Locali del centro storico di Genova, il grido di dolore in una lettera: «Aiuti immediati o sarà la fine»

ristorantekowalski.it

Genova, 19/01/2021.

Con la Liguria tornata in zona arancione, continua il momento critico per ristoranti, bar e locali. Quasi 50 attività del centro storico di Genova (ma le adesioni proseguono con il passare delle ore) hanno firmato una lettera in cui viene spiegato il ruolo importante di presidio del territorio, in una zona con le sue peculiarità come sono i vicoli. Si chiedono azioni concrete e immediate per risollevare il settore, letteralmente in ginocchio causa Covid. L'emergenza sanitaria mette a rischio il futuro di questi locali e quello che segue (in versione integrale) è il loro grido di dolore. Pubblichiamo, qui di seguito, la lettera aperta rivolta alla cittadinanza, alle istituzioni comunali, regionali e nazionali.

A partire dall’inizio della pandemia molte analisi di settore sono state fatte, infiniti discorsi sono stati affrontati per poi, alla fine, produrre risposte non adeguate o, nel peggiore dei casi, silenzi pilateschi. Premettiamo che in nessun caso la nostra vuole essere una critica alle azioni intraprese da tutte le istituzioni per contenere l’emergenza epidemiologica in corso: non è nostra competenza la gestione sanitaria della pandemia, è invece il nostro lavoro sottolineare le azioni da intraprendere per risolvere l’altra emergenza: quella economica. Un vizio del nostro paese è quello di affrontare i problemi nazionali come se fossimo una nazione unita dallo stesso medesimo destino oltre che dalla lingua. Non è così.

L’inappropriatezza della risposta economica - del famoso Bazooka tanto sbandierato dai media o delle piccole pistole a tamburo in mano alle amministrazioni - nasce proprio da una mancata analisi delle specificità della reale situazione economica che l’Italia ha nel suo dna commerciale; un dna che ha dato vita a realtà assai differenti, per cui la Liguria ha un tessuto commerciale assai diverso da quello della Lombardia o della Calabria, allo stesso modo in cui quello di Genova è differente da quello di Imperia e quello del centro storico genovese non è uguale a quello di Sampierdarena o della Val Bisagno.

Prendiamo un settore di fondamentale importanza per la Liguria: il turismo. Secondo il Rapporto di sintesi per il 2019 dell’Osservatorio regionale, la stima del PIL attivato dal turismo nella regione era di 3 miliardi e 288 milioni di euro, con un’occupazione derivante di 72.000 unità (58,5% dipendenti, 41,5% autonomi) mentre il valore aggiunto del comparto era stimato in 5 miliardi e 550 milioni €. A titolo di confronto, il valore aggiunto dell’industria secondo il rapporto di Unioncamere Liguria per lo stesso periodo era di 6.502.000.000 €, con un’occupazione di 81.000 addetti.

Prendiamo in modo più specifico il settore Alloggio e ristorazione per la città di Genova. Nel 2018, secondo l’Annuario Statistico Comunale, occupava 10.337 addetti su un totale di 212.458 addetti alle imprese attive, pari quindi al 4,8% del totale; e questo dato naturalmente non comprende un gran numero di persone impiegate nelle altre categorie connesse ai settori turismo, spettacolo, dalle agenzie di viaggi al personale tecnico specializzato. Tuttavia è particolarmente significativo notare come secondo l’ultimo report del Sole 24 Ore sulla Qualità della vita, a Genova ci sarebbero 4,8 ristoranti e 3,8 bar ogni 1.000 abitanti, facendo di Genova la quattordicesima provincia per numero di ristoranti (su 107) e addirittura la nona per numero di bar. Sempre nel report dell’anno scorso si notava come Genova fosse decima per “densità dell’offerta culturale”, ovvero per il numero di eventi organizzati rispetto alla superficie territoriale, dietro a città come Milano, Roma o Napoli ma davanti a Firenze e Torino.

