
Roma - A un passo da Fontana di Trevi, in una di quelle vie che i romani evitano tassativamente perché affollata da un esasperato turismo di massa, ma che dopo la pandemia ha riacquistato la sua quasi originaria fisionomia, tra negozi di souvenir, improbabili supermercati e fast food, al civico 78 di via delle Muratte, colpisce una porta a vetri discreta da dove si intravede un interno elegante ed eclettico al tempo stesso, ci troviamo davanti al neonato Don Pasquale, ristorante che nasconde un ricercato e inusuale hotel a cinque stelle, il Maalot Hotel.
L'edificio che ospita questa new entry romana è uno dei tanti edifici storici del centro della capitale, dove visse per alcuni anni Gaetano Dozzinetti, ops Donizetti. Lapsus non proprio freudiano, infatti è lo stesso Giuseppe Gioacchino Belli a chiamarlo con questo curioso soprannome per via del gran numero di opere composte specialmente negli anni trascorsi a Roma. Non a caso il nuovo ristorante nato proprio in un'ala di questo edificio prende il nome di Don Pasquale, opera buffa scritta dallo stesso Donizetti tra il 1842 e il 1843.
Dell'opera Donizettiana ritroviamo l'atmosfera giocosa intercalata da frequenti richiami colti degli interni studiati nei mini particolari con una ricercatezza quasi maniacale, mai casuale e apprezzatissima che porta la firma dell'architetto Roberto Antobenedetto di RPM Proget.
Un po' quinta teatrale, un po' foyer, un po' ristorante, un po' bistrot, un po' casa, di quelle case antiche e aristocratiche dove lunghi corridoi nascondono stanze vissute da oggetti e arredi che raccontano una storia, quella della famiglia che l'ha abitata da generazioni.
E in questo salotto che ricorda appunto un palcoscenico con una raffinatissima quadreria ci si sente coccolati dallo staff giovanissimo come giovanissimo è quello del Vilòn con il ristorante Adelaide parte della stessa collection che anticipano altre due nuove aperture a partire dalla prossima estate sempre nel cuore di Roma.
In questa atmosfera ovattata, catapultati in un'epoca senza tempo, convenzioni e formalità, diventa piacevole soffermarsi nella veranda del Don Pasquale per un avocado toast durante una veloce pausa pranzo, o adagiarsi tra i divani della coctkail room per un aperitivo dove finger food nati dalla cucina diretta dallo chef Domenico Boschi, anche lui giovanissimo, sono l'espressione gioiosa di una cucina schietta ed elegante dai sapori lineari, distinti e asciutti che esplodono nel palato accarezzando ogni senso. Ottimi i maritozzi salati e le diverse rivisitazioni del baccalà, uno dei piatti tipici romani e di una trattoria ottocentesca tale Trattoria dell'Armellino che risiedeva a pochi metri da qui, famosa per il suo baccalà con pomodoro e zibibbo.
Certo, non ci troviamo nel ristorante di un tradizionale hotel a 5 stelle dove la reception qui diventa uno studio di casa dalle ampie poltrone con un'imponente libreria che raccoglie una serie di pubblicazioni d'arte e teatro tale da distogliere lo sguardo dei clienti che al Maalot Hotel diventano ospiti nel vero senso della parola.
Dopo il nascosto ristorante Adelaide raccolto e protetto dalle mura di Palazzo Borghese, il Don Pasquale si apre ai suoi ospiti per ogni momento della giornata da trascorrere avvolti dall'atmosfera ovattata pensata e progettata dall'estro dell'architetto Antobenedetto che come un meticoloso artigiano cesella ogni angolo del ristorante e delle stanze che animano l'Hotel Maalot, nei piani superiori dell'edificio. Ogni stanza ha una sua anima, un suo colore, un suo carattere, una sua metratura, ma sono tutte idealmente collegate da un comune file rouge che è dato inaspettatamente da un accessorio d'abbigliamento, quello del cappello.
Lo stesso progettista ci racconta che ascoltando una canzone di Marvin Gaye, ripresa poi da molti artisti, Wherever I Lay My Hat (That's My Home) ovvero Ovunque appoggio il mio cappello è casa mia, arrivò l'ispirazione del cappello che ritroviamo nelle diverse riproduzioni artistiche poste con cura nelle stanze dell'hotel che diventano vere e proprie zone notte di un appartamento, acusticamente isolate dall'esterno con delle sale bagno dove le venature dei marmi sono interrotte dagli ampi specchi e dalla rubinetteria che spesso è preludio di rilassanti bagni e docce avvolti da una piacevolissima essenza che ogni stanza sprigiona con garbo e riservatezza. Le schede per accedere alle stanze qui tornano ad essere chiavi che aprono parti di una ritrovata casa e il portachiave non poteva che essere un cappello, uno per ogni stanza, uno per ogni alloggio, per ogni giorno trascorso in questa strana città un po' dolce vita, un po' città aperta, tra cialtroneria e storia, tra stupore e magnificenza, tra arte e store, dove tutto è il contrario di tutto.
E in questo dedalo di sensazioni che è Roma, dove il contrasto è la nota ricorrente è piacevole osservare il nascere di nuove realtà ricettive che rompono gli schemi aprendosi a un turismo e una ristorazione espressione di una cultura e una società aperta a un ventunesimo secolo di cui stiamo vivendo solo i primi decenni, preludio di un interessante futuro tutto da scoprire.
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