Itinerario lungo il Naviglio Pavese, da Milano alla Certosa di Pavia

Laura Cusmà Piccione

Milano, 18/10/2018.

Il Naviglio Pavese scorre per 33,5 km da Milano a Pavia, alla darsena di Porta Ticinese, dove svolta il flusso proveniente da Turbigo, fino all'ultimo salto che lo riconduce nel letto del Ticino. Si può percorrere in bicicletta o a piedi, ma è opportuno rifornirsi di bottiglie d'acqua, in quanto, finito il tratto milanese, per la presenza di lunghissimi campi agricoli e prati, è difficile uscire dal percorso e raggiungere punti di ristoro. Sono rare anche le sedute e le zone all'ombra.

Fila così dritto e liscio, il Naviglio Pavese, che sembra scivolare su una tavola: invece è alle prese con quasi 57 metri di dislivello, che non si notano affatto per merito dell'eccellente artificio dell'uomo. Quattro metri e mezzo li percorre in pendenza, ma tutti gli altri sono a saltoni, precipitando le acque da 14 cascate alte fino a 4,80 metri (la più piccola è alta 1,70 metri). A causa di questi dislivelli i duchi di Milano Visconti Sforza rinunciarono alla sfida di un canale navigabile. Si ritenne che mai si potesse vincere la sfida di un canale navigabile finché nel 1608 un governatore inviato da Madrid pensò di vantarsi (con tanto di iscrizione latina, oggi conservata al Castello Sforzesco di Milano) quale costruttore dell'intero naviglio: Petrus Enriquez Azevedius, conte di Fuentes. In realtà, i lavori non ripresero che 200 anni più tardi sotto Napoleone Bonaparte con un decreto che annunciava «Un canale tra Milano e Pavia dovrà essere navigabile entro il primo di ottobre». Era il 20 giugno 1805 e il decreto fissava come tempo massimo per la realizzazione della navigabilità del canale otto anni; invece otto anni dopo Napoleone fu disarcionato e il progetto venne portato a termine degli austriaci che completarono il canale, con i suoi salti e le sue conche, tra il 1817 e 1819.

Non ci sono vere proprie ville lungo il Naviglio Pavese, tanto meno chiese, se non con qualche importante eccezione. Restano invece a vista le tecniche di ingegneria idraulica sapientemente ideate. Regina delle conche e delle cadute d'acqua sui 33 chilometri del naviglio è la Conca Fallata, situata all'altezza del civico 260 dell'Alzaia Naviglio Pavese: con un salto di oltre 4,5 metri, la Conca Fallata poteva sviluppare anche 160 cavalli vapore quando era usata dalle cartiere Ambrogio Binda, lì presenti dal 1857. Oltre alla Fallata - esentata dal servizio ormai diversi decenni fa - sono da menzionare la Conca Conchetta, a Milano all'incrocio fra via Conchetta e via Ascanio Sforza, e la conca di Rozzano, già motrice di mulino: qui l'acqua precipita per 3,60 metri a capofitto accanto allo stabilimento che le si è affiancato, oramai però senza più anima viva (in un cartello appeso e firmato si legge ICM Srl, in vecchi libri si leggeva opificio Gaddum).

C'è poi la Conca di Casarile, che, con un ponte datato 1812, azionava una piccola centrale che fungeva da supporto alla Conca Fallata. Di fronte sorge la cascina Salterio, in origine convento del Trecento che, tra gli arconi alterna pilastri coronati da tondi con uomini illustri in terracotta. La garitta dell'idrometro è in mattoni.

Come sul Naviglio della Martesana, anche qui c'è una Santa Maria La Rossa, altrimenti nota come Santa Maria alla Fonte, in quanto probabilmente nei suoi pressi si trovava un fontanile: questa chiesa, con l'ambiente rustico che le sta intorno, costituisce un punto di incontro tra antico e vecchio, sacro e agreste, che purtroppo per molti anni è stato lasciato deperire. Filiazione di una Santa Maria in Fonticulum risalente al X secolo, la chiesetta faceva parte di un monastero dei benedettini poi agostiniani, soppresso nel 1782. Rappresentava, fra i campi, una confortante stazione di ristoro nell'ultimo tratto tra da Pavia e Milano. Tristano Sforza, figlio di Francesco, vi fece una sosta nel 1455 con la sposa Beatrice, sorella di Borso d'Este (quello di Palazzo Schifanoia a Ferrara), ovviamente via terra in mancanza del Naviglio Pavese odierno. Il 17 gennaio 1491 percorse questa via per Milano anche la ben più celebre Beatrice, nipote della precedente sposa ancora illibata di Ludovico il Moro. L'attuale chiesa sorge su un antico edificio absidato con pianta a croce libera considerato pre-cristiano, le cui fondamenta sono venute alla luce dopo il restauro del 2000-2003. Il saccello è stato interpretato come una cella memoriae sepolcrale tricora, unico e singolare esemplare a Milano che poteva essere collegato a una costruzione molto più grande, come ad esempio la ricca domus romana di cui effettivamente sono state trovate tracce nei ultimi restauri anche all'esterno della chiesa attuale. Questo saccello, dunque, può essere datato intorno al II secolo, almeno nella parte più antica. Consente questa datazione anche un resto di pavimentazione musiva presente nell’abside, un raffinato mosaico geometrico in bianco e nero che viene appunto riconosciuto come un’opera romana d’epoca imperiale, cioè di fine II secolo. Un'altra pavimentazione a mosaico nel braccio occidentale del sacello, presenta notevoli differenze con quello romano dell’abside: è policromo, più grossolano, le tessere sono tagliate male, il fondo è più fragile. L'epoca longobarda cui si fa risalire sarebbe dimostrata, secondo alcuni, dal vicino ritrovamento di un pluteo di questa età che richiama i plutei longobardi conservati a Monza e risalenti a V-VI secolo. Dopo un ampliamento del nucleo originario, la chiesa subì una probabile distruzione o un grave danneggiamento a opera di Federico Barbarossa nel 1162, durante l’assedio di Milano, e un successivo danneggiamento nel 1239, quando - secondo Frate Bonvesin de la Riva - Santa Maria di Fonteggio e il monastero furono coinvolti nella difesa operata dai milanesi contro l’esercito di Federico II, nipote del Barbarossa. In questa occasione l'acqua dimostrò la sua potenza difensiva: l’esercito di Milano provocò un allagamento deviando le acque dei fontanili e dei canali verso il campo nemico, costringendo Federico II alla ritirata.

