Street art a Roma: l'intervista a Riccardo Beetroot Rapone

Street art a Roma: l'intervista a Riccardo Beetroot Rapone

Cultura Roma Venerdì 19 ottobre 2018

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Beetroot
© www.facebook.com/beetrooturbanart/photos

Roma - «Nella vita ho scelto di fare l’artista, anche se mi è costato e mi costa tantissimo. Perché quando mi chiedono cosa faccio e io rispondo l’artista mi guardano e mi dicono: no, intendevo di lavoro! Dietro a questa affermazione c’è un mondo, perché non te lo dice solo la persona che viene a vedere la mostra, ma anche in banca quando chiedi un mutuo, o quando stringi la mano a qualcuno a cui tieni». A parlare è lo street artist romano Riccardo Rapone. Beetroot, così si firma come street artist, ha talento da vendere.

Roma, con i suoi quartieri storici, è diventata la patria della street art in Italia. Dai muri del quartiere di Testaccio, passando per quelli della Garbatella, del quartiere Ostiense, fino a Tor Marancia. Muri parlanti, che raccontano storie di rinascita e rivincita. Quartieri diventati colorati musei a cielo aperto, dove non serve pagare il biglietto, ma basta alzare lo sguardo per emozionarsi.

Oltre a Beetroot, street artist romani come Alice Pasquini, Sten Lex, Jerico regalano sogni, lanciando messaggi di pace, speranza, talvolta di provocazione e lasciando un segno destinato a rimanere indelebile nel cuore di tutti. 

«Un'opera di street art è un regalo gigante che si fa a una strada o a un quartiere. È come svegliarsi e scoprire che qualcuno ci ha lasciato sulla finestra 100 rose», commenta orgoglioso Beetroot, che ci racconta com’è nato il suo amore per la street art: «È nata come nascono tutti gli amori: prima ci si accorge di una cosa, poi si comincia a cercarla, poi si inizia a seguirla e infine, il giorno in cui ti accorgi che l’hai pensata più di quanto hai pensato a te stesso, realizzi che sei lesso. E lì parte l’agonia!».

Allora Beetroot ha scelto la strada: «Il mio bisogno di comunicare era diventato più forte della vergogna che mi faceva tenere tutto in un cassetto e allora ho iniziato piano piano da piccole cose», racconta, «la street art è pura comunicazione non verbale. L’espressione più nascosta dell’animo di chi la fa e la capacità di far risuonare le corde dello spirito di chi la riceve».

Beetroot propone il Picture crossing: «Il nome deriva dal più celebre book crossing, lo scambio di libri. Io lascio quadri e opere in giro, scrivendo sul retro i miei contatti per vedere che fine fanno, chi le prende, dove le portano. Alcune opere hanno camminato tantissimo, molte sono andate disperse».

Poi Beetroot ci spiega la sua tecnica artistica: «Creo una pelle di materiale cementizio sul muro, sulla quale passo tutti i colori che voglio che emergano nell’opera e infine, con un trapano di precisione, incido la figura andando in profondità e ritrovando i colori che avevo precedentemente passato. Più mezzi toni troverò, più l’immagine sembrerà vera e leggibile».

Quanto è difficile oggi fare street art«Grazie alla diffusione sui social network, oggi è facile entrare in contatto anche con gli artisti più affermati ed è ancora più facile venire a sapere di tutte le iniziative relative alla street art. Esistono immagini che promuovono ogni tipo di iniziativa, dalla più prestigiosa alla più basica. Se si vuole iniziare non c’è modo più semplice che accostarsi e iniziare a parlare. Per fortuna il mondo della street art non è affatto un mondo chiuso, anzi. Ecco cosa consiglio a chi vuole diventare street artist: seguite dei buoni maestri e resistete a tutto - al freddo, al caldo, alle critiche, ai disfattisti e a chi vi vuole sfruttare -; se avete un sogno da mostrare, fatelo e basta!».

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