Pur con tutte le difficoltà legate al carattere di una Genova che notoriamente “non è una città di camerieri” (ed è bene che sia così) a fronte della faticosa deindustrializzazione iniziata ormai quarant’anni fa, la città ha saputo mettere in piedi un comparto economico legato a segmenti che sembravano tradizionalmente appannaggio delle sole Riviere. Ha cercato di reinventarsi nel momento in cui è apparso chiaro che i modelli tradizionali stavano generando un sistema “postindustriale” la cui tenuta era demandata principalmente alla liquidità data dalle pensioni per sostenere la domanda interna e alle garanzie offerte dal patrimonio immobiliare. Quest’ultima considerazione valeva in generale per l’intera regione: nel 2011, il valore complessivo degli immobili in Liguria ammontava a 319 mld € (8,2 volte il PIL regionale: record italiano). Ed in effetti, nel corso dell’ultimo decennio la situazione è cambiata, soprattutto per quel che riguarda gli immobili - tradizionale salvadanaio delle famiglie liguri: nel 2019 il valore è sceso a 274,1 mld, pari al 5,6 volte il PIL; non è più il record italiano, ma è comunque la seconda posizione (dopo la Valle d’Aosta) a sottolineare la dipendenza socio-economica della Liguria dai risparmi investiti nel “mattone”.

Ricomponendo il puzzle dei numeri sopra citati, solo apparentemente slegati, emerge l’impatto e l’importanza del lavoro svolto nei settori della ristorazione, del turismo e degli eventi: da un lato è il comparto che presenta le migliori prospettive per una crescita futura, dall’altro è il solo che possa sostenere il valore immobiliare grazie alle sue funzioni di servizio e presidio; in effetti, il principale paradosso per Genova e per la Liguria è l’ammontare del patrimonio immobiliare a fronte di una situazione demografica che vede una diminuzione drammatica della popolazione - sempre per dare un’idea, oggi non solo Genova ha meno abitanti di quando è nata la Grande Genova nel 1927, ma lo stesso centro storico ha un terzo degli abitanti che aveva nel 1861. Il tema dell’attrattività cittadina ha finito per diventare una questione di vita o di morte: si tratta di una situazione delicata, in cui è opportuno usare il bisturi piuttosto del bazooka, anche perché la crisi legata al Covid ha colpito una città che non era ancora nemmeno uscita dal trauma del crollo del Ponte Morandi e si trova in una fase delicatissima di trasformazione.

Alla luce di una riflessione spassionata sulla situazione, i benefici connessi a questi settori sono evidenti, anche se difficilmente quantificabili in termini di profitto o di realizzazione economica, ma certo rappresentano un vero e proprio tesoro per la cittadinanza tutta. Parliamo del presidio costante e duraturo che si oppone ogni giorno a una criminalità sempre più aggressiva e dalle evidenti mire espansionistiche, ben oltre il buio dell’angolo più nascosto; una mafia che agogna di uscire allo scoperto e conquistare nuovi lidi, ma che l’onestà delle nostre attività e del tessuto sociale nel quale esse vivono ha continuato nel tempo a porsi come muraglia invalicabile delle virtù di una cittadinanza che non vuole arrendersi. Un ostacolo che oggi, pian piano, si sta sgretolando e che anzi rischia di finire preda, in alcune sue parti, del denaro sporco ma purtroppo sempre fresco di una malavita organizzata che mai ha levato lo sguardo da quell’agglomerato di curve e strettoie del nostro centro storico.

Parliamo della crescita culturale unica nel tessuto genovese, con la produzione di eventi offerti a tutta la popolazione che ostinatamente continua a germogliare, non smettendo di porre accenti sulla qualità della vita di una delegazione che, altrimenti, sarebbe abbandonata al buio della scarsa illuminazione, al silenzio dello spaccio dilagante e a qualche karaoke stonato realizzato in un paio di locande patinate.

Parliamo infine e soprattutto della capacità di valorizzare un territorio che, viceversa, varrebbe meno di un appartamento in “Vicolo Stretto”, visto che finirebbe preda della desolazione criminale sopra descritta o della mala movida dell’alcool a basso costo e delle grida lanciate con tamburi scaccia turisti. Oggi, questo pregevole pregevole risultato collettivo realizzato dal basso rischia di scomparire per lasciare spazio ai sogni più lugubri dai quali sarà impossibile risvegliarsi.

