Magazine, 21/01/2022.
REGIME IMPATRIATI IN ITALIA, Le agevolazioni dopo l’entrata in vigore del Decreto Crescita 2019.
Una delle misure volte ad incentivare l’ingresso in Italia di lavoratori sicuramente più apprezzate e che ha registrato un ampio utilizzo è il regime dei Lavoratori Impatriati. Si tratta di una norma introdotta per la prima volta dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15 modificata (per l’ultima volta) dal Decreto Crescita, D.L. n. 34/19. In particolare, come vedremo il Decreto Crescita ha apportato ingenti modifiche alla disciplina dei Lavoratori Impatriati in Italia.
Per questi lavoratori è riservata una particolare agevolazione fiscale.
Ci riferiamo alla possibilità di tassare al 30% (o 10%) i redditi da lavoro dipendente, lavoro autonomo o di impresa (esercitati in forma individuale) per 5 periodi di imposta (di base) estendibili, al verificarsi di ulteriori condizioni, per ulteriori cinque anni.
La norma risulta particolarmente interessante ed applicabile sia ai cittadini italiani espatriati all’estero, sia a soggetti con cittadinanza estera che impatriano in Italia per lavoro. La norma è, quindi, volta ad incentivare il rientro in patria di lavoratori che negli ultimi anni vivono stabilmente all’estero. Tuttavia, allo stesso tempo si cerca di invogliare cittadini stranieri a trasferirsi in Italia per lavoro.
La norma prevede una serie di requisiti da rispettare per poter beneficiare di questa agevolazione. Inoltre, la normativa richiede che sia il lavoratore a dover autocertificare la presenza di questi requisiti, senza poter beneficiare della possibilità di usufruire dell’interpello probatorio (ovvero la possibilità di chiedere direttamente all’Agenzia delle Entrate il rispetto o meno dei requisiti richiesti)
Regime dei lavoratori impatriati in italia: la norma
Il regime dei lavoratori
impatriati in Italia è disciplinato dall’articolo 16 del D.Lgs.
n. 147/2015 c.d. “Decreto internazionalizzazione”
(Gazzetta
Ufficiale n. 132 dell’8 giugno 2016). Si tratta di una
norma avente carattere strutturale, che dispone quanto segue:
I redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di
lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono
la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2
del DPR n 917/86 concorrono alla formazione del reddito complessivo
limitatamente al 30% del suo ammontare (…).
Articolo
16, comma 1, DLgs n 147/15
L’agevolazione in commento prevede un duplice ambito di applicazione. Si tratta dei requisiti richiesti dal comma 1 e dal comma 2 dell’articolo 16 D.Lgs. n. 147/15. Ogni soggetto interessato all’agevolazione ha facoltà di verificare in quale dei due ambiti verificare i propri requisiti. In entrambi i casi l’agevolazione a cui si ha beneficio rimane identica. Tale regime è stato ridefinito dal D.L. n. 34/19, c.d. “Decreto Crescita“. Tra le novità principali l’eliminazione dell’obbligo di iscrizione AIRE e l’estensione dell’agevolazione per un ulteriore quinquennio (al verificarsi di alcune condizioni espressamente previste).
Andiamo ad analizzare, quindi, di seguito i due ambiti dell’agevolazione legata ai lavoratori impatriati in Italia, tenendo in considerazione anche quanto chiarito con la Circolare n. 33/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate e con la precedente Circolare n. 17/E/2017 (Parte II, paragrafo 3).
Requisiti soggettivi dell’agevolazione impatriati
L’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 definisce i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per accedere al regime speciale dei lavoratori impatraiti. Come anticipato i requisiti del comma 1 e del comma 2 dell’articolo in commento sono da verificare alternativamente al fine di poter fruire dell’agevolazione.
Articolo 16, comma 1 del dlgs 147/15:
requisiti
Il comma 1 dell’articolo 16 del D.Lgs. n.
