Irene Muscarà
Giovedì 13 novembre 2025 alle ore 21.00 il Centro Culturale di Milano (largo Corsia dei Servi 4) ospita lo spettacolo teatrale Il ritorno, ideato, diretto e interpretato da Irene Muscarà, liberamente ispirato al romanzo Tutto scorre di Vasilij Grossman e che indaga il grande tema dell’uomo e della sua libertà nelle pieghe drammatiche della storia.
Il monologo si svolge in collaborazione e in occasione della esposizione presso la Fondazione Grossman (Scuole e Licei) a Milano della mostra Vasilij Grossman: la forza dell’umano nell’uomo del Meeting di Rimini/Study Center Vasilij Grossman. Biglietti 10 euro, per info 02 86455162.
Tutto scorre è il vero testamento spirituale di Vasilij Grossman. Lo scrisse tra il 1955 e il 1963, anno della sua morte, e il manoscritto, osteggiato dal regime, circolò in forma clandestina nel Samizdat, per poi vedere la luce solo nel 1970, in Germania. Come nel monumentale Vita e destino, Grossman non rinuncia al suo stile ruvido, asciutto, privo di ornamenti: quello stesso linguaggio diretto e tagliente che gli aveva guadagnato fama fra gli scrittori del realismo socialista. Ma in queste pagine si percepisce qualcosa di più profondo: una voce di verità, limpida e intransigente, che non teme di guardare in faccia l’orrore.
Con lucidità e coraggio, Grossman affronta temi allora indicibili: la tortura quotidiana e senza fine dei campi di lavoro; l’altra, più sottile e devastante, di chi ritorna e scopre negli sguardi dei propri cari la paura, la vergogna, la viltà. Denuncia lo sterminio sistematico dei kulaki, l’istituzione della delazione come colonna portante della società sovietica, e infine smaschera il mito stesso delle origini, rivelando nel pensiero di Lenin - con il suo spregio della libertà - il seme velenoso del totalitarismo che sarebbe poi fiorito sotto Stalin.
Nel drammatico adattamento firmato da Irene Muscarà, il ritorno è quello di Ivan, che rientra a Mosca dopo trent’anni di prigionia in un lager siberiano, liberato il 5 marzo 1953, lo stesso giorno in cui muore Stalin. Una pena smisurata, inflittagli o per una frase, detta da giovane studente: La libertà è un bene pari alla vita, e chi la sopprime commette un omicidio. Per quelle parole, trent’anni di gelo e silenzio. Tornato a Mosca, si reca dal cugino Nicolay, accolto con freddezza dalla moglie Maria, più preoccupata che possa sporcarle il bagno che del suo dolore. Scopre presto che la sua antica fiamma non è morta: vive a Leningrado, ora San Pietroburgo, sposata a un fisico-chimico. Quando i cugini, imbarazzati, gli offrono di restare a dormire, Ivan rifiuta. Sale su un treno e parte, incontrando a Leningrado Pinegin, l’uomo che lo denunciò trent’anni prima, verso il quale tuttavia non prova rancore. Travolto da una solitudine che graffia l’anima, vorrebbe tornare indietro, a quel freddo inferno dove almeno aveva una coperta, una brodaglia da dividere, amici con cui parlare. Perché la libertà, quella vera, gli appare ora terribile, disumana, uguale, se non peggiore, della prigionia.
Il destino però gli tende la mano. Trova lavoro come fabbro e una stanza in affitto per quaranta rubli da una giovane vedova, Anna Sergeevna, cuoca di mestiere, dolce nel dolore. Con lei, Ivan riscopre il battito della vita, un amore tenero e timido. In scena, nella prima parte dello spettacolo, sorprende la semplicità con cui la Muscarà fa parlare i protagonisti: due voci visibili solo attraverso una manica: quella di Anna, foderata di piccoli fiori, quella di Ivan, logora. Quando parla lei, sboccia il colore; quando parla lui, ricade l’ombra.
Nella seconda parte dello spettacolo il racconto scivola su quella striscia di terra deserta, detta terra di fuoco, che separava il lager maschile da quello femminile. Ivan ricorda Masha, una donna arrestata per non aver denunciato il marito: violentata, spezzata nei denti e nell’anima, privata della figlia rinchiusa in un orfanotrofio. Liberata dopo un anno, ma chiusa in una cassa rettangolare: l’unica libertà concessa. Anche Ivan, infine, la ritrova. Nella casa paterna, sulle coste del Mar Nero, comprende che tutto è cambiato, tranne una cosa, l’unica davvero immutabile: l’uomo. La voce di Irene Muscarà diventa limpida e tagliente, come un coltello che attraversa il cuore. Vestita di nero, su uno sgabello, dà corpo a un dolore universale: quello che unisce i sei milioni di ebrei ai milioni di dissidenti sovietici morti nei gulag e che si estende a tutti coloro che pagano con la vita per la libertà.