
Milano - Con il vigoroso passo di un romanzo all’anno e crescente fiducia nei suoi mezzi e temi, Alessandro Robecchi ha cominciato il 2018 con Follia maggiore (2018, 400 pagine, 15 Euro) pubblicato come sempre da Sellerio. Anche stavolta il suo protagonista è Carlo Monterossi, autore di celebri programmi televisivi (dove conta solo l’audience, basati su violenza dei sentimenti, prevaricazione, pura volgarità) che, dopo aver creato la trasmissione trash Craz Love che aborriva, l’ha mollata a caro prezzo con l’idea di creare un programma innovativo, ed è in pausa di riflessione.
Ma Carlo Monterossi, oltre a essere un televisivo, è anche un detective per caso, anche se francamente arrivati al quinto romanzo, e dunque quinto poliziesco episodio, mi pare che il caso sia diventato la regola. Infatti in Follia maggiore, tornano accanto a Monterossi gli stessi interpreti delle precedenti indagini milanesi, l’amico detective privato Oscar Falcone, dotato di ottimo fiuto e per di più una specie di jolly per tutti gli ambienti, e i sovraintendenti di polizia Ghezzi e Carella, «due cani da polpaccio» secondo l’autore.
Ora però due parole sulla trama, partendo dall’antefatto: Umberto Serrani, anziano signore, vecchio filibustiere della finanza, pieno di soldi, ma anche di rimpianti, viene ricuperato da Oscar Falcone e da Carlo Monterossi in un albergo di Napoli, dove si è rifugiato per una vacanza diversa dalla routine.
Umberto Serrani nel suo nebuloso passato, maltrattando la vita privata, ha fatto denaro a palate e ha aiutato tanti altri a farne - i tempi, le sue brillanti intuizioni e le convergenze economiche lo consentivano - e ora, che si è messo a riposo, vorrebbe fare il suo comodo e godersi un po’ la vita. Questo evidentemente non entusiasma il figlio, che tiene molto al “dané” e, temendo stravaganti colpi di testa, si è premurato di farlo riportare a casa.
Però dopo il ritorno a Milano, il passato aggredisce Umberto Terrani con il doloroso impatto di una morte. Quella del suo amore di venticinque anni prima, un amore vero, grande e profondo. Ma ora la quarta pagina del Corriere gli dice che Giulia Zerbi, la donna straordinaria, la sua passione mai dimenticata, è all’obitorio, è stata uccisa in modo brutale per strada, vittima di uno scippo. Serrani non ci crede e stavolta sarà lui a chiedere aiuto a Carlo Monterossi e Oscar Falcone, e la stravagante coppia di investigatori, anche loro convinti che ci sia dell’altro, comincia a scavare nella vita di Giulia e, di conseguenza, anche in quella dell’unica figlia Sonia, ventitreenne, frutto di un brevissimo e lontano matrimonio.
Sonia ha una splendida voce, studia da soprano e potrebbe avere un futuro radioso davanti a sé. Ciò nondimeno Monterossi e Falcone non sono i soli a investigare. Nell’orgogliosa Milano novembrina, sommersa da infiniti e gelidi giorni di pioggia battente, anche la polizia è coinvolta e Ghezzi e Carella, che hanno in mano il caso, sono sicuri che dietro morte di Giulia ci sia del marcio. Si scoprirà solo che Giulia Zerbi aveva problemi economici ed era finita nelle grinfie degli strozzini.
Terrani non ha più tempo da perdere, prima decide di saldare i debiti con il suo passato poi avvalendosi di Monterossi e Falcone incontra Sonia (la figlia di Giulia). Ha in testa un piano e intende aiutarla. Per favorire il suo lancio canoro le offrirà giornaliere lezioni del miglior maestro sul mercato e l’alloggio a sue spese nell’Hotel Diana fino alla sua partecipazione a un importantissimo concorso. Il top della capitale del fashion, che vediamo nella suite dell’albergo di gran lusso destinata alla sbalordita Sonia con una amica per chaperon, corredata da un prezioso pianoforte, cibi raffinati, stupendi abiti di scena, ci contrappone allo specchio della verità che riflette la parte di Milano più oscura: bar miserabili, periferie degradate, storie sordide, costringendoci a far mente locale sulla realtà di tutti i giorni: dopo gli immigrati e le periferie, in Follia Maggiore, Robecchi ci presenta la borghesia messa in ginocchio dalla crisi, il ceto medio che fu.