147/15, prevede il rispetto di alcuni requisiti per l’ottenimento
dell’agevolazione. In particolare, la tassazione ridotta del
reddito avviene rispettando le seguenti condizioni:
Articolo 16, comma 2 del dlgs 147/15:
requisiti
Il successivo comma 2 dell’articolo 16,
estende i medesimi benefici fiscali ai soggetti di cui all’articolo
2, comma 1, della Legge n. 238/10. Si tratta dei cittadini
dell’Unione Europea, che abbiano risieduto continuativamente per
almeno 24 mesi in Italia e che, sebbene residenti nel proprio Paese
di origine:
Relativamente ai rapporti tra i due menzionati commi, la Circolare n. 17/E/2017 ha chiarito che:
“l’art. 16, comma 2, però, nonostante richiami espressamente
i soggetti della Legge n. 238/10, secondo quanto si evince dal
Decreto attuativo, richiede solo alcuni
dei requisiti soggettivi” ivi
previsti. In particolare, non si richiede, ad esempio:
né che il lavoratore sia stato precedentemente residente in
Italia per almeno ventiquattro mesi e che resti in Italia per
almeno cinque anni, né che abbia trasferito la residenza in Italia
entro tre mesi dall’inizio dell’attività.
Tuttavia, come riportato dalla Circolare n. 33/E/2020 nonostante il comma 2 non indichi espressamente un periodo minimo di residenza estera come chiarito con la Risoluzione n. 51/E/2018, considerato che il medesimo comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, si ritiene che anche per detti soggetti “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisca periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire l’accesso al regime agevolato“.
REGIME IMPATRIATI, COME PRESENTARE L’AUTOCERTIFICAZIONE AL PROPRIO DATORE DI LAVORO? Lavoratori impatriati: richiesta dell’agevolazione
I lavoratori dipendenti per applicare l’agevolazione devono presentare una richiesta scritta al datore di lavoro resa mediante autocertificazione ex DPR n. 445/2000 che contiene:
A seguito del ricevimento della richiesta il datore di lavoro applicherà le ritenute fiscali sul 30% (10% o 50%, a seconda dei casi) delle somme e dei valori imponibili corrisposti dal periodo di paga successivo al ricevimento della richiesta da parte del dipendente. L’avvio dell’agevolazione si ha a partire dal primo periodo di imposta di residenza fiscale italiana del lavoratore.
La richiesta deve essere presentata all’attuale datore di lavoro anche in caso di seconda o ulteriore assunzione (rispetto a quella per cui il lavoratore è rientrato). Nel caso in cui il datore di lavoro non possa riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne (in presenza dei requisiti) direttamente in dichiarazione dei redditi. In questo caso il reddito da lavoro dipendente deve essere indicato in misura ridotta (Circolare n. 17/E/2017).
Nell’ipotesi in cui l’impatriato non abbia formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta in cui è avvenuto l’impatrio, né ne abbia dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi, i cui termini di presentazione risultano scaduti, per detti periodi di imposta, l’accesso la regime è da considerarsi precluso. Sono valide le dichiarazioni presentate nei 90 giorni dal termine ordinario di scadenza (c.d. “dichiarazioni tardive“). Trattandosi di regime opzionale è preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi “integrativa a favore“, oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza ordinaria.
Inoltre, non vi sono le condizioni per accedere all’istituto della remissione in bonis, che ammette la possibilità di esercitare tardivamente l’opzione per un beneficio fiscale o un regime agevolato quando il contribuente abbia tenuto un comportamento non coerente con il regime opzionale.
Nell’ipotesi in cui i termini di presentazione della dichiarazione siano scaduti, rimane ferma la possibilità per il contribuente di fruire del regime per i restanti periodi di imposta del quinquennio.
Il datore di lavoro deve dare evidenza del beneficio applicato nella CU del dipendente:
Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non possa riconoscere l’agevolazione (o in assenza di un datore di lavoro italiano) il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi.
In tale caso il reddito di lavoro dipendente va indicato già nella misura ridotta. Il datore di lavoro dovrà dare evidenza della mancata applicazione del beneficio nella CU del dipendente: