Scavo, scarto e riscrittura in Yorick [Reloaded] un Amleto dal sottosuolo

Manuela Giusto
Teatro della Tosse Cerca sulla mappa

Genova, 02/02/2020.

Canta. No. Quasi.
Balla. No. Quasi.
Fa il clown. No. Quasi.
L'equilibrista, il giocoliere, Orazio, Amleto, Yorick, Ofelia, Polonio, il re Claudio, la regina Gertrude, Rosencrantz e Guilderstern. No. Quasi.

Il marinaio? ... Questa è un'altra faccenda che non intendo svelare qui.

Nello Yorick [Reloaded] - un Amleto dal sottosuolo una riscrittura, certo del testo ma anche a livello di drammaturgia scenica (di Simone Perinelli), il teatro parte da un cerchio disegnato a terra. Come sosteneva Peter Brook ne Lo spazio vuoto (1968). Sul palco c'è un grande cerchio al centro, ma altri se ne individuano tramite un puntuale disegno luci (Fabio Giommarelli) nel corso della pièce interpretata dallo stesso Perinelli che ne è anche regista (compagnia Leviedelfool). E fuori dai cerchi la nuda terra che sarà elemento sonoro non irrilevante. Perché molto è in gioco sul palco, nella recitazione, tra le battute, dentro i movimenti ma niente è in scena senza rimandare ad altro, rinforzare un contenuto profondo, creare un'associazione più ampia per costruire un'anticipazione o rivolgersi indietro all'inesauribile testo del bardo. Niente vuole essere solo profondo e allusivo, tutto è anche referenziale e letterale, tutto è anche percepibile a livello emotivo e non razionale, immediato - certo reso tramite un impiego elaborato di tutte le componenti sonore - tra rumori, suoni, melodie, musiche e sinfonie.

Sottoposto a smontaggio e rimontaggio, l'Amleto shakesperiano è presentato in forma di frammenti più o meno rintracciabili come aderenti alla traccia narrativa tramandataci dal bardo. Trattati come frammenti sono poi intrecciati con molti altri e la trovata di Perinelli è che vale tanto la parola quanto il significato emotivo che quella parola in un certo testo ha, il suo valore pragmatico e prossemico: chi la dice in che contesto e verso chi la direziona. Resta certo anche la questione meramente semantica, ma è spesso punto di partenza quindi primo livello da percepire per proseguire nella proposta di senso. Così le parole diventano suono, gesto, movimento; e sono suggestioni, rivisitazioni, appropriazioni restituite solo dopo che gli è stata data una nuova forma o che sono state tradotte per altro medium.

Perinelli lavora soprattutto con tessuti testuali e musicali propri e interagisce, già nel processo creativo, con le musiche originali di Massimiliano Setti e al violoncello Luca Tilli. Come racconta dopo lo spettacolo "fino a che tutte le musiche non sono pronte e inserite nel copione, non vado in sala prove". La partitura musicale che si sovrascrive a quella elaborata da Perinelli in realtà nasce in risposta a una bozza di copione, ma poi ne determina la forma da agire a sua volta in un dialogo che non è necessariamente accordo. La parola che troviamo in scena è quella "parola quadrata" di cui parlava Alessandro Serpieri (1978) per sottolineare gli aspetti visivi, corporei, spaziali, aurali che essa assume sul palcoscenico.

In scena dunque la partitura per attore-solo non è mai stilisticamente monocorde, ma testimone e portatrice di sollecitazioni che provengono da altre testualità, da altri linguaggi, forme espressive e registri: danza, rap, acrobazia, giocoleria, clownerie, mimo, gestualità, commedia dell'arte, melodramma, ecc. L'attore è veicolo, mezzo, medium che subisce continuamente una metamorfosi e si discosta da ciò che è o che potrebbe a prima vista rappresentare. In questo scarto, in questo ricontrattare ciò che è codificato, Perinelli costruisce il suo stile e la sua poetica per cui, per esempio, la partitura musicale originale non sarà mai seguita in accordo ma gestita in controcanto, si tratti di ritmo, volume, tonalità. Non si tratta di un pretestuoso andare contro, ma piuttosto di un "andare con" in autonomia. Di rendere ciò che è invisibile di nuovo percepibile.

