Festival della Mente 2017: Marco Martinelli debutta al cinema. L'intervista

La Spezia, 31/08/2017.

Dopo lo spettacolo Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi del 2014, ora arriva il film dall'omonimo titolo che rappresenta il debutto al cinema del regista Marco Martinelli (Teatro delle Albe). «Un desiderio - conferma Martinelli - che c'era da tempo. Già molti anni fa, con Marco Müller, avevamo iniziato un progetto sulla Romagna anarchica dell'800, ma non andò in porto. Finalmente, si sono trovate le condizioni produttive e così ho potuto ripercorrere l'atmosfera di quel primo progetto attraverso le geografie e la cultura della Birmania. Sì, perché Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi è un film birmano ma l'animo richiama quella stessa anarchica tensione della nostra terra».

Dal teatro al cinema perché?  «Per continuare il teatro con altri mezzi, sì perché si tratta dello stessso linguaggio di visione». E infatti tutto parte da un magazzino di scene e costumi teatrali. «Un luogo onirico - prosegue Martinelli - dove una bimba si perde e trova un mondo altro un po' come in Alice nel paese delle meraviglie. È lei la nostra guida, ma è anche la prima di una serie di narratrici-bambini che via via incontriamo. Alla fine diventano 40 e raccontano in una dimensione corale».

Le giovanissime interpreti del film vengono dalla non-scuola ravvenate del Teatro delle Albe di Martinelli e sono: Ippolita Ginevra Santandrea, Sara Briccolani, Alessandra Brusi, Catalina Burioli, Olimpia Isola, Benedetta Velotti. Che età hanno e perché questa scelta? «Hanno tutte dagli 8/9 fino ai 12/13 anni. Volevo che a raccontarci questa storia di ribellione e innocenza, di una donna che ha dedicato ventanni della sua vita a combattere la violenza dei generali, di segno molto maschile fosse una voce che confermasse le qualità di questa donna una donna minuta e determinatissima e mettesse a nudo il confronto impari tra una pacifista e uno dei regimi più violenti del nostro tempo. Una delle prime scene è una lezione di storia: chi meglio di chi non ha il potere delle mani, della violenza, raccontarci il passato?»

Uno sguardo e un'impostazione teatrale e una serie di elementi e personaggi surreali per raccontare «una storia poco conosciuta che è un ricalco dei peggiori orrori stalinisti e di altri regimi dittatoriali del secolo scorso con aspetti veramente grotteschi. I generali per esempio avevano l'astrologo che li seguiva per dare loro consigli di ogni genere. Sembra un'invenzione di Alfred Jarry o di Martinelli magari, invece era la realtà».

Sarà Ermanna Montanari a vestire i panni di Aung San Suu Kyi, questa eroina contentemporanea finalmente dal 2016 alla guida politica del paese per cui ha tanto lottato. L'investitura a questo ruolo all'interno del film ci riconduce ancora una volta al teatro. «In una delle primissime scene - racconta Martinelli - la bimba-narratrice che incontriamo nel magazzino incontra Ermanna Montanari che è proprio un'attrice di teatro. Sarà questa creatura, protagonista della scena, a incoronare con una simbolica orchidea Ermanna nel ruolo di Aung San Suu Kyi».

Come l'avete caratterizzata questa donna tanto strordinaria? «Ce la siamo immaginata che parla con gli spiritelli cattivi della tradizione Birmana, i Nat. Con un gioco di teatro nel teatro e di cinema nel cinema le bambine diventano i Nat che le istigano verso azioni più individualistiche per esempio le dicono: "puoi scappare se vuoi perché non lo fai?". È vero infatti che i generali le dicevano: "Se tu vuoi, te ne puoi andare in Inghilterra quando vuoi. Però poi non potrai mai più tornare". E allora gli spiritelli insistono un po' come voci della coscienza: "perché non fai la brava madre e torni dai tuoi bambini. Perché non fai la buona moglie? E poi, perché i soldi del Nobel non te li sei tenuti tu?". Aung San Suu Kyi diceva che i Nat la terrorizzavano, ma anche che aveva bene in mente cosa diceva il Buddha a proposito, ovvero che i Nat non esistono e che rappresentano solo le nostre paure. E allora i Nat la infastidiscono dicendole: "perché ci parli?". E lei risponde: "perché mi tenete compagnia"».

