
Di seguito un estratto del libro di Patrizia Debicke Van Der Noot, L'oro dei Medici (Tea Edizioni; 342 pp; 13 euro), la riedizione in uscita il 10 maggio 2018.
Magazine - Prima settimana di Novembre 1597
Al largo di Marsiglia: la battaglia
Don Giovanni de Medici, il comandante in capo della flotta granducale era rimasto sul ponte tutta la notte. Vigile.
Il giorno prima era calata la nebbia. Un fenomeno di stagione frequente nella zona ma insidioso. Fitta, impenetrabile, la cortina livellatrice di ovatta celava ogni particolare. Pericolosamente imparziale mischiava amici e nemici. Era venuta al mattino presto e non si era più levata, neppure nelle ore centrali del giorno. Il freddo penetrante e l’umido gelavano le ossa.
Il mare era calmo, l’acqua sciabordava piano, uno sciacquio lieve. Grigia, tetra, oleosa, lambiva i fianchi politi della galera ammiraglia.
Juan Batista de Granara y Argon, il fratello minore, gli era rimasto al fianco fino alla mezzanotte. Gli faceva da vice, serviva ai suoi ordini da quasi dieci anni. Non voleva lasciarlo. Ma a quell’ora il principe si era fatto ubbidire, gli aveva ingiunto di raggiungere la cuccetta e riposare.
Un’ora prima dell’alba, Don Giovanni aveva desistito dalla sua veglia. Gli occhi si chiudevano, le facoltà si ottenebravano. Doveva dormire, almeno un poco.
Aveva fatto chiamare il fratellastro e, quando Juan Batista l’aveva raggiunto sul ponte sbadigliando: - Prendi il mio posto. Non mi reggo più, scendo in cabina – gli aveva ordinato secco. - Ma attento, non abbassare la guardia. I francesi hanno ingoiato male le nostre mosse. Non si vede nulla. Questa eccessiva calma mi piace poco. Non mi fido, temo una sorpresa, una sortita, chiamami se serve – si era raccomandato.
De Granara si era ravviato i capelli biondo scuro, si era ricomposto e competente, laconico:
- D’accordo, non temere.
Rassicurato, il comandante della flotta era sceso e si era avviato verso il boccaporto.
Il Medici non ammetteva di imbarcare uomini inutili su navi da guerra.
Un marinaio gli faceva funzione di servitore. Assiduo, accorto. Sempre ai suoi ordini. Era bastato un cenno, l’aveva seguito pronto, rapidamente. Dabbasso, era entrato in cabina dietro di lui.
Col suo aiuto Don Giovanni si era levato l’armatura. Gliel’aveva passata, pezzo per pezzo. Era in acciaio ma leggera, lavorata finemente con un efficace contrasto tra la brunitura del metallo e le decorazioni incise, dorate. Rifiutava di portare quelle pesanti tanto in voga tra i suoi pari.
Si era seduto per farsi sfilare gli stivali. Poi si era spogliato completamente, camicia, braghe, mentre l’uomo li raccoglieva e li ripiegava preciso. Si era lasciato ricadere nudo nella cuccetta, sdraiandosi e afferrando la tela e la trapunta, che l’altro gli porgeva per coprirsi.
La sua vita sotto le armi gli aveva insegnato ad approfittare di ogni momento, riposare quando poteva. Si era girato contro la paratia, aveva chiuso gli occhi ed era crollato addormentato.
- Giovanni, Giovanni, svegliati, devi svegliarti! Tuo padre… il Granduca chiede di te - la voce di Nannina la fedele nutrice degli Albizzi, che l’aveva allevato, chiocciava sonora.
La donna aveva spostato le cortine e le coperte del letto del bambino. Ora lo scuoteva insistente.
Si volse, ancora mezzo addormentato
- Su Giovanni, alzati – era sua madre ora.
La vedeva dietro la nutrice. Era lei, la bella, ancora bellissima Eleonora degli Albizzi, appena trentenne. Da un anno vedova del comandante spagnolo.
- Ho sonno, tanto sonno mamma, perché?
- Perché tuo padre sta male, molto male. Ha mandato a chiamare. Vuole vederti.
- Perché sta male? - la vocina del piccolo era lagnosa, interrogava.
Nannina l’aveva tirato su ora e lo vestiva come una bambola, con mosse esperte, consuete.
- Non lo so tesoro mio – E invece Eleonora sapeva che Cosimo de Medici da giorni non si alzava dal letto. E da ore e ore combatteva con dolori insostenibili, fatali.
