Adolescenti e G8 in scena per la regia di Elena Dragonetti

Federico Pitto
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Genova, 01/11/2021.

Shakespeare per raccontare la storia con la 'S' maiuscola, travestiva l'attualità prendendo a prestito trame e costumi di un tempo lontano, elaborando cronache di un passato remoto. Oggi, è ancora il teatro a farsi carico della Storia. Sempre più spesso, mette mano al contemporaneo che tanto in fretta scompare dalle cronache e cade nel dimenticatoio, restando un magma informe di cui si perde il capo e la coda. 

Per raccontare il G8 di Genova a 20anni di distanza (2001- 2021), il Teatro Nazionale di Genova è partito dalla nuova drammaturgia, commissionando 9 testi a 9 artisti per altrettante regie all'interno di G8 Project 2021 in cui, in coda, era previsto anche Quel che resta del fuoco: produzione nata da una nuova edizione del percorso di teatro professionale per adolescenti che Elena Dragonetti propone fin dal 2016. Dopo la call rivolta a studentesse e studenti delle scuole superiori, lo scorso maggio, 18 adolescenti si sono impegnati/e per dar vita a uno spettacolo dall'impianto corale, realizzato adottando un linguaggio sia verbale che non verbale (coreografie di Serena Loprevite). Tra parole, mimo, gestualità simboliche ed evocative, l'intento è far emergere dalle ceneri un caleidoscopio di emozioni.

Armoniosamente conteso tra favola ed epica, un evento tragico e mitico del nostro tempo, il G8 di Genova è stato recuperato come fosse una parte fragile, rosa dal fuoco, ritrovata sotto la cenere, di cui per fortuna o per caso si distingue ancora a sufficienza, per ricomporne i pezzi mancanti. Questa generazione sul palco, però, non era ancora nata in quei giorni.

Avvolti, palco e oggetti di scena, in un polveroso grigio cenere (scene e costumi di Anna Varaldo), il simbolismo proposto dallo spettacolo conduce dentro le spire di una nebbiosa fuligine per poi, progressivamente, dirigersi nella direzione del fuoco. Proiettandosi verso l'idea di ricostruire, ma anche di riaccendere il pensiero critico, la capacità di azione e, sì, anche l'interesse verso la Storia, il simbolismo cromatico gioca su ciò che è accesso e ciò che è spento, ma forse non per sempre. Lo spettacolo mette alla prova sentimenti e idee che stavano dietro a un evento tanto intriso di prepotenza, violenza e contraddizioni quanto animato da ideali, sogni e ambizioni.

Il fuoco dunque inteso come metafora che rimanda a scontri, vandalismi, sangue: quello di allora. Il fuoco però è anche uno stato d'animo legato a uno stadio dell'esistenza umana: quello della giovinezza, quello del tempo delle passioni, della primavera ovvero il presente di questi/e adolescenti in scena. Figure che fremono dentro gli attimi ora fulminei ora lentissimi della loro emancipazione: dall'infanzia alle porte dell'età adulta; dall'obbedienza alla formazione di una voce; dall'accettatione all'assunzione di responsabilità, in primis verso la propria identità che si scontra contro un ordine, un modo di governare, gestire la società sempre troppo gerarchico e paternalista.

Pallido fuoco quello di questa generazione, tra braci e micce spente dopo la pandemia da Covid-19. C'è bisogno di ritrovare coraggio, motivazione, senso di vicinanza, connessione, sguardo e ascolto. Con la favola si entra in un tempo di peste/pandemia che permette, boccaccescamente, di inoltrarsi nel rito dei racconti e narrare, facendo l'occhiolino a Lewis Carroll, dell'inadeguatezza degli adulti nell'affrontare verità scomode e questioni scottanti come il G8 genovese. Vestendo i panni (rossi) di una sorta di compromesso tra la Regina di cuori e Mary Poppins, Barbara Moselli governa i suoi discepoli proprio come un'insegnante per me bene, timorosa e cauta all'idea di esporsi proponendo un discorso politico in classe. Una figura che guida senza saper davvero come indirizzare, che manipola la lingua per dire in modo assoluto senza dire mai niente, per maneggiare senza scottarsi né assumersi qualche responsabilità una materia tanto incandescente come è ancora oggi il G8 di Genova. Tra qualunquismo, perbenismo, buone maniere e quieto vivere chiude la partita con "un minuto di silenzio".

E siccome dove c'è una regina, come in tutte le favole c'è anche un re. Ecco entrare in scena Marco Taddei: una figura di nero vestita, muta ma armata di un lungo bastone con cui comunica con il popolo, essenzialmente mortificandolo e riducendolo a cieca obbedienza e sudditanza. Sì, un re, o qualcosa di simile, che di fronte ai corpi minuti, vestiti di pallidi colori pastello rimanda per qualche istante a Creonte e al conflitto tra la legge degli uomini e quella divina, tra autorità e potere. Si tratta solo di un fugace momento, poi abiti e gesti ricalcano il profilo di un gerarca della Gestapo. La trasfigurazione prosegue e, in un faccia a faccia impossibile, l'inquietante figura si trova di fronte a Carlo Giuliani, il ragazzo di 23 anni, manifestante, ucciso il 20 luglio 2001 da un carabiniere coetano, Mario Placanica. Ad indossare la canottiera bianca Alessio Zirulia che, con accanto uno degli interpreti adolescenti, sdoppia la propria figura per uno scambio parlato e danzato.

C'è poi la fatina buona, Alice Giroldini, la stessa che nel prologo spargeva - come folletto dispettoso - cenere dappertutto. Nell'epilogo è Maddalena, una fata bambina che raccoglie Carlo e lo porta al mare per allontanarlo per sempre da tanta bruttura e crudeltà. L'immagine della fata bambina che salva l'anima della vittima lavandone il corpo nel mare, rimanda a un momento dello spettacolo in cui molte altre ingiustizie e forme di abuso di potere e violenza vengono ricordate dalle guerre in Iraq, Afganistan, Siria, le migrazioni forzate e i viaggi della speranza accompagnati da nefasti naufragi nel mediterraneo o da catture e campi di detenzione e tortura in Libia. Per contrasto i primi 10 articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Assemblea Generale delle Nazioni Unite 1948) vengono recitati. Uno in particolare resta, aleggiando, in scena, è l'Articolo 3: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona", mentre prima (o dopo) si è mimato quanto accadde la notte del 21 luglio, con l'irruzione delle forze di polizia alla Scuola Diaz e il conseguente pestaggio di manifestanti inermi (molto addormentati), da cui emergono corpi esanimi e sanguinanti che a decine vennero caricati come sacchi di sabbia - dopo essere stati brutalizzati - per essere trasferiti alla caserma di Bolzaneto. Il rumore era quello di fiammiferi spezzati ma a spezzarsi erano costole.

I tasselli ci sono tutti nel testo di Carlo Orlando, ma soprattutto nella regia di Elena Dragonetti. Favola ed epica sono gli strumenti che si occupano dei concetti portanti, vanno a braccetto per far emergere storture e malvagità della Storia. Come nel romanzo di Kazuo Ishiguro (1989), Quel che resta del giorno (The remains of the day), l'intento è capire, fare un bilancio, ma con la parte sensibile della Storia al di là e oltre a quella razionale; porsi di fronte alla parte umana, quella che nel quotidiano spesso ci sfugge o viene travolta dagli eventi stessi. Non c'è bisogno di indicare, di puntare con il dito, niente retorica. Dragonetti conduce, tiene insieme, accorda, ma è chiaro che lascia generosi spazi ai corpi flessuosi e alle espressioni che via via si disegnano sui volti di ragazze/i interpreti, mentre ognuna/o, con ingenua fiducia, a modo proprio, senza filtri, è freccia! Freccia che va a segno, di continuo, facendo accaponare la pelle e commuovere.

Sala Mercato 28 - 30 ottobre 2021

G8 PROJECT 2021

Quel che resta del fuoco

di Carlo Orlando

regia Elena Dragonetti

con Alice Giroldini, Barbara Moselli, Marco Taddei, Alessio Zirulia

e 18 studenti delle Scuole Superiori di Genova: Francesca Battifora, Cecilia Bettuzzi, Giulia Boiardo, Marianna Botticelli, Margherita Buda, Agata Canziani, Carlo Jairo Froi, Zeno De Marco, Christian Dos Reis, Camilla Icardi, Elia Marchetti, Lukas Mone, Beatrice Papei, Sara Pensiero, Chiara Schiaffino, Alessia Cataldi, Marzia Criniti e Gabriele Vitulli

scene e costumi Anna Varaldo

coreografie Serena Loprevite

video e luci Davide Riccardi

produzione Teatro Nazionale di Genova

Lo spettacolo ha visto la collaborazione degli istituti superiori di Genova I.S.S. Einaudi Casaregis Galilei, Liceo Statale Piero Gobetti, Liceo Statale Sandro Pertini, I.P.S.I.S. Gaslini Meucci, I. I. S. S. Duchessa di Galliera, Liceo Classico Statale Andrea D’Oria, I.S.C.S. Eugenio Montale Nuovo IPC

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