Sulla morte, lo spettacolo sul trapasso al Teatro Astra

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Prossime date

4 aprile 2017 - Teatro Selve (Vigone - TO)
5 aprile 2017 - Teatro Astra di Torino (TPE Teatro Piemonte Europa)

Torino, 04/04/2017.

Accade spesso che il teatro offra l'occasione di affrontare un tabù. Che siano le nuove generazione poi ad occuparsene è anche piuttosto frequente. Che ci si riesca non è detto. Nell'affrontare la morte il gruppo del Teatro dei Gordi fa un piccolo salto mortale per un'operazione ancora più sottile: gestisce l'immaginario più impenetrabile per toccare quell'esile momento misterioso che è il trapasso. Sulla soglia della morte più che sulla morte dunque e senza nessuna esagerazione, ma con accurata precisione si consuma un rito di cui non ci è dato sapere ma che Sulla morte senza esagerare prova a rappresentare. E ci riesce. Uno spettacolo intellettualmente vivace, che penetra nel profondo della lacerazione guardando alla separazione finale senza essere pulp né banalmente tragico. Capace di portarci dentro l'aspetto buffo e ironico di quell'umano inerme e incapace di comprendere. Abile nell'essere sentimentale ma anche visionario. Rispettoso di una dimensione rituale perché costruito con una dedizione impeccabile verso gli elementi teatrali e metateatrali.

Perché però Riccardo Pippa, regista, e i quattro interpreti, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza, riescono nell'ardua impresa? La prima rapida risposta si rintraccia indicando le maschere e dunque chiama in causa anche Ilaria Ariemme, (anche scene e costumi). Semplificando, l'equazione sembrerebbe semplice: un regista, alcuni interpreti, maschere, costumi e scene? No non basta. Aggiungiamo alcuni altri fattori - piuttosto scontati in teatro - le luci (Giuliano Bottacin) e la dimensione sonora (Luca De Marinis). A riprova che non si inventa niente, ma che tutto sta in una combinazione precisa di ogni singolo elemento in cui si articola il buon teatro, neanche queste aggiunte spiegano il perché. Dunque dove sta l'alchimia esatta? Nel non lasciare mai, neanche uno dei fattori; nel tenerli come fili che articolano marionette in un teatro di figura, perciò agìti puntualemente a creano un'azione, a modificare (di poco) la scena, parlando anche senza parole.

Abitato solo da una panchina, un lampione, un piccolo cactus e la morte in persona il palco è un foglio bianco. La figura anonima, vestita da impiegato, disarmata che lo abita nella sua maschera teschio è inequivocabile padrona del luogo. Sarà un luogo realistico? Sarà un parco? Sarà uno spazio pubblico qualunque? No, è quel là dove la morte ci accoglie. Tutta finzione dunque, nessun pasticcio tra ciò che è e ciò che sembra chi entra in scena entra nello spazio che avvicina alla morte il che non significa sempre e comunque morire.

La dimensione astratta della scena guadagna campo come altrove attraverso un numero limitato di interventi di luce. Il lampione è in verità il campanello d'allarme: quando lampeggia vi si associa un suono, è per l'arrivo di una nuova pratica di trapasso da sbrigare. Lingue di luce creano il corridoio di collegamento tra la vita e la morte, sospendendo spazio e tempo, mentre chi è destinato alla fine cammina verso quell'ultimo abbraccio. La morte è lì in piedi con le braccia aperte che attende. Le due quinte laterali sono una la bocca verso il mondo reale, quello della vita, l'altra quello che non ci è dato conoscere l'aldilà. Sulla scena interverrà anche una campana: un'altra felice accoppiata tra mimica e suono che genera un'immagine indelebile nel bagaglio del nostro immaginario ma che rilegge un gesto desueto e il modo di dire suonare a morto.

Il momento decisamente più alto dell'impianto su cui si regge questa produzione è proprio quello del non ritorno. Sì perché la morte, nel suo rispettare una sorta di procedura burocratica si trova umanamente anche di fronte all'errore, all'impossibilità di rendere effettivo, di compiere davvero il gesto definitivo. Fallace e imprecisa, forse trascurata e approsimattiva, non è davvero efficiente come la si immagina. Non è infallibile né eterna, almeno non qui. Figura di lavoratore precario sottoposto a ispezione, la morte viene presto rimpiazzata per i troppi difetti riscontrati nel suo operare (incluso l'essere trasandata nel vestire con buchi nel cardigan). Anche la morte ha un superiore, infatti. Forse anche il superiore della morte, una specie di angelo-artigiano, un po' falegname, un po' pompiere, un po' infermiere, ha qualcuno a cui rispondere, fatto sta che si prende con decisione lo spazio gestito dalla morte e lo vivacizza restituendo chi non era ancora destinato alla fine al mondo dei vivi. Tornano tutti i pezzi del nostro antico immaginario solo un po' più poetici, un po' più epici nel richiamo ai versi della scrittrice russa Wislawa Szymborska: La morte è sempre in ritardo di quell'attimo. / Invano scuote la maniglia / d'una porta invisibile.

