Genova, 20/05/2020.
Trasformare la crisi in opportunità. Senza perdere di vista «quell'emozione, che solo lo spettacolo dal vivo è in grado di suscitare». In attesa di tornare in platea il Teatro dell'Ortica pensa a «un futuro tutto da ripensare», a partire dal Festival dell'Acquedotto, appuntamento fisso dell'estate genovese che slitta di qualche mese: «Anziché tra giugno e luglio, come sempre, contiamo di realizzarlo tra fine agosto e settembre», dice il direttore artistico Mirco Bonomi, che, insieme ad artisti e collaboratori del teatro non si è fermato un attimo durante l'emergenza Coronavirus.
Il lavoro, infatti, si è trasferito in rete, anche se è mancato e manca quel contatto fisico indispensabile nel teatro: «Abbiamo continuato online il progetto di pedagogia teatrale e teatroterapia, con studenti collegati da tutta Italia, con i quali invece prima ci vedevamo nei weekend e a breve stiamo cercando di trovare il modo per avviare delle selezioni a distanza per un bando di formazione di attori».
Anche il teatro sociale, punto di forza della compagnia, non si è fermato, con alcune eccezioni che il Coronavirus con le sue chiusure purtroppo ha costretto in un angolo: «Il gruppo Stranità, una realtà ormai consolidata, ha continuato a vedersi in streaming, anche se non è sempre facile, visto che spesso, chi ha disabilità ha anche problemi con la tecnologia e lavoriamo anche solo in audio. Abbiamo proseguito anche con i laboratori teatrali per le scuole con un gruppo di studenti tra i 15 e i 18 anni del Majorana e del Marsano, con cui stiamo facendo un lavoro di suggestioni musicali e di raccolta di idee che diventeranno un copione. Anche se lavorare in video non aiuta la concentrazione». Hanno invece subito una battuta d'arresto: «I progetti con il carcere, quelli con le donne che hanno subito violenza e con i senza dimora. Si tratta di situazioni delicate che non è stato possibile agganciare in rete».
Con «un futuro tutto da scoprire e un presente difficile», si guarda al 15 giugno: «La riapertura dei teatri non vorrà dire un ritorno del pubblico in sala, ma cominceremo ad andare in ufficio a turno, ci divideremo per le prove degli spettacoli da presentare per il Festival dell'Acquedotto, rivedendo le distanze, e lavoreremo a un piano B per le emergenze, facendo registrazioni di qualità da avere di riserva nel caso dovessero saltare degli spettacoli dal vivo». Sì, perché il virus ci ha insegnato anche questo, a sfruttare tutte le potenzialità e i mezzi che abbiamo a disposizione per non trovarci impreparati: «Dobbiamo trovare un'opportunità anche nella crisi, che sicuramente ci ha insegnato a usare in maniera più creativa diverse piattaforme e anche quando torneremo a incontrarci quanto acquisito rimarrà»
L'incognita, invece: «È l’autunno, l'inverno e la prossima primavera, perché non sappiamo quanti saranno invogliati ad andare a teatro con le misure restrittive previste e questo ritengo sia un problema. Anche perché ha delle ricadute economiche non indifferenti che richiedono un sostegno da parte dello Stato: con una moratoria su affitti e spese e con gli ammortizzatori sociali che dovranno proseguire nel tempo». Si lavorerà in perdita, infatti: «Perché lì dove prima per un laboratorio potevi ospitare 30 o 15 persone ora ne possono entrare la metà, e devi lavorare il doppio, stessa cosa per il Festival dell'Acquedotto dove ci sarà una maggiore spesa, ma un minore incasso».
Di Rosangela Urso