Naim Abid: musicista, vlogger e studioso dei diritti umani. La storia di un cantante on the road

Genova, 11/04/2023.

Musicista, globetrotter, vlogger, crooner, performer, produttore. Tutto questo è Naim Abid. Classe 1983, nato a Torino da genitori iraniani, si può definire un'anima talmente poliedrica da rendere quasi difficile una sua presentazione: «Effettivamente non saprei da dove iniziare, ma se dovessi trovare un'introduzione, partirei col dire che sono un cantante. In questa eterogeneità mi trovo molto bene, però. Credo sia un punto di forza, anche se a volte questa caratteristica può essere d'intralcio, perchè rende difficile incasellarti, soprattutto in Italia, dove la settorializzazione tende ad essere piuttosto forte».  

«In altri paesi, per quanto riguarda il mondo della musica», continua Naim, «spesso si trovano artisti che passano tranquillamente da un genere all'altro. Anche gli attori americani, ad esempio, molte volte sono musicisti o comunque hanno altre competenze».

La musica, questo termine che compare in maniera così preponderante della vita di Naim, è sicuramente il suo mondo. La militanza nella band TuaMadre e le esperienze di crooner, passando per jazz e swing, in Italia e all'estero, fanno del palcoscenico uno dei luoghi preferiti di Naim: «La mia è proprio una necessità. Ho bisogno di comunicare e di sentirmi unito alle persone. I miei concerti non sono frontali, non mi metto davanti al pubblico e canto, perchè mi sembra un modo distante di stare sul palco. Voglio coinvolgere il più possibile chi viene a sentirmi, per far diventare lo spettacolo un'esperienza che non definisco comune, ma comunemente vissuta».

Oltre alla musica, nella vita di Naim, c'è un'altra costante, quella del viaggio. Naim on the Road è un suo progetto titanico, che ne è la prova concreta. Parliamo di venticinquemila kilometri da nord a sud, attraversando duecento località da nord a sud in Italia, in dodici mesi, producendo decine videoclip, due album e un podcast. «Mi sono imbarcato in questa impresa da qualche tempo, ma prima di organizzare tutto ho attraversato alcuni step. Il primo è stato in occasione di un mio spostamento in Oman, per un concerto all'interno del mio progetto Crooner's Night. Sull'aereo ho avuto una sorta di epifania e mi sono reso conto che volevo viaggiare suonando. Da sempre sono stato attratto dal cosmopolitismo e dall'internazionalità, ma ancora non avevo bene messo a fuoco quello che significava veramente. Il secondo step è stato in Alto Adige, qualche anno dopo, vedendo una fila lunghissima di Giapponesi ordinatissimi, che scattavano foto. Mi sono reso conto che dovevo per forza scoprire il Giappone, quella sorta di mondo a sè stante dentro al mondo. Il terzo step è stato... sotto la doccia (ride), quando mi sono reso conto di colpo che volevo visitare la Cina, registrando un album di canzoni scritte seguendo l'ispirazione datami da quei luoghi. Purtroppo poco dopo il mondo è stato travolto dalla pandemia e ho dovuto accantonare l'idea, ma dall'estate 2020 sono finalmente on the road, scegliendo di viaggiare in lungo e in largo per l'Italia».

Munito di attrezzature video e audio, completamente da solo, inizia l'avventura, il cui nome, Naim on the Road, viene ispirato dalle vie di Parma: «Passeggiando, il progetto ha finalmente preso forma nella mia mente. Volevo girare dei video in cui interpretavo canzoni ispirate dai luoghi da me visitati o i cui testi potevano avere un legame con l'ambiente e il territorio che stavo attraversando».

Il viaggio dura dieci mesi, periodo in cui Naim colleziona tonnellate di materiale. Materiale che viene quasi totalmente perso a causa della caduta di un hard disc, finito in mille pezzi: «Dopo un attimo di panico ho deciso di rifare tutto, apportando alcune modifiche all'itinerario. Ad oggi ho visitato tutto il visitabile, da Courmayeur a Pentidattilo in Calabria, mi mancano solo Sicilia e Sardegna. Ho prodotto video dal vivo e altri tematici, tra cui quelli che mi vedono in quaranta piazze italiane, cantando Piazza Grande di Lucio Dalla oppure  quelli che ho girato negli ottanta piccoli borghi che ho visitato, cantando Guido piano di Fabio Concato. Ho visitato anche una trentina di posti abbandonati, dalle chiese alle ex basi militari, in cui mi sono introdotto, vestito di tutto punto, per cantare un mio brano inedito, dal titolo Fretta, che parla del passare del tempo e che quindi ben si lega alla decadenza di quei luoghi. Anche l'abbigliamento super elegante ha un senso, perchè contrasta il senso di abbandono di quei luoghi. Insomma, tanti piccoli progetti all'interno di un enorme progetto on the road».