Le fonti sono le stesse dello spettacolo teatrale che nel 2014 ha debuttato in prima nazionale a VIE Scena Contemporanea Festival. «Nel 2014 mi ero immerso in tutto quello che era Birmano, poi con Ermanna (Montanari, ndr) che è sempre con me in tutto il processo creativo, siamo stati là prima di andare in scena. Il viaggio faceva parte della preparazione dello spettacolo: a noi piace immergerci nei luoghi oltreché documentarci su libri e con materiali foto e video». Che cosa vi ha più colpito nel vostro viaggio? «La mitezza di questo popolo, che veramente ne racconta la tragedia perché vessato in maniera tanto violenta da questi generali. Un popolo che per sua natura riesce a prendere la lezione buddista nel modo più profondo. Là non c'è un clero vero e proprio e chiunque può diventare monaci per un periodo. Comunque, non è che la non-violenza o la mitezza siano legati necessariamente a una religione, ma certo se ripercorriamo l'identità di grandi figure storiche legate alla lotta non violenta, come Mahatma Gandhi o Martin Luther King, è chiaro che l'elemento fondante di queste identità è legato a una forte spiritualità: una bussola sulle grandi domande: "perché devo fare il bene? Perché la giustizia?" Che poi sono le stesse domande che i nostri adolescenti oggi ci pongono con urgenza di fronte a tanti esempi di scorciatoie, volgarità e violenze e su cui il film si basa e porta a riflettere». 

Nella scheda di presentazione del film si legge: "in un Oriente gravido di cronaca politica intessuta a musiche e colori sgargianti". Quali interventi e collaboratori su musica e dimensione scenica? «Le musiche - spiega Martinelli - sono di Luigi Ceccarelli: non una colonna sonora, ma un linguaggio che dialoga con le parole a cui si aggiunge il sound design di Maurizio Argentieri. Quindi altri due preziosi collaboratori: Pasquale Mari, direttore della fotografia e Edoardo Sanchi lo scenografo. E poi ovviamente come già dicevo, Ermanna Monatanari, che è sempre con me in tutti gli aspetti. Insieme abbiamo cotruito un cinema che fosse visione, che scartasse da un certo realismo un po' piatto e fosse possibilità di contemplare luce e visione». 

I generali sono burattini d'artigianato o in carne e ossa? «Sono attori che hanno un piglio grottesco, come il padre Ubu che per noi resta sempre un totem di riferimento. Il loro modo di essere è surreale. Uno di questi, il primo generale, sullo schermo è là morto nella tomba e le bambine, andando a scoperchiarla, lo pungolano per vedere cos'ha da raccontare. Con un gioco di campo e contro campo, la telecamera ora guarda da sopra, con gli occhi delle bambine, oppure da sotto in su a partire dal generale. Lui è li steso e, seppur di malavoglia, racconta la sua versione dei fatti. Finché le bambine lo richiudono dentro». Fine della storia. Da vedere.

Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi è scritto e diretto da Marco Martinelli; con Ermanna Montanari, Elio De Capitani e l’amichevole partecipazione di Sonia Bergamasco, Roberto Magnani, Vincenzo Nemolato e Christian Giroso nella parte dei “Moustache Brothers”, e per la prima volta sullo schermo le giovani attrici Ippolita Ginevra Santandrea, Sara Briccolani, Alessandra Brusi, Catalina Burioli, Olimpia Isola, Benedetta Velotti.

Direttore della fotografia Pasquale Mari; scenografia Edoardo Sanchi; montaggio Natalie Cristiani; supervisione al montaggio Jacopo Quadri
; musiche Luigi Ceccarelli; sound design Maurizio Argentieri. Prodotto da Teatro delle Albe - Ravenna Teatro - coproduzione StartCinema.

Film riconosciuto di interesse culturale dal Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale Cinema. Realizzato con il sostegno della Regione Emilia Romagna - Film Commission, con il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna - Unipol Gruppo Finanziario S.p.A.
CMC - Cooperativa Muratori e Cementisti. Con il patrocinio di Amnesty International Italia e dell’Associazione per l'Amicizia Italia Birmania Giuseppe Malpeli.

Di Laura Santini

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