla».

Di Federica Burlando

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