Pietre d'inciampo a Torino: l'arte pubblica di Gunter Demnig incontra il pensiero di Liliana Segre

Torino, 14/01/2020.

«Una persona è dimenticata solo se è dimenticato il suo nome», sono parole di Gunter Demnig, l’artista tedesco che dagli anni Novanta porta avanti il progetto di arte diffusa nato in Germania e diffusosi in 26 paesi europei noto come Pietre d’inciampo. Le Stolpersteine, blocchetti di cemento con una targa in ottone, sono arrivate da tempo anche a Torino, e come ogni anno, anche in occasione del Giorno della Memoria 2020 il loro numero è cresciuto, aggiungendo alla mappa di pietre d’inciampo torinesi altri sei nomi, che ricordano altrettante persone deportate durante l’occupazione nazifascista, ciascuna con la propria singola storia.

Durante l’installazione, come ogni anno, piccole folle di parenti, amici, conoscenti, e tanti ragazzi delle scuole si radunano per omaggiare vittime innocenti della follia del Novecento. Gli sguardi vanno al selciato: è lì che le pietre, ancora lucenti perché nuove, si incastrano tra il grigio del marciapiede, sollecitando un inciampo, costringendo a fermarsi, magari leggere, e pensare. Sopra ogni targa è incisa la frase “qui abitava”, con il nome dellavittima, la data e luogo di nascita e di morte/scomparsa.Qualcuno scatta una foto, altri lasciano un omaggio floreale e un pensiero scritto a mano.

Le stolpersteine rappresentano «un posto per ricordare sempre», queste le parole di Gunter Demnig, tornato a Torino per farsi artefice dell’installazione dei cubetti con cemento e strumenti necessari “incasellare” nello scacchiere della città le sue opere-testimonianze, e restituire così una metaforica casa a quanti furono portati via dai loro luoghi, dalle loro vite. L’iniziativa di Demnig ha preso forma nel 1992 ripensando alle popolazioni nomadi senza una casa, i rom che, al pari di tante altre minoranze furono perseguitati dal nazifascismo. È così che è nato il progetto delle Pietre d’inciampo, a Colonia e in Germania tra il 1996 e il 1997, ricercando le tracce del popolo zingaro e rintracciando la testimonianza di una vita collettiva di popolazioni con abitudini, tradizioni e religioni differenti. Oggi le pietre sono oltre settantamila, sparse per 26 nazioni europee tra cui l’Italia e Torino che al momento ha 114 pietre d’inciampo a ricordo di altrettante storie e persone a cui è stata restituita la dignità di un nome e di una storia.

Le storie dietro alle pietre d’inciampo

Tra i giovani torinesi colpiti dalle leggi razziali del 1938 c’era per esempio Marisa Ancona, a cui fu impedita l’iscrizione al primo anno di liceo, ed ecco quindi la pietra d’inciampo installata in corso Tassoni 15, vicino al Liceo Cavour. Sfollata nel Canavese, Marisa Ancona lì fu arrestata insieme al padre Gastone e al Fratello Achille e condotta a Ivrea, dal cui carcere fu trasferita nel campo di concentramento di Fossoli (Modena), ultima tappa prima della tragica deportazione ad Auschwitz e della morte, avvenuta nel campo di Bergen Belsen.

Un’altra pietra è dedicata in via Pianezza 10 a Francesco Staccione, torinese classe 1894, i cui due fratelli Vittorio ed Eugenio giocavano nel Torino durante gli anni Venti. Antifascista schierato, Vittorio fu deportato aMauthausen, Francesco invece fu arrestato numerose volte per la sua militanza nel partito socialista. Era in contatto con gruppi antifascisti clandestini e partecipò all’organizzazione degli scioperi del primo marzo del 1944, che causò il suo arresto. Detenuto alle Carceri Nuove, fu consegnato alle SS e deportato a Mauthausen.