Il momento decisamente più alto, dicevamo, è la fine: uno smascheramento favoloso. Perché come nelle favole è pieno di pathos, perché come nelle fiabe è una fantasia, perché è commovente. La maschera che è l'identità terrena fatta di marcature dovute al tempo, alle nostre relazioni, al nostro vissuto, cessa la sua funzione. Come larve che mutano in altra sembianza, si svelano i volti nudi, fatti di pelle rosea, sottile e delicata è lì la nostra anima, lì sta quella parte vulnerabile, la più fragile di tutte, capace di svelarsi solo grazie al confronto con le durezze delle maschere. Un'epifania.

La maschera non cade. La maschera viene sfilata mentre chi si candida alla fine si è lasciato andare alle coccole della morte. Questa, con delicatezza e gesti leggeri, sottrae la vita togliendo la maschera. Per un attimo la custodirà. Quanto basta per dare senso alla fine, quindi restituire ai leggittimi proprietari le maschere-trofei che sono la vita stessa. Vesti di una recita per cui non ci sono più repliche. Una simbologia raffinata e sentimentale, struggente, dove si addensano dolcezza, rammarico, senso di perdita ma anche una certa dimensione consolatoria. Niente di scioccante, al contrario un rito rassicurante si consuma in un tempo dilatato, sempre accompagnato da una musica a misura di candidato come gesto di riconoscimento e incoraggiamento capace di assecondare l'indole di ognuno. Si procede con se stessi tra le mani, quindi autonomi, mentre con riguardo e compostezza ci si conduce sulle proprie gambe nell'al di là. Imperdibile.

Sulla morte senza esagerare

ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
scene, maschere e costumi Ilaria Ariemme
disegno luci Giuliano Bottacin
cura del suono Luca De Marinis
organizzazione Camilla Galloni, Monica Giacchetto
co-produzione Teatro dei Gordi e TIEFFE Teatro Milano
con il sostegno di Armunia – Campo Teatrale di Milano – Centro Artistico Il Grattacielo – Centro Teatrale MaMiMò – Mo-wan teatro – Sementerie Artistiche nell’ambito di NEXT – Laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo, edizione 2016-2017

Premi

Selezione Visionari Kilowatt Festival 2016. Selezione Visionari Artificio Como 2016. Vincitore all’unanimità del Premio alla produzione Scintille 2015. Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2015, indetto dall’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine: spettacolo vincitore del Premio Speciale, Premio Giuria Allievi Nico Pepe e Premio del Pubblico.

Il tema/La trama

La nuova produzione del Teatro dei Gordi è un omaggio originale alla poetessa polacca Wisława Szymborska. Ideato e diretto dal regista veronese Riccardo Pippa, Sulla morte senza esagerare, affronta il tema della morte in chiave ironica e divertente attraverso un linguaggio non convenzionale del corpo, ancorato al Teatro di figura e di maschera. La recitazione e le maschere (Ilaria Ariemme) si muovono con verità e leggerezza su un tessuto drammaturgico originale.

Sulla soglia tra l’aldiquà e l’aldilà, dove le anime prendono definitivo congedo dai corpi, c’è la nostra Morte. I vivi la temono, la fuggono, la negano, la cercano, la sfidano, la invocano. L’unica certezza è la morte. Ma senza esagerare. In fondo quanti ritardi nel suo lavoro, quanti imprevisti, tentativi maldestri, colpi a vuoto e anime rispedite al mittente! E poi che ne sa la Morte, lei che è immortale, di cosa significhi morire? Maschere contemporanee di cartapesta, figure familiari raccontano, senza parole, i loro ultimi istanti, le occasioni mancate, gli addii; raccontano storie semplici con ironia, per parlare della morte, sempre senza esagerare.

La compagnia

Il Teatro dei Gordi, nasce nel 2010, da un gruppo di neodiplomati alla Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano. Negli anni il gruppo ha lavorato alla realizzazione di spettacoli per adulti e bambini, tra cui Molto rumore per nulla, da William Shakespeare; Pinter Party da Harold Pinter; Il Grande Gigante Gentile da Roald Dahl; Sulla morte senza esagerare, ideazione e regia di Riccardo Pippa. La compagnia ha anche collaborato alla realizzazione di eventi artistici e culturali sul territorio. Nel 2015 con il progetto T.R.E – Teatro in rete per emergere, i Gordi vincono Funder35 (Fondazione Cariplo), in partenariato con Teatro Presente e Compagnia Oyès.

Di Laura Santini

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