La mia cosa preferita sono i mostri, la graphic novel di Emil Ferris: un intenso diario illustrato

Magazine, 05/06/2018.

Alle volte succede qualcosa di così brutto che senti il bisogno di far diventare il mondo esterno brutto quanto le cose che ti porti dentro.

In copertina una faccia atterrita con negli occhi il viso di un mostro. Labbra rosse, un neo accattivante e orecchini verdi che fanno capolino da una chioma corvina. Sullo sfondo una casa che rimanda ai classici horror, illuminata da una luna enorme, mannara. Così come spesso sentiamo affinità con le persone già dalla stretta di mano, allo stesso modo si inizia ad amare La mia cosa preferita sono i mostri, di Emil Ferris (Ed Bao Publishing, 420 pp, 29 Euro) non appena incrociamo lo sguardo con la bellissima donna in copertina.

La copertina attira, ma è la confezione con cui si presenta a convincere: copertina morbida, piacevole al tatto. Il volume ha formato massiccio, che esalta le sue oltre 400 tavole; edizione sontuosa ma non ingombrante. Bastano poche tavole e la curiosità, che diventa passione, spinge a sfogliarlo, lasciando che il naso catturi la memoria di carta e inchiostro prima che gli occhi rimangano stupiti di fronte a un tratto ricco e dal grande impatto narrativo.

Il volume è un lungo diario illustrato. I disegni realizzati con penne a biro rendono la lettura più realistica lasciando che il legame che di norma si instaura tra chi scrive un diario e chi è autorizzato a leggerlo sia ancora più forte.

La doverosa premessa è che La Mia Cosa Preferita Sono i Mostri non è una lettura leggera, è un volume che richiede lettori abituati al media e soprattutto persone che sappiano accoglierlo con la giusta attenzione, che sappiano rispettarlo e maneggiarlo nel modo migliore per poterne apprezzare il valore a pieno. È un racconto, il primo di due volumi, che pretende tanto perché tanto regala, un piatto carico di profumi e suggestioni che va ammirato prima che gustato e che richiede tempo e partecipazione perché l’autrice, debuttante a 55 anni, ha riversato su ogni tavola tempo, passione, sacrificio e dolore e che porta in dote una storia editoriale ricca quanto la storia che racconta.

Emil, cresciuta a pane e arte, innamorata del disegno, a quarant’anni, a causa di un’infezione da puntura di insetto, resta paralizzata, iniziando un lungo percorso riabilitativo. Paradossalmente anche il suo volume, santificato dall’entusiasmo di Art ‘Maus’ Spiegelman, è rimasto fermo per un po’ a causa di un problema logistico. Dopo una lunga attesa il libro è finalmente arrivato sugli scaffali americani, ha innamorato chi lo ha letto ed è stato portato in Italia da Bao, che ha messo nella sua realizzazione tutta la passione di un artigiano chiamato a valorizzare un’opera d’arte.

Prima ancora di addentrarsi nella storia infatti, occorre fermarsi e riconoscere il merito del lavoro egregiamente svolto da Vanessa Nascimbene, che si è occupata di lettering e impaginazione, e di chi ha curato una confezione che si mantiene fedele all’originale.

Se è vero che di norma il fumetto è connubio tra disegno e parole può succedere, ed è questo il caso, che il testo diventi esso stesso disegno; quando avviene occorre aggiungere alla traduzione letteraria, che sia tale da non smarrire le sfumature stilistiche, anche una traduzione grafica che sappia mentenere inalterate le suggestioni narrative. La Mia Cosa Preferita sono i Mostri è un lungo viaggio al centro della famiglia di Kare, nel cuore dell'America di fine anni ‘60, cadenzato dalle copertine di albi horror di quegli anni.