- Muore mamma?
Il bambino era affezionato al padre, quel padre che avrebbe potuto essere suo nonno, e il padre a lui. Spesso lo teneva con sé a Castello.
Il Granduca Cosimo I amava la sua villa di Castello. C’era nato.
Viveva molto là con la zia Camilla, la nuova moglie e la sorellina Virginia, poco più piccola di Giovanni.
Lei rideva sempre e voleva giocare alla guerra, come un maschio.
Il duca da anni tendeva a un progressivo abbandono della vita politica, delle dure incombenze di governo e lasciava cariche e onori a Francesco il figlio maggiore. Gli aveva donato anche Palazzo Pitti, ma fissava là la sua residenza durante i suoi brevi soggiorni in città.
Da qualche giorno Cosimo era a Firenze. Al palazzo. Il grande palazzo che era stato dei Pitti. Che Eleonora di Toledo, la bella Eleonora, la sua ricca prima moglie, aveva comperato nel 1549.
Il Granduca mirava a farlo diventare il simbolo della casata. Torme di architetti e pittori, lavoravano operosi per cantare la gloria de Medici. Il palazzo brulicava da vent’anni di muratori, scalpellini, falegnami. Era trasformato in un cantiere.
Ma lui era malato, molto malato, era tornato a Firenze per morire.
- Non so tesoro mio, sta tanto male. Forse.
Le mani di Nannina finivano di vestirlo, urgenti. Gli pettinavano i riccioli biondi ribelli, che tanto piacevano al padre e poi lo spingevano, l’accompagnavano per le scale. Beatrice, la balia, accostata alla balaustra li seguiva con gli occhi. Con Juan Batista in braccio che piangeva, spaurito dalla confusione.
Qualcuno, uno sconosciuto? No, Barco il servitore, lo tirava su, lo reggeva a cavallo davanti a sé. Due uomini con le torce aprivano il cammino, sua madre sulla giumenta baia dalla bocca dolce cavalcava accanto a loro, altri due seguivano. Voci basse, rumori, il dondolio sulla sella, il cammino era lungo. La villa donata dal Granduca a Eleonora degli Albizzi dopo la nascita del piccolo Giovanni era alle pendici della collina, verso Careggi. Si era appisolato di nuovo.
- Giovanni, Giovanni svegliati, devi svegliarti!
- Sì – rispose istintivamente e - che c’è? - chiese.
Si girò sulla cuccetta della cabina. Pur larga e lussuosa, conteneva a fatica un uomo della sua statura, quasi un metro e ottantacinque, addirittura imponente per l’epoca.
- La vedetta ha fischiato, ha avvistato qualcosa.
Riconobbe la voce di Juan Batista e aprì gli occhi.
Descrizione
Granducato di Toscana, 1597. L’Italia è ormai caduta in mano agli eserciti stranieri, ma fastosa è la sua cultura e floridi i suoi commerci oltre i confini. L’Europa ne riconosce e ne ammira lo splendore e l’eccellenza. I banchieri più potenti al servizio dei sovrani europei sono italiani, genovesi e fiorentini. Firenze è uno Stato ricchissimo sotto la guida di un’illustre famiglia di mercanti e banchieri: i Medici. Il loro oro fa invidia a tanti e, chi non riesce ad averlo in prestito, tenta di sottrarlo in modo subdolo e illecito. Organizzando ad esempio un orrendo ricatto nei confronti del granduca Ferdinando I. Ricatto di cui verrà subito a conoscenza il fratellastro di Ferdinando, don Giovanni de’ Medici, geniale architetto, ingegnere, poeta e musicista, nonché comandante della flotta granducale e amante delle belle donne. Così, tra Livorno, Firenze e Ajaccio, in bettole malfamate e in palazzi e dimore aristocratiche, Don Giovanni insieme al capo della polizia del Granducato, condurrà un’indagine che lo porterà a scoprire i mandanti e ad affrontarli in un’epica battaglia navale al largo delle coste toscane.
Patrizia Debicke van der Noot, nata a Firenze, bilingue, grazie a una nonna alsaziana e agli studi compiuti all’università di Grenoble, ha sempre viaggiato molto, vive tra l’Italia e il Lussemburgo. Autrice di romanzi storici e di thriller, ha pubblicato numerosi libri, tra cui ricordiamo La gemma del cardinale e L’uomo dagli occhi glauchi.