Operaio allo stabilimento della Fiat Ferriere di Torino, Tranquillo Sartore fu dichiarato partigiano caduto nel 1946, in quanto membro di una SAP attiva in città: la pietra a lui dedicata è in via Franco Bonelli 2. Partecipò agli scioperi del marzo del 1944 e fu catturato con altri lavoratori Fiat e incarcerato alle Nuove di Torino. Trasferito a Fossoli, un paio di giorni dopo fu deportato a Mauthausen. Tranquillo fu classificato con la categoria Schutz (prigioniero politico) fu trasferito a Zement-Ebensee, sottocampo di Mauthausen, dove morì per pleurite, polmonite e problemi della circolazione; le sue ceneri si trovano lì.

Alessandro Colombo, marito diWanda Debora Foà, faceva parte di una famiglia di produttori di imballaggi per dolci nello stabile di via Piazzi 3 a Torino, dove è stata collocata una pietra di inciampo. Secondo il censimento effettuato dal Regime fascista nel 1938, la famiglia risiedeva a un isolato di distanza da via Piazzi 3, dove l’azienda continuò la sua attività nel 1939. Nei documenti si legge che Alessandro e Wanda fuggirono a Forno Canavese,dove nel 1943 arrivòuna colonna tedesca. La figlia Elena, invece, fu nascosta inun Asilo di Carità gratuita. Alessandro fu portato insieme a Wanda alle Carceri Nuove di Torino, da cui l’ultima destinazione fu untreno in partenza dalla Stazione Centrale di Milano con destinazione Auschwitz. I deportati furono 605: di questi solamente 97 uomini superarono la selezione per il gas e furono immessi nel campo, mentre le donne immatricolate furono solamente 31; i bambini nati dopo il 1931 furono 36. Tra questi anche Elena, per altre vie deportata nello stesso campo, che come quasi tutti i bambini non superò la selezione all’arrivo e fu destinata alle camere a gas mentre suo papà Sandro si trovava forse a qualche centinaio di metri di distanza. Dei 605 deportati solo 20 poterono tornare a casa; tra questi Liliana Segre, senatrice della Repubblica Italiana.

Le parole della Comunità Ebraica

E proprio Liliana Segre non ha mancato di omaggiare l’installazione delle nuove pietre d’inciampo di Torino con un messaggio che è stato letto da Dario Disegni, Presidente della Comunità Ebraica. Anche la Senatrice ha insistito sulla centralità del nome, inciso in memoria delle vittime sulle pietre: «Un detto del Talmud recita: “Si muore veramente quando il proprio nome viene dimenticato” – ha scritto - A questo servono le pietre d’inciampo, a dare un nome ai senza tomba, piccoli rettangoli, punti di luce che nutrono la memoria e interrogano le coscienze. Oggi Wanda, Elena e Alessandro rientrano a casa, finalmente. Ma che cos’è la memoria? È il più potente antidoto contro la barbarie, è il passaporto per il futuro, è un rammendo imperfetto di un percorso di guarigione civile, percorso che serve a mantenere in buona salute la democrazia. Che sia benvenuta dunque ogni piccola pietra d’inciampo, forma umile ma solenne di restituzione. Se, come scrive Walter Benjamin, è alla memoria dei senza nome che è consacrata la ricostruzione storica, allora le pietre d’inciampo contribuiscono alla mappatura dei luoghi che sono il teatro domestico delle memorie familiari».

Ogni anno le pietre d’inciampo sono chieste da parenti e familiari delle vittime attraverso l’attività svolta dal Museo diffuso della Resistenza, e parallelamente, intorno alle stolpersteine si svolgono attività educative che coinvolgono gli studenti delle scuole cittadine, presenti all’inaugurazione del 14 gennaio 2020 e ideali nuovi testimoni di una storia che, oggi, ha sempre meno memorie dirette. Quest’anno 9 istituti scolastici torinesi di ogni ordine e grado sono stati coinvolti attivamente in un percorso didattico realizzato dal Museo in collaborazione con l’Istoreto (Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”), l’ANCR (Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza) e la Rete Italiana di Cultura Popolare. Il percorso si chiuderà infebbraio, con la realizzazione di eventi pubblici al Polo del ’900 che ha sostenuto il progetto integrato di didattica.

Alla pagina web dedicata si trovano la geolocalizzazione delle pietre sul territorio cittadino e le biografie delle vittime a cui sono dedicate.Con l'installazione delle pietre d'inciampo del 14 gennaio 2020 si apre il programma di iniziative per il Giorno della Memoria 2020 a Torino.

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