Shakespeare e il suo testo sono un pre- e un post-testo, si tiene cioè conto del testo in senso tradizionale ma anche della sua stratificazione nel tempo, nelle varie forme di riproducibilità che ce lo hanno tramandato. La volontà da cui parte la rilettura/riscrittura è indagare il concetto di pazzia e normalità. Si recupera Antonin Artaud non solo per il suo genio artistico-poetico, critico e teatrale ma anche per la sua sofferta storia biografica con spezzoni registrati che ne raccontano l'internamento come paziente psichiatrico (e persino la vasca che è in scena riverbera nei suoni che udiamo). Si percorre in verticale il tema della distanza tra pazzia e normalità, si navigano i presunti limiti dell'una e dell'altra, da un punto di vista astratto e concreto, elaborando intorno alla sottile ipotetica linea di demarcazione.

Per associazionismo si lega questa linea all'idea che ci sia un'immaginario confine tra razionalità e dimensione onirica - si porta in scena anche Dorothy Gale e il favoloso viaggio che per lei ideò L. Frank Baum non in uno ma in una serie di libri, una quindicina circa, scritti tra il 1900 e il 1920 - senza contare che il suo bis-bis-nipote, Roger S. Baum proseguì a suo modo la serie con altri libri inaugurati con Dorothy of Oz (1989), in seguito altri autori portarono avanti il mito di questa bambina alle cui meravigliose storie nessuno credeva tra cui Gregory Maguire in Wicked (1995). Allora forse anche sognare e immaginare mondi altri o una vita diversa sono espressioni di pazzia.

Da cui un'ulteriore scarto tramite vari gradi di associazioni intorno allo stesso tema: la nave che porta Amleto fuori dalla Danimarca e verso un destino infausto per volere del re che non tollera più le sue manifestazioni di pazzo conduce alle navi dei folli del medievo tramandate, tra leggenda e verità dalla satira di Sebastian Brant Das Narrenschiff (1494), su cui rifletté Michel Foucault (Storia della follia nell'età classica) trattandole come fatti e che Dario Fo incluse in forma poetico-politica nel suo Mistero buffo, nel monologo Il Matto e la Morte.

Peter Brook diceva che il teatro opera come una lente di ingrandimento ma anche a rovescio può rendere tutto minuscolo. E dunque osservabile perché reso visibile. In questo ingradire e rimpicciolire, si può portare alla ribalta ciò che resta invisibile o è diventato invisibile perché stereotipato o fissato in un'unica lettura. Lo Yorick [Reloaded] de Leviedlfool è un processo di scavo (letterale e metaforico, di testi e concetti) che riporta in primo piano il sommerso a partire dal giullare Yorick - in Shakespeare il teschio recuperato in un brevissimo quadro che riporta Amleto a felici ricordi d'infanzia.

Quel teschio ormai cliché è per Perinelli un significante a cui restituire tutta quella somma di significati che l'hanno reso tanto emblematico nel tempo. Tornato tridimensionale, reso carne e ossa e movimento; affiancato in scena alle tante altre immagini emblematiche dell'Amleto, Yorick si fa portavoce di una possibilità di dissotterrare e di ripensare e di riavvicinarsi e rivivere, quindi riconsiderare anche il nostro presente. Da vedere.

Teatro della Tosse - 30 gennaio - 1 febbraio 2020

YORICK [RELOADED] - un Amleto dal sottosuolo

uno spettacolo di LEVIEDELFOOL
drammaturgia e regia di Simone Perinelli
con Simone Perinelli
aiuto regia e organizzazione Isabella Rotolo
musiche originali di Massimiliano Setti e al violoncello Luca Tilli
disegno luci e scene Fabio Giommarelli
tecnico del suono Marco Gorini
costumi Labàrt Design

 

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