Out of dust + Semper quæro, mostre di Simona Caramelli e Albert Pinya

Albert Pinya, Variazioni sul tema del viso umano: omaggio a Bruno Munari, 2025 Albert Pinya, Variazioni sul tema del viso umano: omaggio a Bruno Munari, 2025
Fondazione Mudima Cerca sulla mappa
DA Giovedì06Novembre2025
A Martedì16Dicembre2025

Dal 6 novembre al 16 dicembre 2025 presso la Fondazione Mudima di Milano (via Tadino 26) sono aperte al pubblico le mostre Out of dust di Simona Caramelli e Semper quæro di Albert Pinya. Per entrambe l'inaugurazione è fissata alle ore 18.30 di mercoledì 15 ottobre; le mostre sono poi è visitabili a ingresso gratuito da lunedì a venerdì dalle ore 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 (per maggiori info: 02 29409633).

La mostra Out of dust presenta diverse sculture inedite di Simona Caramelli appartenenti al ciclo chiamato Rhákhis, concepito dall’artista nel 2025. Queste opere a parete si dispongono intorno a un ideale perno centrale costituito dall’installazione di cinque grandi carte del ciclo a# (2020, ciascuna circa 190 x 140 cm) sospese nello spazio della Fondazione Mudima, la cui superficie argentata e lavorata dall’artista svela un mondo sottostante fatto di interstizi, grovigli, sprofondamenti e spazi mediani tra la luce e il buio. Questo immaginario mobile, che suggerisce un perenne stato di transizione e di metamorfosi, riguarda anche la serie delle sculture in ceramica intitolate Rhákhis (2025), parola che in greco significa spina dorsale e da cui deriva il termine italiano rachide. Il riferimento alla colonna vertebrale appare evidente in queste opere che sinuosamente si arrampicano sui muri, e che slittano suggerendo da una parte una simbologia organica, dall’altra rimandando ad antiche vestigia che riaffiorano da un passato remotissimo, antecedente alla comparsa dell’essere umano sulla terra.

Out of dust diviene quindi il titolo emblematico di un lavoro che partendo dalla terra, di cui la ceramica è composta, riporta l’attenzione a un mondo ibrido in cui natura e cultura, organico e minerale, allusione e realtà, fuoco e acqua si mescolano e si scambiano. Anche le forme delle Kune, un altro dei lavori esposti, rimandano a suggestioni remote, a rituali pagani che chiamano in causa la corporeità tanto quanto l’aspirazione a liberarsene per accedere agli stati più profondi della coscienza. Anche qui la superficie della ceramica, con i suoi passaggi tra lucido e opaco, tra toni terrosi e riflessi argentei, porta in sé la memoria primordiale che pur tuttavia possiede anche la dimensione del futuro. Dalle sabbie dei deserti del tempo e dalla penombra del mito emerge l’immaginazione potente e stratificata di Simona Caramelli, che in questa mostra risuona nelle superfici argentee dell’installazione centrale e nelle forme contorte ma agili delle sculture. Sono opere che parlano di un mondo ancora indiviso, in cui la deriva dei continenti oggi riaffiora nelle tracce delle dorsali oceaniche, oppure ritorna ai nostri occhi sotto forma di reperti ossei di creature che si pongono in una fertile zona mediana tra il mito e la preistoria o che ancora suggeriscono strumenti di liturgie dimenticate. Sono sculture come forme di esistenza rese visibili, o colte nel momento del loro affacciarsi alla soglia di visibilità, il che rende ragione della loro essenzialità formale, che da sempre contraddistingue l’opera dell’artista. Le opere aprono così uno spiraglio sulle fratture e le crepe del mondo, che non necessariamente coincidono con il mondo interiore dell’artista. 

Albert Pinya è considerato tra gli artisti maiorchini della sua generazione con la più rilevante proiezione internazionale. Un eclettico cronachista o un enfant terribile? Figurativo o astratto? Non fa una gran differenza: la figurazione di Pinya è astratta tanto quanto la sua astrazione è figurativa. L’immaginario libero da ogni gerarchia accompagna Pinya fin dalle sue prime opere e con il tempo è diventato più tagliente e diretto; ha acquisito una raffinatezza che pesca nel serbatoio della storia dell’arte, recupera e reintegra brani delle avanguardie storiche e del modernismo, fino al graffitismo e ai Neue Wilder. Un frutto post-moderno forse. Pinya può giocare con diversi stili storici nella stessa opera, oppure riferirsi a un solo stile ma rivoltandolo come un calzino.

Da tempo è caduta nel suo lavoro la separazione tra disegno-pittura-scultura-installazione, tra performance-video-fotografia, in una mescla fertilissima. Per la prima volta Albert Pinya non presenta alcuna pittura su tela e in mostra sono esposte solo opere inedite: da un monumentale totem a piccole uova in ceramica (realizzate in collaborazione con l’officina Cuina de Fang di Ibiza); da sculture stilizzate in ferro a profonde incisioni su pietra (prodotte alla Mármoles Toldrà di Algemesí, Valencia); arazzi, maschere di terracotta, disegni su carta.

Novità assoluta: la tessitura, in particolare l’arazzo. Tecnica di incontro tra manualità e creatività. Il tessuto, proprio come la ceramica e il ferro, rappresenta un materiale con cui reinventare la pittura e con cui stringere nuove collaborazioni con maestri del mestiere. I due grandi murales in mostra sono stati infatti realizzati con la designer Marga Mayol e la ricamatrice Neus Oliver. La ceramica invece, già ampiamente sperimentata attraverso la collaborazione quasi decennale con Català Roig, risponde a un esercizio molto importante dove le forme e i volumi si plasmano ispirandosi al primigenio, al magico, all’ancestrale. Pinya si manifesta all’interno di uno spazio museale con tutto il suo valore intellettuale. Se il graffitismo contemporaneo, contraddistinto per la sua pratica di scrittura con simboli e parole, è da sempre uno stimolo, qui appare chiara la sua ultima ispirazione che sfocia nelle incisioni rupestri della Val Camonica. Pinya, più perfeziona il suo lavoro, più si sente vicino all’uomo primitivo. Totalmente in controtendenza all’intelligenza artificiale, si accosta ai gesti del passato e in questa mostra è portavoce di un modus operandi romantico e forse anche un po’ nostalgico. Rivendica i processi artigianali e la produzione manuale come metodo di espressione sovversivo in un tempo in cui si cerca di sostituire il pensiero con macchine istruite per farlo al posto nostro. Semper quæro, dal latino sempre desidero - sempre alla ricerca, è una scelta tanto stilistica quanto formale. Da una parte la decisione di utilizzare un’espressione di una lingua morta, dall’altra la combinazione di insaziabilità, curiosità e sperimentazione che confermano la cifra stilistica di Pinya.

Argomenti trattati

Newsletter EventiResta aggiornato su tutti gli eventi a Milano e dintorni, iscriviti gratis alla newsletter