Oltre a tracce animali, in Val d’Ambria sono presenti - anche se più rari - fossili vegetali (fronde, frammenti di fusti e semi). Strutture sedimentarie altrettanto interessanti sono le fratture di disseccamento del suolo, le increspature da moto ondoso o da corrente e le impronte di gocce di pioggia, che stanno fornendo ai ricercatori molti elementi per una dettagliata ricostruzione paleoambientale e paleoclimatica. Di questo, tramite esami sedimentologici e stratigrafici, si occuperà l’Università di Pavia, che ha già avviato due tesi di laurea affidate a Marco Cattaneo e Stefano Bonizzoni.
Per il direttore del Parco Orobie Valtellinesi Massimo Merati «le scoperte sono in continuità con quanto evidenziato alla fine del secolo scorso in Val Gerola e sul versante bergamasco: il territorio orobico si sta dimostrando un grande laboratorio a cielo aperto. Ma i ricercatori hanno bisogno di droni e altra strumentazione appropriata per mappare i fossili sulle pareti verticali, e per recuperare i reperti che rischiano di essere sepolti dalle frane ci vorrà ancora l’elicottero. Trasportare a valle anche i massi situati a quote più alte è altrimenti impossibile». E in effetti, il salvataggio dei primi fossili per via aerea, avvenuto 21 ottobre 2024 grazie alla collaborazione di Edison ed Elitellina, pare sia soltanto la prima di future - e altrettanto spettacolari - operazioni.
«C’è ancora molto da fare, anzi gli studi sono solo all’inizio e si dovranno risolvere molti problemi legati anche alla logistica», aggiunge Doriano Codega, presidente del Parco Orobie Valtellinesi: «il parco è ben conscio dell’importanza della scoperta e da subito si è fatto parte attiva per valorizzare il sito. È un progetto ambizioso che richiede un grosso impegno e collaborazione, ma ci crediamo e da subito abbiamo garantito una prima tranche di fondi per permettere l’avvio dell’attività di ricerca».
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