L’urlo di dolore, di rabbia e di impotenza che adesso mettiamo su carta è relativo a un orizzonte che non vede spiragli di luce nel breve o medio termine. Sappiamo tutti che i prossimi mesi continueranno sulla falsa riga dell’autunno appena trascorso e che l’utopia di una riapertura con orari consoni per il nostro lavoro dovrà ancora trovare un’espressione possibile nella realtà.

Le più rosee previsioni, quelle che parlano di un primo, timido risveglio della cosiddetta normalità per la tarda primavera, si scontrano con ciò che il nostro tessuto economico da sempre sa suggerirci: l’arrivo di un’estate scevra da DPCM restrittivi non farà altro che produrre una fuga dalla città lasciando i nostri vicoli, ancora una volta, vuoti e alla deriva del proprio destino.

La prospettiva di poter tornare a camminare con le proprie gambe, quindi, nel lontanissimo ottobre o novembre (a seconda di quanto il caldo estivo andrà lungo rispetto alla sua stagione di competenza) è un’eventualità che nessuno fra i firmatari di questa lettera si può permettere di perseguire. Abbiamo urgenza di pianificare, strutturare e organizzare il futuro, ma questa urgenza non è solo nostra, è anche di una bellissima città in agonia da troppo tempo.

Noi, oggi, siamo qui a scrivere di un territorio del quale tutti noi firmatari insieme conosciamo ogni pietra, buona parte dei suoi difetti, i suoi infiniti pregi e la drammatica situazione in cui versa in questo periodo sfortunato, reso tragico dall’immobilismo delle istituzioni d’ogni ordine e grado e dalla colpevole inattività delle persone che le rappresentano.

Vogliamo essere pratici, arrivare al punto e perorare fino alla fine la nostra battaglia. In breve, cosa serve? Servono aiuti reali immediati, legati alla differenza di fatturato fra il 2019 e il 2020 e che vadano a compensare la perdita economica sostenuta dalle attività. In questo senso, il 50% della differenza di fatturato fra i due anni potrebbe essere un buon punto di partenza per evitare futuri fallimenti e sarebbe una cifra che andrebbe a ripianare tutte quelle spese che inevitabilmente sono state sostenute in questi mesi di chiusura, di inattività o di lavoro compromesso dalle fasce orarie imposte.

Serve un allentamento della pressione fiscale per alleggerire il passato e il prossimo biennio nel quale siamo appena entrati. Servono politiche attive per facilitare la creazione di eventi, con la sburocratizzazione dei percorsi istituzionali e l’appoggio delle istituzioni in ogni singola parte del percorso di realizzazione degli stessi: oggi, per realizzare un evento di qualsiasi grandezza, servono interventi di professionisti che certifichino ogni minimo dettaglio, generando importanti costi fissi aggiunti; bisogna compilare infinite pratiche spesso inutili e versare notevoli balzelli. Nella situazione che vivremo nei prossimi anni, questi interventi dovrebbero essere ad appannaggio delle istituzioni, che dovrebbero organizzare bandi puntuali e dedicati durante l’anno, mirati alle esigenze di programmazione e semplificativi di quella burocrazia che ogni giorno distrugge qualsiasi entusiasmo. Serve il prolungamento della concessione gratuita dei dehor fino almeno all’ottobre del 2022, dal momento che gli spazi all’aperto saranno di vitale importanza per ancora lungo tempo, tenendo conto dell’inevitabile prolungarsi dell’emergenza sanitaria e della conseguente paura di una larga fetta della popolazione nel recarsi in luoghi chiusi. Serve una promozione costante ed efficace del nostro territorio, con la realizzazione di prodotti turistici sostenibili e che lavorino sui due diversi target, cittadini e turisti, in maniera chiara e ben distinta. Una promozione diretta attraverso canali moderni, che tenga conto dell’operatività presente sul territorio e che sia concepita insieme alle realtà professionali che già su queste strade operano da anni con successo. È fondamentale avere la consapevolezza che se il turismo è sostenibile per la città allora incrementa valore per la cittadinanza tutta e incrementare l’attrattività della città porta a nuovi desideri di trasferirsi fra i suoi confini e a una nuova speranza per il futuro della città, qualitativa, demografica ed economica.