Queste drammatiche vicende e insieme l’incuria e lo stato di abbandono della chiesa, dovuto all’esiguo numero di monache rimaste nel monastero, provocarono il lento declino, tanto che Papa Bonifacio VIII, l’8 giugno 1302, decise di unire le monache benedettine rimaste a Fonteggio con quelle del vicino monastero di Santa Maria delle Veteri, concedendo però a quest’ultime il governo della chiesa e del monastero di Santa Maria di Fonteggio. Tra le benedettine rimaste va particolarmente ricordata, per i restauri effettuati nella chiesa, Maria de Robacarri, figlia del nobile Giudone Robacarri, e di donna Caradossa che, rimasta vedova, si ritirò anch’essa nel monastero. È noto che alla morte della madre, Maria de Robacarri pensò di onorarne la memoria con i beni ereditati, provvedendo a riparare la chiesa e a ornarla di nuovi dipinti. Una lapide tombale tolta nel XVIII secolo dal pavimento e ora visibile all’interno sul muro rivolto a sud, ricorda appunto che nel 1333, il 19 settembre, Maria de Robacarri spese circa mille libbre per quei restauri.

Nel 1782-83 lo scavo dell’ultimo tratto del Naviglio Pavese e la conseguente elevazione della strada infersero alla chiesa l’offesa più grave: per ovviare all'interramento, con conseguente infiltrazioni d’acqua, e per consentire l’accesso ad essa dalla strada si costruì nell’interno un soppalco che divideva orizzontalmente in due parti la chiesa: la parte alta destinata al culto, quella inferiore da utilizzare come deposito. Un ponticello e un’apertura praticata sul fianco verso strada consentivano l’accesso alla nuova chiesa; l’antica porta sulla facciata immetteva invece nel cantinato. Vennero persi, inoltre, i dipinti trecenteschi e sostituite le originarie monofore. In facciata oggi ce ne campeggia ancora una con al di sopra quel che rimane di un affresco del Quattro-Cinquecento, che riproduceva la Madonna con bambino tra san Benedetto e san Bernardo. La zona absidale conserva i caratteri stilistici di quell’epoca: nella parete curvilinea dell’abside, scandita verticalmente da costoloni, si aprono finestrelle strette ed alte, pesantemente strombate, profilate in cotto e arenaria. La zona absidale e le mura esterne più antiche presentano in alto una cornice ad archi intrecciati su beccatelli, alcuni modellati  a foggia di teste umane. L'interno è a navata unica, con due cappelle ai lati dell'altare maggiore dedicato alla Vergine. Come pare dalle tracce di colore, dovevano essere tutte affrescate. Qualcuno ha ipotizzato che l'affresco nel quartiere dormitorio fosse attribuibile a Giotto, a Milano tra il 1334 e il 1336, ma è provato che fu di un suo allievo.

Da non perdere lungo il Naviglio Pavese sono poi a Zibido San Giacomo un palazzotto da caccia gotico e a Noviglio l'Oratorio di Santa Maria nascente. La costruzione del corso d'acqua prosegue fino a Pavia ed è immortalata in diverse tele dei grandi artisti lombardi. In particolare, il Naviglio Pavese spesso fa da sfondo a sacre famiglie di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone: negli sfondi di molte delle sue tavole compaiono piccole e delicate vedute con vie, case, torri chiese, piazze e alzaie, spesso popolate da veloci figurine. Si pensi alla Madonna con bambino benedicente conservata a Milano presso il Museo Poldi Pezzoli.

Nonostante la forte suggestione di queste immagini, non è sempre possibile capire quali luoghi riproducano e se siano tutte effettivamente ispirate alla realtà, come si sarebbe portati a ritenere. In alcuni casi, però il dubbio non ha ragione di esistere perché gli edifici raffigurati sono perfettamente riconoscibili, come nel caso della Certosa di Pavia in costruzione con tanto di punteggi e descritta con estrema fedeltà anche se collocata in cima a un dirupo alle spalle del Cristo portacroce e monaci certosini dei musei civici di Pavia, e la si riconosce pure alle spalle della Madonna con bambino della National Gallery di Londra. Il bambino qui prefigura la futura Pietà e per questo viene anche velato, con una tragica Veronica. Bergognone lavora anche all'interno della Certosa di Pavia, che appare nel tratto finale del Naviglio Pavese come un monumentale scrigno scultoreo depositario di tesori dipinti. Sulle volte il cielo stellato del Bergognone è fatto con preziosi lapislazzuli.

Di Laura Cusmà Piccione

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