Quando si viaggia si lasciano pezzi di cuore qua e là e anche in questo Naim è eterogeneo, perchè di frammenti di sè ne ha sparsi parecchi, in altrettanti posti: «L'Abruzzo e le Marche in generale mi sono piaciuti tantissimo, così come la salina in Puglia in cui ho cantato Sapore di sale. Un posto stranissimo, sembrava un paesaggio lunare! E poi ancora Alba Fucens, un sito archeologico in Abruzzo, che ha fatto riemergere in me l'antico interesse per il mestiere di archeologo, che era un po' il mio sogno di bambino».

Nella miriadi di luoghi visitati ci sono altrettanti incontri con le persone, che ne sono la vera anima. Gli anedotti di questo lunghissimo viaggio sono innumerevoli: «Sempre ad Alba Fucens ho visitato la Chiesa di San Pietro. È chiusa, le chiavi sono in possesso di una signora la cui fiducia ho dovuto conquistare con tantissima difficoltà, vivendo momenti di tensione da scene western. Ci mancava solo la colonna sonora di Ennio Morricone, quella che si ascolta nelle scene in cui i due pistoleri si guardano negli occhi! Mi viene poi in mente un incontro a Bavagna, un piccolo borgo in Umbria, con un signore di ottant'anni che, con la pagnotta ancora calda di forno, molla tutto e si mette a farmi da guida, raccontandomi episodi risalenti all'occupazione tedesca. Potrei scrivere un libro! Progetto che vorrei realizzare in futuro, insieme ad un documentario».

È chiaro che il viaggio sia qualcosa di scritto nel Dna di Naim Abid, che non è solo un musicista, ma è anche un accademico. Laureato in Scienze internazionali e diplomatiche, con un dottorato di ricerca in Democrazia e diritti umani, ha scritto numerosi paper sulla situazione delle donne in Iran e sulla persecuzione della comunità bahà’ì, di cui Naim fa parte e che è strettamente legata alla sua visione internazionalista: «Si tratta di una religione recente, in quanto nata nel 1844 e poi diffusasi in tutto il mondo. In ogni località è possibile trovare persone di religione bahà’ì. Dai quindici anni in avanti si può decidere di aderire a questa fede, che si basa sulla libera ricerca individuale della verità. Il profeta fondatore è Bahá'u'lláh, che nasce in Iran nel 1817 e dopo quarant'anni di esilio muore nel 1892 in quello che adesso è Israele, che quindi anche per noi è considerata una terra santa. La nostra religione è basata sull'idea di un unico dio, una realtà spirituale di amore e armonia, paragonabile al sole, che ci da vita e ci scalda attraverso i raggi, che non sono altro che le varie religlioni presenti sulla Terra, diffuse dai vari profeti, come Gesù Cristo, Maometto o Zoroastro, considerati lo specchio che riflette la luce solare e che la irradia. La visione quindi è di accettazione di un'unica umanità, che semplicemente si differenzia. Una delle motivazioni della persecuzione della religione bahà’ì, che appunto studio da tempo, risiede nel fatto che non è tra quelle menzionate nel Corano, datato attorno al settimo secolo d.C. La fede bahà’ì nasce nel 1844 e da questo scarto temporale nasce il problema, che riguarda l'assenza di tutele, anche dal punto di vista costituzionale, essendo l'Iran una forma di stato particolare, in quanto potere religioso e potere temporale hanno un confine molto sottile».

Dalla musica, ai viaggi, alla divulgazione. Non è un caso che per un po' Naim abbia accarezzato l'idea di diventare docente universitario a tempo pieno, ma poi la musica ha preso il sopravvento. Tuttavia questo lato legato alla comunicazione culturale non è svanito: «Durante i miei concerti alterno canzoni a momenti di racconto, di condivisione e - perchè no - di informazione, quindi si può dire che l'anima del musicista e quella dell'accademico convivano serenamente, insieme alle altre milioni di sfaccettature che convivono in questo fragile corpo (ride!)».

Di Paola Popa

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