Guido Harari, alla Fabbrica del Vapore 50 anni di fotografie e racconti: info, orari e biglietti della mostra Incontri

Guido Harari
La Fabbrica del Vapore Cerca sulla mappa

Milano, 03/11/2023.

La mostra Incontri: 50 anni di fotografie e racconti di Guido Harari, aperta al pubblico dal 28 ottobre 2023 al primo aprile 2024 a Milano, presso lo Spazio Ex Messina della Fabbrica del Vapore in via Procaccini 4, racconta non solo la carriera, ma anche gli incontri e i legami di amicizia che il grande fotografo coltiva da cinquant’anni in questo lungo viaggio arricchito dai molti ritratti che ha realizzato.

La mostra è divisa in dieci sezioni che rappresentano altrettanti nuclei tematici che Harari ha sviluppato nel corso del suo lavoro. La prima è Sapessi com’è strano… Omaggio a Milano: il legame con la città in cui Guido Harari è cresciuto e ha iniziato a lavorare è reso ancora più forte grazie agli omaggi ad alcune grandi personalità che hanno reso grande il capoluogo lombardo, da Dario Fo e Franca Rame a Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, ma anche Alda Merini, Ornella Vanoni, Giorgio Armani, Carla Fracci e molti altri.

In Light my fire: il big bang di una passione la stanza di Harari ragazzino viene qui ricostruita idealmente con tutta l’iconografia che lo ha ispirato: poster, foto, riviste e libri d’epoca, pagine di diario, copertine di dischi, autografi e memorabilia. La passione per la musica e i concerti, ma anche il desiderio di conoscere e ritrarre le grandi star della musica italiana e internazionale, sono poi al centro delle sezioni All area access (uno sguardo ravvicinato nei backstage e nei camerini, per ricercare un’intimità e una confidenza con Fabrizio De André, Lou Reed, Kate Bush, Gianna Nannini e tanti altri) e La musica mi gira intorno (la forza propulsiva dei concerti di molti artisti del cuore esplode in tutta la sua potenza, ma sono esposti anche i ritratti delle eccellenze della canzone italiana d’autore, le grandi signore della musica italiana, la primavera dei gruppi indie).

A metà percorso, Il ritratto come incontro custodisce i ritratti e gli sguardi di molte personalità che Harari ha a lungo frequentato e che gli hanno permesso di allargare gli orizzonti della propria passione al di là della musica: José Saramago, Madre Teresa di Calcutta, Allen Ginsberg, Greta Thunberg, Zygmunt Bauman, fra gli altri. Italians raccoglie invece i ritratti di molte personalità ed eccellenze italiane, fotografate come se fossero tutte delle rockstar: da Gianni Agnelli a Rita Levi Montalcini, da Umberto Eco a Liliana Segre, da Ennio Morricone a Umberto Eco, fino a Roberto Baggio.

Guido Harari, eccezionalmente, ha deciso di dedicare una sezione della mostra anche ai ritratti di alcuni dei fotografi che lo hanno ispirato, colti in primi piani che emergono dal buio, quasi a volerlo esorcizzare: nella sezione Il sentimento dello sguardo: i fotografi si trovano, tra gli altri, ritratti di Richard AvedonSebastião Salgado, Letizia Battaglia, Steve McCurry.

In Fotografare senza la macchina da presa, Harari racconta la passione per il progetto grafico come elemento essenziale del racconto, attraverso la curatela dei libri e l’editing di testi, documenti e immagini. Anche i libri sono occasioni per vecchi e nuovi incontri, e qui lo testimoniano le biografie illustrate di Fabrizio De André, Fernanda Pivano, Mia Martini, Giorgio Gaber e Pier Paolo Pasolini.

La penultima sezione, In cerca di un altrove, raccoglie schegge di reportage, ritratti, ricerche e sperimentazioni inedite, alla ricerca di nuovi linguaggi che puntino oltre la fotografia, come antidoti ai rituali della fotografia commerciale e ai ritratti di celebrità. Occhi di Milano è la decima e ultima sezione: una mostra nella mostra in cui vengono esposti in tempo reale i ritratti degli sguardi della città che Guido Harari realizza durante il periodo di apertura della mostra, all’interno della Caverna Magica, ovvero uno speciale set fotografico in cui i visitatori che lo desiderano possono farsi ritrarre da Harari (a pagamento e previa prenotazione on line).