Un viaggio che appassiona ma che richiede, di tanto in tanto, qualche sosta emotiva che consenta di elaborarlo. Non è raro che durante la lettura incanto e commozione si sovrappongano l’uno all’altra. Meraviglia e dolore, come nella vita, viaggiano di pari passo; nel volume della fumettista americana, ci sono passi così intensi che meritano invece di essere lasciati decantare.

La storia
L’America del 1968, sospesa tra le speranze sfumate con l’omicidio di Kennedy e la disperazione per la morte drammatica di Martin Luther King, esposta a drammi e contraddizioni, è osservata e raccontata attraverso gli occhi di Kare, una bimba che vive nell’ Uptown di Chicago innamorata di arte e horror.

Il volume è il suo diario, un lungo racconto personale dal quale traspare con forza il suo senso di inadeguatezza che, come spesso avviene per gli adolescenti, non si riconosce nello specchio, e che arriva a creare un’immagine mostruosa di sé; un lupo mannaro in trasformazione, che è ammissione di fragilità assieme a necessità di crearsi un’immagine che sia capace di proteggerla. Attorno a lei sua madre e suo fratello, un’amica speciale per le sensazioni che le provoca e una che vede solo lei, e poi, Anka, l’affascinante vicina di casa, il personaggio chiave su cui Kare costruisce la propria crescita. Sarà proprio la sua morte ad avviare un processo inarrestabile, di crescita, che cambia molto dentro e attorno a lei.

L’indagine per trovare la verità su Anka la porta a esplorare un mondo visto fino a quel momento da altezza di bambino. Come in Molto Forte, incredibilmente vicino, il bellissimo romanzo di Jonathan Safran Foer (Ed Bompiani), l’indagine alla ricerca di suo padre è l’occasione per Oskar, il protagonista, per esplorare se stesso e il mondo che lo circonda, anche per Kare la ricerca della verità sulla morte di Anka diventa un momento di metamorfosi personale.

Kare parla di mostri reali e immaginati, parla della G.E.N.T.E, acronimo di Grigi, Egoisti, Noiosi, Tristi ed Ebeti, intesa come fosse una sola entità da cui proteggersi, e invoca la propria trasformazione, assieme a quelle dei propri cari, come estrema difesa verso un mondo che la maltratta e respinge continuamente.

Mentre conosciamo Kare ammiriamo il talento dall’autrice nel riprodurre in modo fedele e personale capolavori dell’arte figurativa, dall’Incubo di Fussli a Van Gogh. Disegni dettagliati che realizzati a biro conservano calore e realismo. Tanti i contesti nei quali la ragazza si muove e che vengono sgranati mano a mano che il racconto procede:
Kare e la sua famiglia.
Kare e il bullismo subito.
Kare e la ricerca della verità su Anka.
La vita della sua vicina, quasi una figura materna che si sovrappone a sua madre, diventa il centro del racconto ed è probabilmente la parte più intensa del volume. Kare scopre come l’Anka del ‘68, la sua affettuosa e tormenta vicina di casa, abbia alle spalle una vita di speranza e sofferenza consumata nell’Europa prossima alla seconda guerra mondiale.

Anka ha un ruolo centrale, ma questo non impedisce a Emil di curare con altrettanta attenzione ogni personaggio che graviti attorno a Kare, dall’inconsolabile vedovo al guappo di quartiere, passando per sua madre e suo fratello. Ciascun personaggio svela un aspetto della protagonista, arricchendo il racconto di dettagli e narrazioni che mettono il lettore di fronte a un quadro enorme, nel quale ogni personaggio ha spazio proprio e contesto condiviso, sofferenze e passioni che li rendono fragili ed estremamente credibili.

Un lavoro che nel complesso si presenta curato in ogni elemento, dal formato al narrato passando per disegni straordinari. Facile vedere in Emil Ferris il talento riconosciuto a livello internazionale, inevitabile proiettarsi al secondo atto di un racconto che non solo promette tanto, ma che sa mantenere molto di più.

Di Francesco Cascione

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