Antica Osteria del Progresso, angolo di vecchia Milano dove si mangia una cotoletta tra le più buone in città

Bernadette Hanna / mentelocale.it
Antica Osteria del Progresso Cerca sulla mappa

Milano, 06/04/2023.

L'Antica Osteria del Progresso, ex bocciofila 1850, è da considerarsi uno degli ultimi posti che conservano il passato rurale di Milano. L'osteria, un modesto locale dall'atmosfera di casa che si compone di una veranda sulla sinistra e di un'altra sala interna sulla destra, è situata nel cortile interno dello stabile in via del Progresso 22, una traversa di via Melchiorre Gioia.

Ciò che salta subito agli occhi dei passanti che vi transitano è l'ossimoro che si crea tra Progresso, riferito alla via omonima, e la parola Antica. Di questa duplice essenza ci ha parlato il proprietario Davide, che gestisce l'attività da pochi anni ma è riuscito a tirarne le redini in modo impeccabilmente rigoroso e appassionato fino ad oggi. Davide ha fatto l'odontotecnico per 13 anni e per altri 20 il pasticcere, per poi approdare qui in osteria. «Non mi spaventa cambiare - afferma con estrema franchezza - perché la forza di volontà può sopperire alla mancanza di professionalità, infatti non credo che questo sarà l'ultimo lavoro della mia vita».

Dove emergono maggiormente l'anima antica e l'anima moderna della vostra attività?

«La Bocciofila è una realtà nata come circolo delle bocce, dove c'era sempre il ristorante ma con una cucina, secondo me, non troppo attuale. La mia idea era quella di dare a un posto così semplice - e al tempo stesso così grazioso - un tipo di cucina più moderno, con materie prime totalmente diverse e una nuova filosofia del lavoro, grazie alla quale siamo ancora in piedi nonostante tutto quello che è successo».

Immagino si riferisca alla recente pandemia da Covid-19, che ha messo in ginocchio molte attività ristorative come la vostra. Come vi siete adoperati durante la pandemia?

«All'inizio siamo stati in piedi grazie ai costi di gestione, essendo questo edificio una cooperativa (l'osteria ha sede in un'antica casa di ringhiera, ndr), poi abbiamo provato a fare il delivery ma la nostra cucina poco si addice all'asporto. Anche se ci stiamo ancora leccando le ferite, siamo tutti di nuovo in corsa, per esempio una cosa che ci ha resi orgogliosi è stata la menzione tra le dieci migliori cotolette di Milano, grazie alla quale siamo finiti in mezzo a nomi importantissimi della ristorazione milanese».

E, infatti, questo riconoscimento è collocato sopra la lavagnetta affissa al portone da cui si entra nello stabile e da cui ci si fa anche un'idea del menù, rigorosamente scritto in gessetto bianco. Si tratta di piatti fissi oppure c'è qualcosa che cambia?

«Quando sono arrivato io, la cucina era aperta dal martedì al venerdì, principalmente nel pranzo e per i lavoratori d'ufficio: cambiavano tutti i giorni tre primi e tre secondi, mentre c'era il menù alla carta di sera e nei fine settimana. Poi, però, a causa della pandemia e della scarsa reperibilità del personale di servizio, sia di sala che di cucina, siamo stati costretti a eliminare quella doppia linea di lavoro, che significava doppia spesa e doppie mani. Quindi a un certo punto abbiamo dovuto lasciar perdere il discorso della cucina per uffici, tenendo la carta sia a pranzo che a cena, che però si rinnova ancora con le stagioni. Restano esclusi i piatti della tradizione meneghina, che sono i nostri cavalli di battaglia: sono quelli che ci identificano e ci appartengono».

A proposito di personale di servizio, in questi giorni si sta parlando in toni sempre più allarmisti di carenza di personale nel settore ristorativo, spesso facendone una questione generazionale. Lei che criteri adotta per assumere il suo personale?

«Non ci sono grandi regole perché le persone hanno cambiato mentalità: il lavoro è diventato più il nostro passatempo che il nostro dovere. Il tempo ce lo devi dedicare comunque, perché ogni cucina va spiegata e raccontata in modo diverso, e ogni persona ha diverse capacità di apprendimento. Per quanto mi riguarda, il criterio fondamentale è la buona volontà, perché ho dato spazio anche a persone senza competenze, ottenendo grandi soddisfazioni».

Di Bernadette Hanna

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