Abbiamo un piano operativo concreto e dettagliato per punti, ma soprattutto che prevede modalità di attuazione chiare, semplici e inequivocabili che ci piacerebbe condividere con le Istituzioni per trovarci a lavorare insieme, ed essere parte attiva nella costruzione del presente, ma soprattutto nell’ideazione del futuro della nostra città e della nostra regione. Un piano che sappia riempire di contenuto quelle tante “scatole vuote” che ancora oggi sono presenti sul nostro territorio che andrebbe invece valorizzato e promosso adeguatamente. Servono strategie chiare, semplici ed efficaci per le quali crediamo sia fondamentale una politica partecipata, che ci coinvolga direttamente accanto alle istituzioni.

Ma torniamo al presente. Leggete bene i nomi dei locali che hanno apposto il proprio nome sotto queste parole: molti di loro non saranno più in piedi quando si tratterà di organizzare quell’anno di lavoro che, tradizionalmente per i caruggi, va appunto da ottobre alla fine di maggio. In questo elenco ci sarà di certo il vostro locale preferito, quello dove avete mangiato quel piatto così buono o bevuto una birra indimenticabile. Ci sarà di sicuro, dietro una sigla commerciale, il volto di un vostro amico, di un vostro parente o di quell’oste che, quella volta, vi diede il consiglio giusto.

Tutti questi nomi, queste persone, non avranno più, in quel tempo così apparentemente lontano e in realtà drammaticamente così vicino, il posto che prima occupavano nella società. E non per colpa o per demerito, ma per via di una gestione dell’emergenza operata male, malissimo, inaccettabilmente “all’italiana”.

La nostra categoria non ha, per storia e conformazione, la possibilità di scioperare, né purtroppo, una voce univoca che possa rappresentarla tenendo conto delle diverse specificità di cui abbiamo accennato in apertura. Di certo non vogliamo scioglierci in inutili manifestazioni capaci solo di lasciare il tempo che trovano e neppure dar aria alle pance già gonfie di quei soloni della ristorazione che fin troppo agitano le televisioni nazionali.

Vogliamo essere pratici, arrivare al punto e perorare fino alla fine la nostra battaglia. In questo momento, però, possiamo solo scrivere una lettera e fare in modo che più persone possano interessarsi alla nostra vicenda e constatare che dietro un dramma apparentemente di pochi si cela un problema collettivo che, poco più in là nel tempo, tutti si troveranno ad affrontare. Possiamo risolverlo assieme subito. Oggi e non domani.

Genova è una città in bilico, il cui futuro è da diverso tempo incerto. Cosa credete che possa accadere se, nel giro di un anno, vedremo crollare l’intera architettura di quel gioiello fatto di banconi, luci, colori, sorrisi e soprattutto di persone e professionalità che è la rete dei locali del Centro Storico? Chiunque condivide il contenuto di questa lettera, può diventarne firmatario inviando la propria adesione all’indirizzo di posta elettronica contatto@contattogenova.it.

Locali firmatari: Rete Contatto Genova; Ristorante e Pub dall'Est Europa Kowalski; Tazze Pazze - Gradisca Cafè; Jalapeno; Maninvino; Romeo Viganotti; Scurreria Beer & Bagel; Ai Troeggi; Dall'Orso Il paradiso della pinsa; Cucina Valoria; Ristorante Il Balcone; Mescite; O'Boteco; Rossocarne; Forchetta Curiosa; Groove; Malkovich; Falso Demetrio Libreria; Negroneria Genovese; Lo Speziale; Ristorante Rosmarino; Da Giuse Pasticceria; Ristorante Veracruz; Burriteria Veracruz; Ristorante Pintori; Fitz Pub; Taggiou; Don Cola; Les Rouges; Uva; Archivolto Mongiardino; Kamun; U gelatu du carogio; La Lepre; Sa Pesta; Jamila; Rooster; Ristorante Cibus; Masetto; Ristorante Il Fabbro; La Meridiana Cafè; Paccottiglia; Trattoria dell'Acciughetta; Quelli dell'Acciughetta; Borotalco; Il Salotto; Vezza Boutique; Gradisca.

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