Ground Break, mostra di Nari Ward

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DA Giovedì28Marzo2024
A Domenica28Luglio2024

Dal 28 marzo al 28 luglio 2024 gli spazi espositivi del Pirelli HangarBicocca, a Milano in via Chiese 2, ospitano la mostra Ground Break, dedicata a Nari Ward, artista di fama internazionale, noto fin dagli anni ’90 per le sue installazioni realizzate con materiali quotidiani e di recupero dal forte valore simbolico, in cui si stratificano riferimenti sociali e richiami ai traumi storici, sia passati, sia recenti e contemporanei.

Con Ground Break - a cura di Roberta Tenconi con Lucia Aspesi - l’artista dà vita a una monumentale coreografia tra opere degli ultimi trent’anni e nuove produzioni e a un dialogo tra sculture, video e installazioni di forte coinvolgimento per i visitatori. La mostra, animata anche da un programma di performance in collaborazione con altri artisti e musicisti, apre a riflessioni su questioni centrali nel nostro tempo, come la responsabilità sociale, la diseguaglianza, l’emarginazione, le migrazioni, offrendo prospettive possibili di trasformazione e cambiamento.

Celebrato come uno dei più importanti artisti americani contemporanei, Nari Ward (St. Andrew, Giamaica, 1963; vive e lavora a New York) realizza opere stratificate attraverso intrecci e giustapposizioni di elementi di recupero con cui allude a diversi aspetti sociali e politici e affronta temi relativi all’identità, alle questioni razziali, alla giustizia e al consumismo. Con le sue installazioni, video e sculture toccanti e provocatori, l’artista infonde nuovi significati e genealogie a oggetti di scarto trovati in luoghi improbabili, come edifici abbandonati, strade, parcheggi, rivelando storie e geografie dimenticate attraverso narrazioni complesse e inedite.

Nella sua pratica trentennale ha dato vita a un'intricata rete di riferimenti e riflessioni tra istanze storiche e temi attuali, locali e globali, dalla storia coloniale delle comunità afrocaraibiche a quella dello schiavismo negli Stati Uniti, dalla gentrificazione di Harlem, quartiere a maggioranza afroamericana e latina di New York, alla crisi migratoria nel mar Mediterraneo. Al contempo indaga questioni spirituali e concettuali, connesse alle relazioni umane, alla giustizia sociale, alla costruzione di identità collettive e comunità attraverso una memoria storica condivisa. Centrale alla pratica di Ward è il suo approccio trasformativo e collaborativo all’arte, al punto che molti dei suoi lavori nascono da un dialogo diretto con il pubblico.

Ground Break indaga proprio questo aspetto della ricerca di Nari Ward con una selezione di progetti incentrati sulla collaborazione e performatività. La retrospettiva esplora a fondo la carriera dell’artista, presentando oltre trenta opere negli spazi delle Navate e del Cubo di Pirelli HangarBicocca, da lavori storici e seminali mai riallestiti finora a nuove produzioni realizzate per l’occasione. Il percorso espositivo si snoda attorno alle installazioni di grande formato che Ward ha realizzato tra il 1996 e il 2000 come scenografie per la performance Geography Trilogy di Ralph Lemon, tra i maggiori coreografi contemporanei, un progetto collaborativo sviluppatosi nell’arco di dieci anni, che apre una riflessione sui concetti di conflitto e commistione culturale a partire dagli effetti traumatici e perduranti del colonialismo. Per la prima volta vengono presentate in un contesto espositivo queste opere, Geography Bottle Curtain (1997/2024), Geography Pallets (1997/2024), Geography Bedsprings (1997/2024) Geography Temperature Curtain (1997/2024), che creano una nuova coreografia concettuale con gli altri lavori, lo spazio e il corpo dei visitatori stessi.

La mostra si apre con Hunger Cradle (1996), una vasta e intricata installazione composta da una varietà di oggetti sospesi e tenuti insieme da una rete di fili che collegano fisicamente e metaforicamente gli elementi e che i visitatori sono invitati ad attraversare per poter incontrare gli altri lavori esposti. L’opera è nata in un contesto collaborativo, concepita per una mostra che Nari Ward ha auto-organizzato nel 1996 insieme agli artisti Janine Antoni e Marcel Odenbach in una caserma dei pompieri abbandonata sulla 141 Street di Harlem, che sarebbe poi diventata il suo studio. Per l’artista ogni componente del lavoro racchiude in sé una storia e un ricordo specifico, che vengono attivati sia dal luogo da cui proviene sia dalle reazioni che può generare negli spettatori.

