Chi dipinge i piccioni a Genova? Una storia d'amore lunga vent'anni

Elena Benini

Riceviamo e pubblichiamo una storia leggera e commovente, da leggere dall'inizio alla fine. L'autrice Elena Benini dedica il suo racconto «a chi non vive da piccione e ha ancora la capacità di farsi delle domande e di guardare oltre le apparenze».

Genova, 05/08/2022.

Genova, città superba che abbraccia tra mare e monti, che culla di musica per le strade e fa venire voglia di camminarsela per intero sotto il suo cielo di nuvole mutevoli, gabbiani, talvolta pappagalli e, com'è ovvio che sia, piccioni.

Perché i piccioni sono tanti, sono ovunque e nessuno ci fa particolarmente caso nel contesto urbano delle principali città europee, ma a Genova, i pochissimi che ci hanno fatto caso negli ultimi vent'anni non hanno potuto fare a meno di notare che alcuni avevano qualcosa di molto diverso rispetto ai loro parenti di tutte le altre città: erano pitturati. Nulla di troppo appariscente, giusto delle macchie di colore sulla punta delle piume remiganti e una sulla coda.

Quando me ne sono accorta nel 2012 ho cominciato a fotografare tutti i piccioni pittati che mi capitavano a tiro e a ogni nuovo avvistamento mi sorgevano nuove domande: chi è che dipinge i piccioni? Come lo fa? Dove? Con che cosa? Ma soprattutto, perché?!? Che si tratti di una nuova forma d'arte moderna?

Per dieci anni queste mie domande sono rimaste senza risposta e quando la vita mi portava a vivere momenti difficili, magari dolorosi, sicuramente totalizzanti, mi capitava tra i piedi un piccione pittato e inevitabilmente mi strappava un sorriso regalandomi un po' di quella leggerezza in più di cui sentivo il bisogno. Quindi, a conti fatti, non più solo una forma d'arte moderna, ma anche una sorta di pratica terapeutica a beneficio di quella fetta d'umanità attenta ai dettagli?

Mi ero quasi rassegnata all'idea che i miei interrogativi sarebbero rimasti per sempre senza risposta quando qualche giorno fa, mentre passeggiavo al Porto Antico, mi sono imbattuta in un piccione pitturato di fresco e mi sono messa come al solito all'inseguimento per immortalarlo, cosa non proprio facile data la mobilità del soggetto. Sullo sfondo dell'ennesima foto sfocata, mi accorgo di un uomo seduto su una panchina, circondato da piccioni e con accanto delle boccette di smalto per unghie. 

Mi avvicino incredula e gli chiedo se è lui l'uomo che dipinge i piccioni. Mi dice di sì e che lo fa per ricordarsi quali sono i piccioni a cui ha curato le zampine nel corso degli ultimi vent'anni. Gli dico che io sono dieci anni che lo cerco e lui mi guarda con un mezzo sorriso come a dire "mi sa che mi hai trovato". 

Mi siedo sulla panchina accanto a lui e lo ascolto raccontare. Prima lavorava in posta, mi dice, e prendersi cura dei piccioni una volta in pensione gli è sembrato tutto sommato naturale dato che, a loro modo, anche i piccioni hanno da sempre avuto a che fare con la posta. Mentre mi parla ne tiene d'occhio uno che cammina male perché ha le zampine impigliate in qualcosa di sottile che sembrano capelli. Si impigliano facilmente, continua a raccontarmi, perché non guardano mai per terra mentre camminano e poi perché si fanno i nidi con tutto quello che trovano e finisce spesso che gli si attorciglino attorno alle zampe fili, lacci o capelli che a lungo andare si stringono sempre di più fino a ferirli o addirittura a fargli perdere le zampe.

Il signor A., così si chiama il pittatore dei piccioni genovesi, li attira con un po' di granaglie vicino ai suoi piedi e con un gesto deciso ma delicato riesce ad afferrare proprio quello che stava tenendo d'occhio da un po'. Sono accanto a lui mentre lo guardo liberargli le zampine con l'aiuto di un paio di pinzette e delle forbicine e poi decidere il colore con cui lo marchierà: per questa volta un rosa acceso.

Gli chiedo se posso aiutarlo e intanto scatto qualche foto, perché so già che nel momento in cui lo racconterò in pochi mi crederanno. Quando lo saluto lasciandolo al suo lavoro, penso che, a conti fatti, per il signor A. non si tratti di un gesto artistico (anche se è indiscutibilmente una forma d'arte particolarmente estrosa), che non si tratti nemmeno di un gesto terapeutico a beneficio di chi si ferma a guardare i dettagli (anche se oggettivamente raggiunge in pieno anche questo scopo), ma si tratti "solo" di un gesto d'amore e di rispetto per degli esseri viventi di cui nessun'altro si prende cura.

Mentre mi allontano, però, penso anche che la forma di vita più numerosa, infestante e dannosa di tutte le città del mondo non sono tanto i piccioni, quanto tutti quegli esseri umani che passano il loro tempo ad arrabattarsi in cerca del di più senza mai farsi domande, senza mai guardare oltre il proprio naso, dimentichi di cosa significhi condividere o essere grati e che, proprio come i piccioni, non si curano di dove mettono i piedi col rischio di impigliarsi in lacci da cui poi non riescono più a liberarsi da soli. 

Questo articolo lo dedico a tutti loro, augurandogli di incontrare strada facendo un signor A. che li noti, li attiri e se ne prenda cura senza chiedergli nulla in cambio, ma lo dedico anche a chi non vive da piccione e ha ancora la capacità di farsi delle domande e di guardare oltre le apparenze: a te auguro di osservare il mondo con gli occhi di chi cerca coloro che hanno bisogno di aiuto, ma che non hanno voce per chiederlo, così potrai diventare il signor A. di qualcuno, creare arte dall'amore e rendere il posto in cui vivi un po' più unico nel mondo.

Di Elena Benini

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