Follia maggiore è un romanzo malinconico dove troviamo meno Bob Dylan, la passione di Monterossi, perché dà più spazio alla lirica, a Rossini (Follia Maggiore, intrigante titolo al libro infatti è preso dal suo pezzo Non si dà follia maggiore tratto da Il turco in Italia). Follia maggiore vorrebbe essere una piccola lezione sul tempo che se ne va? Forse, ma contemporaneamente regala una solida trama gialla con delitti e degli ottimi poliziotti che, ignorando l’affascinante brillare della finzione, continuano a investigare sotto la pioggia. Bene e male? Ogni modo va bene per raccontarli.
Alessandro Robecchi non fa sconti a quella Milano trash che si atteggia a città simbolo e ci spiega in dettaglio un’offerta di piazza Sempione: «Una carta velina di salmone, due foglie d’insalata che fanno da guarnizione, una fettina di pane sottile come un’ostia e un bicchiere di vino bianco. La colazione dei campioni. Trentadue euro. Poi ditemi che non è la capitale morale».
In questa malinconica desolazione dell’etica, la decisione di Umberto Serrani di appoggiare un sogno che cambierebbe la vita della giovane Sonia, appare un inspiegabile miraggio: il suo debutto canoro, un recital ad un matrimonio miliardario che precede il concorso di Basilea ne è la prova ed è una delle pagine più piacevoli di Follia maggiore. Sonia canta l’assolo della Regina della notte dal Flauto magico di Mozart, un’aria dalla Carmen e, inatteso, accetta di cantare il bis: sarà un’aria da Il turco in Italia, la dichiarazione di Donna Fiorilla. L’aria provocante di Rossini, eseguita con brio a beneficio della haute economica meneghina, provoca applausi a non finire e l’entusiasmo dei presenti che, nella loro abissale ignoranza, non colgono l’ironia della licenziosa scelta canora, per un matrimonio ultraclassico.
Scatola a sorpresa per il finale. Completamente inatteso? Oddio forse qualcosina pensando alla malizia rossiniana, elegantemente mischiata alla funambolica bravura di Alessandro Robecchi, avrebbe dovuto metterci in guardia. Bravura che applaudo compensata dalla notizia che i romanzi della serie Monterossi diventeranno film.
Insomma un Robecchi a cento all’ora, che riesce ad shakerare narrazione e personaggi a tutto tondo provenienti da diversi mondi e ambienti e si diverte a far sorridere il lettore con il suo buon gusto, la sua cultura e la sua irrinunciabile ironia nel tratteggiare la sua Milano che ogni tanto gli scappa di mano e, dimenticando il suo compito di cornice, si mette a rubare la scena ai protagonisti.
Una Milano molto rasserenante, osannata come capitale morale (ma quando mai?), della moda, del design, dove svettano i grattacieli, vissuta alla grande dagli alti redditi, con i suoi sfavillanti alberghi a cinque stelle, quasi macchiettistica con le sue happy hour, i suoi ristoranti di lusso ma non solo quello. Un città oggi piena di differenze sociali che si incrociano e si sfiorano giorno dopo giorno. E dove dietro la luce artificiale del modello Milano di un lusso spesso fasullo, ci sono quartieri che nascondono miseria, corruzione, ingiustizie, e tutto un piccolo universo sommerso di brava gente che combatte la sua battaglia per mantenere una vita decorosa.
Poi basta un niente per far crollare castelli di carte faticosamente alzati. Per tentare di restare in sella si ricorre ai prestiti ma troppo spesso le banche non concedono respiro a chi è in difficoltà, e allora il proliferare come funghi degli usurai, piccoli e grandi, nel cui perverso giro finiscono i poveretti, quelli perbene, i più deboli. Milano è una strana città che sa nascondere nel cuore rimpianto, spesso vergognosa solitudine. Sicuramente non una città da bere.