Ward prova il desiderio che ogni oggetto venga modificato per creare uno spazio di indagine e trovare un altrove attraverso la collaborazione o il dialogo tra la sua storia, la vista e la relazione con il contesto. Questo aspetto della sua pratica si rifà anche all’approccio popolare di riconfigurare materiali di scarto in prodotti di consumo conferendogli una nuova funzione. Così in Carpet Angel (1992), tappetti, buste e bottiglie di plastica e corde sono utilizzati per creare una figura angelica sospesa sopra un accumulo di oggetti improvvisati in una riflessione sul senso del sacro e sulla spiritualità quotidiana. Mentre in Behold (1996) e Crusader (2005) Nari Ward trasforma un passeggino e un carrello della spesa in oggetti scultorei, ridefinendo la loro funzione sociale e il loro valore economico.

Con Ground Break (2024), opera da cui prende il titolo la mostra, l’artista è interessato all’idea di memoriale di strada, che definisce come uno spazio devozionale e spirituale di scambio non connotato da simbologia religiosa e reso tale dalle memorie collettive di una comunità. Commissionata da Pirelli HangarBicocca, l’installazione è una versione nuova e ampliata di un precedente lavoro a pavimento dell’artista, Ground (in Progress) (2015) ed è formata da circa 4000 mattoni rivestiti di rame posti a terra a comporre un disegno astratto e dai significati simbolici.

Concepito anche come un palcoscenico, il lavoro ospita performance in collaborazione con artisti e musicisti per tutta la durata dell’esposizione, oltre a presentare sulla sua superficie ulteriori opere. Inoltre, già dal titolo, Ground Break, la retrospettiva intende mettere in luce l’indagine di Nari Ward sui momenti di rottura e interruzione, che appaiano instabili e precari, ma allo stesso tempo in grado di creare speranza, dando vita a memorie alternative e nuove possibilità di esistenza al di là della storia e delle convenzioni temporali di passato, presente e futuro. Questa riflessione parte proprio dai materiali e dagli oggetti che compongono le sue opere, elementi che producono un effetto di spaesamento o sospensione sullo spettatore e al contempo danno origine a narrazioni e combinazioni inedite.

Le opere di Ward esistono come entità a sé stanti, ma lo spazio indiviso delle Navate permette di mettere in scena un dialogo costante tra ognuna di esse, offrendo ai visitatori una panoramica mai realizzata finora sul lavoro dell’artista. In particolare, per la prima volta sono esposti insieme e su schermi led tre storici video: Father and Sons (2010), Jaunt (2011) Spellbound (2015).  Temi e immaginari legati alla storia personale di Nari Ward, a quella coloniale e a dinamiche di potere contemporanee si connettono tra loro e si diffondono attraverso lo spazio espositivo. La loro combinazione offre una profonda analisi sui concetti di giustizia sociale, di nazionalità, di cura e sacrificio e sul senso di appartenenza. Mentre il percorso di mostra si conclude nello spazio del Cubo con Happy Smilers: Duty Free Shopping (1996), una complessa ed emblematica installazione, presentata per la prima volta nel 1996 presso Deitch Projects, storica galleria di New York a Soho. L’opera si struttura in due ambienti comunicanti: una prima stanza, decorata con un tendone da esterni e di giallo brillante, è seguita da un labirinto straniante in cui manichette antiincendio sono intrecciate fino a diventare muri, una scala di emergenza è appesa al soffitto e al centro della sala come un altare un impianto audio riproduce in loop il suono della pioggia battente su un tetto di lamiera. Questo lavoro, realizzato con i diversi media e materiali tipici della pratica di Ward, raccoglie e racchiude le molteplici questioni che l’artista affronta, dalla costruzione dello spazio come contenitore della memoria al rapporto con il suo paese natale, la Giamaica, fino all’idea di ascensione, disorientamento e trasformazione che il potere alchemico dell’arte attiva e permette.

 La mostra è visitabile a ingresso gratuito nei seguenti orari di apertura: giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 10.30 alle 20.30. Per info 02 66111573.

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