Genova ricorda Fausto Coppi nel centenario della nascita. Intervista a Francesco Moser

Fabio Liguori

Genova, 25/03/2019.

Chi parla di ciclismo, sa certamente chi è Fausto Coppi. A dirlo non è proprio il primo che passa: è Francesco Moser, uno che di biciclette e di vittorie, al pari di Coppi, ne ha viste e vissute parecchie. Lo sceriffo, così era soprannominato Moser per la sua combattività e la capacità di gestire la squadra, ricorda Coppi in occasione del centenario della nascita del ciclista, il 15 settembre 2019. A tenere viva la memoria di Coppi si aggiunge Genova, quella città alla quale il ciclista, famoso per la storica rivalità con Bartali, era molto affezionato: nato a Castellania, in provincia di Alessandria, Coppi trascorre la vita a Novi Ligure, prima in viale Rimembranza, poi a Villa Carla sulla strada per Serravalle, e ancora a Sestri Ponente.

E proprio a Sestri Ponente rivive la memoria di Fausto Coppi. Quì, Francesco Moser ha presentato il suo libro, un'autobiografia dal titolo Ho osato vincere. Mentelocale lo ha incontrato da Giglio Bagnara a Sestri Ponente, scambiando due chiacchiere con il ciclista di Trento, a oggi tra i ciclisti più affermati durante gli anni '70 e '80: con 273 vittorie su strada risulta il ciclista italiano con il maggior numero di successi: a livello mondiale è quinto assoluto.

«Coppi è stato il più grande campione italiano nel ciclismo ma anche nella vita. La sua è una storia particolare, una storia che si interseca con la Grande Guerra e che finisce troppo presto. Coppi morì a 41 anni, nel 1960, per una malaria contratta durante un viaggio in Alto Volta e non diagnosticata in tempo, aveva ancora tante corse da vincere. Io mi ricordo appena di Coppi, nel 1959 avevo 8 anni, ma quando ho cominciato a correre anche io ho seguito la sua storia, le sue orme e ho cercato di imitarlo. Chi parla di ciclismo sa bene chi è Coppi. Bartali, invece, l’ho conosciuto, anche perché era stato il direttore sportivo di mio fratello. Anche per questo, in casa, siamo sempre stati dei bartaliani».

Due ciclisti, Coppi e Moser, che negli anni hanno inconsapevolmente fornito grandi insegnamenti nel mondo del ciclismo: «È sempre difficile paragonare a distanza le carriere: Coppi è vissuto in un periodo in cui la bici era il primo sport, ancor più celebre del calcio. Ho potuto vedere alcune foto di corse ciclistiche sul Passo Sella e Passo Pordoi: la gente si arrampicava sui muri per seguire questo sport, era un passione irresistibile - spiega Moser, che non nasconde una buona dose di modestia - Coppi è il ciclismo, io ho cercato solo di fare il meglio che potevo nella mia carriera».

Moser pensa poi alla Milano-Sanremo 2019, svoltasi sabato 23 marzo, e non può fare a meno di pensare a cosa è cambiato nel mondo del ciclismo e intorno a esso: «Il percorso della Milano-Sanremo è rimasto più o meno uguale negli anni, una corsa che si decide dal Berta in poi... forse oggi c'è qualche buca in più. Milano-Sanremo a parte, nel mondo del ciclismo sono cambiate molte cose. Oggi, il ciclismo è fatto di dirette in televisione, microfoni, contachilometri e cardiofrequenzimetri. Ai miei tempi era il gesto sportivo, c’era il senso dell’impresa. C’erano poesia ed epica, sudore e fatica, ma sulle grandi salite penso che le emozioni sono rimaste esattamente le stesse».

Tutta la storia di Moser è racchiusa nel suo libro, che il ciclista racconta senza anticipare più di tanto: «Il libro Ho osato vincere racconta la mia storia, la mia vita, ma soprattutto parla di ciclismo, delle emozioni che ho vissuto mentre correvo, dal Giro d'Italia fino al record dell'ora». Bella la frase sulla copertina del libro, Ho vinto spesso, qualche volta ho perso, ma non ho mai partecipato: «Io partivo sempre alle corse per fare risultato, ma ci sono stati momenti in cui anche io ho tirato i remi in barca quando capivo che non ci fosse più nulla da fare. Ma correvo da solo, ognuno è la migliore squadra di se stesso».

Come Coppi, anche Moser è legato a Genova e alla Liguria: «Ho bellissimi ricordi. Genova è una città dove ho vinto tanto. Diversi Giri dell’Appennino, ma anche un bel cronoprologo del Giro d’Italia. Era l’anno 1980, si arrivava di fronte al porto. Il Turchino ogni volta era una vera sfida, anche per i miei avversari più agguerriti».

Di Fabio Liguori

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