Triennale Milano: un programma per ripartire già in estate e Archweek 2020 in streaming

Gianluca di Ioia
Triennale di Milano Cerca sulla mappa

Milano, 06/05/2020.

Nella speranza di poter tornare ad incontrare il pubblico in estate nel suo giardino, la Triennale di Milano affronta l’emergenza Coronavirus attraverso programmi online e dirette streaming, senza perdere di vista lo spettacolo dal vivo: perché «nulla potrà mai sostituire quell’incontro tra corpi estranei che avviene solo in un teatro», dice Umberto Angelini direttore artistico di Triennale Milano Teatro. 

Punto di riferimento per l’arte contemporanea e il teatro d’avanguardia, la Triennale aveva già dato il via al suo programma online non appena era scattato il lockdown con il ciclo di incontri virtuali Decameron, storie in streaming nell’era della nuova peste nera, che prosegue da oltre due mesi con una serie di dirette Instagram. «Il fatto di essere già soliti portare avanti progetti multimediali ci ha aiutato in questa emergenza», afferma Lorenza Baroncelli, direttrice artistica di Triennale Milano. Oltre ai live streaming quotidiani di Decameron (molti dei quali moderati dal presidente della Triennale Stefano Boeri), il prossimo appuntamento online è il 16 maggio, con un progetto che, da fisico che doveva essere, diventa virtuale: «trasmetteremo, sui canali Facebook e Youtube della Triennale, Archweek, Festival di architettura, mantenendo la data già in programma, ma trasferendo gli incontri online, nella speranza di vederci a settembre per l’evento in sede». Agli incontri parteciperanno nomi dell’architettura internazionale: «abbiamo chiesto cosa fosse per loro Milano e cosa potrà fare per ripartire», spiega ancora Baroncelli. 

Alla riapertura del museo ci stanno lavorando, anche se oggi è ancora tutto un’incognita e sperano nell’estate: «abbiamo un giardino che ci permette di immaginare una programmazione estiva, ovviamente nel rispetto delle indicazioni del governo», sottolineano entrambi i direttori artistici. «Vorremmo fare una sorta di estate milanese anche in collaborazione con altre realtà cittadine. Si potrebbe fare cinema, musica da ascoltare seduti, cabaret, talk», elenca Baroncelli immaginandosi già un programma.

E finita l’estate si pensa già all’autunno. «Faremo di necessità virtù, ripensando gli allestimenti delle mostre con regole di distanziamento fisico e opere a un metro e mezzo l’una dall’altra. La cultura è il settore che sta soffrendo di più - riflette - ma è quello che ha anche maggiore capacità di adattamento e possibilità di cambiare le cose. Non siamo una fabbrica con una catena di motaggio statica», osserva la direttrice artistica di Triennale Milano. La ripartenza, però, è un progetto da costruire insieme, per farlo: «serve sviluppare la capacità di reagire e rigenerarsi rapidamente di fronte a quello che accade, oggi è la pandemia, domani potrebbe essere un terremoto. In questo, il documento Milano 2020, a partire dalle restrizioni che ci troviamo a vivere, cerca di capire come la città può adattarsi anche con soluzioni temporanee», spiega, parlando da una Milano vuota che inizia a svegliarsi dal lockdown.

Chiuso il museo come il teatro, Angelini coglie questo momento per una riflessione. «Stiamo vivendo una situazione che sicuramente sta facendo capire quanto il teatro sia una esperienza unica, fondamentale e insostituibile. Che ha la sua forza nella condivisione di uno spazio e nell’incontro di corpi estranei». Ed è, questo spazio fisico, fondamentale: «quello più difficile da riconquistare» in questo tempo sospeso. Per questo «è quanto mai necessario, in condizioni di sicurezza, tornare a teatro per costruire un rapporto con l’altro, con lo straniero, colui che non conosco», e generare quell’alchimia che solo una platea può dare.

Nel frattempo però, anche se il teatro è esperienza che si nutre di corpi e respiri, si cerca di mantenere un rapporto con il pubblico. «Dobbiamo riflettere, però, su cosa vuol dire un teatro chiuso al pubblico ma non chiuso alla cultura». Per questo, premesso che «lo streaming non è il futuro dello spettacolo dal vivo», si pensa anche al web: «stiamo immaginando una serie di attività che, nella loro multidisciplinarietà, mantengano vivo il dialogo e il rapporto con il pubblico, progetti, però, nati e pensati per il digitale. La sfida è provare a immaginare, inventare formati che possano avere una loro autonomia online, pensati per questa piattaforma. Quello che avviene in digitale è un’altra cosa rispetto all’esperienza dal vivo, che è insostituibile», ripete per ribadire la forza di quell’esperienza che ora manca.

Il lockdown diventa così un’occasione per ripensare il teatro e la sua organizzazione.«Questa interruzione ha messo in evidenza la crisi di un paradigma produttivo e culturale basato sul concetto di quantità. Quello che ci auguriamo tutti è tornare in un dopo diverso dal prima, dove ci sia una maggiore enfasi su cura e qualità, uscendo fuori dalla logica meramente economica, in cui il valore di una produzione culturale esisteva se era misurabile e verificabile sopratutto in termini economici e di quantità, mentre noi sappiamo benissimo che la cultura è uno scavo in profondità i cui frutti lavorano sul medio-lungo periodo».

Oltre le idee, che ci sono, per le realtà culturali per ricominciare. «Servono tanti soldi», commenta realista Baroncelli. «Mentre le aziende quando riapriranno potranno recuperare il tempo perso, le istituzioni culturali non lo potranno fare. Perché anche riaprendo, pagheremo il conto dei visitatori persi nei mesi passati. Cancellare eventi e mostre vuol dire non pagare persone. È un settore che fatica», ma ha dalla sua, la forza della creatività e la tenacia di chi non si arrende. 

Di Rosangela Urso

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