
Milano - In occasione dell’uscita del secondo libro della sua saga criminale milanese, Solo il tempo di morire (Marsilio), Paolo Roversi ci racconta qualcosa di più di questa nuova fatica che segue il fortunato Milano criminale. Questa volta i lettori si trovano davanti 12 anni di malavita locale, in un arco di tempo che va dal 1972 al 1984.
Con "Solo il tempo di morire", a cui avevi fatto precedere nel 2011 il romanzo “Milano criminale” che esce in contemporanea in edizione economica, completi il tuo personale dittico “Città rossa” sull’epopea criminale milanese. Sangue, droga, delitti, ma aleggia anche un minuscolo pizzico di romanticismo.
Non manca nulla in quegli anni: ci sono le sparatorie per le strade, c'è l'amore per le belle donne spesso fatali proprio come un colpo di pistola, c'è l'eroina che arriva e la cocaina che spopola, ci sono le bische che spuntano ovunque, anche all'aperto. Nel nuovo romanzo Solo il tempo di morire in particolare racconto la grande rivalità tra tre banditi ispirati rispettivamente a Francis Turatello, Renato Vallanzasca ed Angelo Epaminonda, che si fronteggiano senza esclusione di colpi per conquistare Milano nei suoi punti cardine: il controllo della droga, delle bische e della prostituzione. In Milano Criminale, invece, che io considero il prequel, di questi tre protagonisti si ritrova soltanto un giovane Vallanzasca alle prese con la sua formazione criminale.
I due romanzi possono esseri letti separatamente o anche in ordine inverso. Insieme, però, rappresentano un unico grande affresco; una storia criminale che parte dal 1958 con la Milano della ligera e termina del 1984 con la Milano da bere.
Cosa c’è di diverso tra i criminali di allora, i grandi protagonisti degli anni sessanta/settanta e quelli di oggi? Da chi e/o da cosa sono stati sostituiti?
Direi che quel mondo che racconto ormai è finito per sempre. Adesso la malavita è diversa. Sotto la Madonnina ci sono le grandi organizzazioni mafiose che non sparano più, ma s'infiltrano negli appalti che contano e riciclano soldi sempre senza colpo ferire. La malavita romantica, la ligera, del secondo dopo guerra ormai è scomparsa. Nessuno canta più Ma mi come facevano nelle osterie di Ticinese, i banditi non indossano più pellicce di lupo né scommettano tutto il loro patrimonio in una bisca che sulla porta d'ingresso riporta una scritta fantasiosa come ad esempio “Circolo degli scacchi”. Nulla è più come allora.
Il tuo Santi è ispirato a una persona reale, il questore Achille Serra, cosa ti è piaciuto di più di lui tanto da farne il filo conduttore di ben due romanzi?
Rappresentava il protagonista ideale per una storia di così ampio respiro. Serra ha incarnato il poliziotto tutto d'un pezzo che in carriera a volte ha anche perso ma non si è mai piegato né arreso. Il mio Santi è come lui, uno tenace, pieno di intuito che attraversa, suo malgrado, gli avvenimenti fondamentali accaduti a Milano e non solo in quegli anni: da Piazza Fontana all'omicidio Calabresi, dall'editore Feltrinelli trovato morto ai piedi di un traliccio a Segrate, alla strage dell'Italicus, dai figli degli industriali rapiti dall'Anonima sequestri ai tossici che si bucavano per le strade... E lo fa rimanendo sempre in prima linea. Non poteva non essere ispirato a uno sbirro con i suoi tratti, il protagonista di questa storia criminale meneghina.
Con questi romanzi sei passato a pieno titolo dalla parte degli scrittori storici. E sei riuscito a fare la cronaca di quegli anni in modo distaccato, puntuale e sempre senza schierarti. Cosa che a mio vedere facilita moltissimo la comprensione della storia. E poi tanti protagonisti eccellenti, tante diverse vicende ma 461 pagine che si leggono facilmente, senza annoiarsi mai. Pensi di continuare nell’impresa? Quali sono state le principali fonti alle quali hai attinto per la ricostruzione storico-ambientale?
No, il mio personale dittico sulla Città rossa si chiude qui. È stato un lavoro durato sei anni, un'avventura bellissima, faticosa, ma molto appagante. Ho letto molti romanzi, decine di saggi, spulciato vecchi giornali, riviste, documentari, film... Sono entrato nello spirito dell'epoca e quello che ne è venuto fuori è stata una fiction ispirata a fatti reali. Posso dire che l'80% di quello che racconto in questo dittico è successo davvero mentre sul restante ci ho ricamato per renderlo a tutti gli effetti un romanzo godibile pieno di colpi di scena. È stata una bellissima sfida che mi auguro possa piacere ai lettori.