La mostra - prodotta con Rjma Progetti Culturali, Wall of Sound Gallery e Sm-Art - è visitabile nei seguenti orari di apertura: 10.00-19.00 dal martedì alla domenica, con orario esteso fino alle 22.00 il venerdì (lunedì chiuso, tranne 25 aprile, primo gennaio e primo aprile). Biglietti: intero 13 euro (open 15 euro), ridotto 11 euro per gruppi da 10 a 25 persone; ridotto 8 euro per bambini e ragazzi da 6 a 25 anni e disabili; ingresso gratuito per bambini minori di 5 anni. 

Al termine della visita, abbiamo chiesto a Guido Harari di rispondere ad alcune domande su cosa significhi per lui ritrarre e su cosa voglia dire fotografare oggi.

Guido Harari, cosa chiede o cosa cerca alle persone e agli artisti quando si mettono davanti al suo obiettivo?

«Il ritratto, in genere, per me è sinonimo di incontro. Ma non è tanto l’incontro con l’altro, quanto l’incontro con se stessi attraverso l’altro: l’altro fa un po’ da specchio a noi. Nella dinamica che si cerca di creare, nella chimica, l’idea è quella di sbloccare dei meccanismi che abbiamo noi stessi: cercando di sbloccarli nel soggetto, li sblocchiamo automaticamente dentro di noi. È un’esperienza di contatto, dove si possono creare complicità ed empatia; ma si può anche aiutare il soggetto a scoprire degli aspetti di sé di cui non è consapevole e, comunque, a riconoscersi nella foto che si va a realizzare. Questo per me è il ritratto. È un gioco condiviso con altri».

Quali sensazioni e ricordi si porta dietro dopo aver scattato un ritratto? C’è un elemento che ritorna costantemente?

«Conosco un fotografo inglese che diceva: Io, quando faccio una foto a un personaggio, entro nell’ordine dell’idea che ho solo quell’occasione e non lo rivedrò mai più, per cui mi gioco tutte le carte. Poi non voglio diventare amico di questo personaggio. Non lo voglio più vedere. Ho fatto il mio lavoro. Per me è esattamente l’opposto: io voglio diventare amico di quel personaggio, anche se questo può voler dire mettere da parte la macchina fotografica per un po’. Poi quando il rapporto ovviamente si arricchisce, scatta il gioco della fotografia. Per me la chiave è sempre stata la curiosità di conoscere innanzi tutto i musicisti, che sono stati i miei oggetti di affezione fin da quando ero ragazzo, e poi altri personaggi, scrittori, designer e, infine, ora, le persone comuni. Viviamo in un’epoca assurda, divisiva, distruttiva, autodistruttiva, e credo che le persone comuni - che io chiamo persone reali - abbiano delle esperienze minime che però sono quelle di tutti noi, che vengono totalmente ignorate e trascurate dai media e dai social. Voglio entrare in quelle pieghe e, come dicevo, per incontrare anche me stesso. Io nasco come timido e attraverso la fotografia ho esorcizzato la mia timidezza, mettendomi nei panni di chi è timido come me».

In che modo oggi è possibile ritrarre e raccontare una persona?

«Oggi tutti sono succubi dei selfie. Chi ha cominciato a maneggiare bene il cellulare, ha un solo piano di lettura di sé che è peggio del personaggio famoso che sa come mettersi e atteggiarsi per avere il massimo risultato. Lì c’è una mono-lettura: tu non sai come ti vede l’altro, e non ti interessa. Tu ti metti sempre in quella posa, in quell’angolazione, in quella distanza e questo crea un distacco dal resto del mondo: non è più un dialogo, ma un monologo. È possibile fare dei ritratti oggi? Sì, è possibile purché si riporti l’altro sul terreno di un rapporto. Il tempo di una fotografia è un tempo speso insieme, non è il soggetto che si mette a disposizione del fotografo e gli regala una superficie. Il tempo di una fotografia - o di un ritratto, nella fattispecie - è un tempo di incontro, di ricerca di un terreno comune dove si attivano meccanismi di cui non siamo ben sicuri. Ma è proprio lì, il fascino: b isogna che chi fotografa, o chi voglia iniziare a fotografare, ritratti si metta in questa dimensione di ricercare l’incontro con l’altro, togliendolo da quello spazio di auto-lettura a un solo livello».

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