Sogni per una verità non dicibile in Deflorian/Tagliarini. La recensione

C. Pajewski
Teatro Eleonora Duse Cerca sulla mappa

Genova, 17/03/2019.

Fuor di finzione il teatro di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini fa a pezzi l'idea stessa di narrazione, per poi ricostruire il valore di quella trama che nel dialogo gli esseri umani riescono sempre a tracciare. Il linguaggio, colto nel suo continuo proporre tracce di storie, viene proposto come il filo di una matassa che ogni inteprete, in scena con il proprio nome di battesimo, è chiamata/o a tessere a piacere - per così dire.  In Il cielo non è un fondale, i due autori e performer Deflorian e Tagliarini, affiancati da Francesco Alberici e Monica Demuru, sfruttano sogni, paure, visioni, ricordi o immaginari come bozze di racconti mai sviluppati e rilanciandoseli l'un l'altro/a aprono la scena al tema dell'essere tagliati fuori, usciti fuori per sbaglio, per errore, per scelta, fuori dai canoni del pensare comune, fuori dai tempi del mondo oggettivo, fuori perché emarginati.

Di chi dorme per strada, di chi non riesce a spiccare il volo nella vita, di chi viene trattenuto da un incidente, di chi agisce dentro rigide letture del reale, di chi vive in un mondo in musica e poesia, di chi si siede su una panchina ai giardini, di chi va al supermercato sempre all'ora di chiusura, di chi si crea feticci immaginando di farli assurgere a esperienze concettuali intorno a cui costruire una teoria per un'installazione diffusa a livello urbano, di questo e altro tratta Il cielo non è un fondale, ultimo lavoro di Deflorian/Tagliarini - dopo Rewind (2008), Reality (visto l'anno scorso al Teatro Modena) Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni - in scena al Teatro Duse di Genova il 15 e 16 marzo 2019.

Sognare di scansare una barbona per strada, per poi tornare sui propri passi e scoprire che è proprio Daria. Scusarsi con Daria, che non si è propria offesa, trattandosi appunto solo di un sogno che coincide per lei con un'intima paura per il suo futuro confessata a suo tempo ad Antonio, appunto. Assistere all'autodenuncia di Francesco sulle ragioni che determinano la mancata elemosina alle donne buttate agli angoli delle strade, viste come streghe. Antonio, Daria e Francesco come ragazzini che si lanciano una sfida riempiono gli spazi tra loro raccogliendo il testimone per dire la propria, accogliendo anche Monica che rifiuta la logica del discorso per rilanciare con una canzone: Il cielo di Lucio Dalla.    

Il gioco non è meccanico. Le regole non sono immediate. Come su un tabellone o un gioco da tavolo, però, ognuno/a ha una sua posizione rispetto a una quinta nera, altro elemento che definisce dentro/fuori, insieme a quell'altro fattore chiave, lo stare in piedi contro lo stare sdraiati e su cui si struttura il gioco delle parti e il gioco del discorso. Sarà Daria a svelare il meccanismo sottostante del interazione dell'umano tra parole e individualità: "c'è sempre questo dire, questo parlare, mi sento una spugna in questi discorsi già sentiti, di altri". Siamo e diciamo il già detto, ma imbastiamo sempre anche un piccolo episodio originale, mettendo in fila parole nostre e visioni di altri che costruiscono un mondo. Generano il piccolo mondo in cui finiamo per muoverci, immaginando che sia proprio quello che vivono anche gli altri. Fino a prova contraria.

Lo svilimento del discorso, l'assurdità di ragionare intorno a un sogno e a quale posizione gli altri, gli interpreti, assumerebbero in quella speciale cornice, non impediscono alle tracce narrative di costruire un ragionamento che alla fine determina un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Come a dire che siamo umani e non c'è frammento di discorso che non porti a storia. Perché oltre al cogito ergo sum, c'è questo incessante dire.

In una formula che spinge le libere associazioni oltre le singole parole, che sembra prescindere dall'ossessione per le singole lettere dello scarabeo ma ne sfrutta in parte il meccanismo ad incastro casuale, si dimostra e si agisce l'ostinata necessità umana di dare senso, di tradurre in qualcosa di comprensibile l'insensato, di leggere il reale o l'immaginato con gli stessi strumenti con cui leggiamo continuamente ad alta voce o tra-noi-e-noi il mondo, ma anche noi stessi. Che sia veglia, sogno, lucubrazione il codice linguistico ci allena a cercare il senso alla faccia dell'arbitrarietà, degli individualismi, delle esperienze personali per farci incontrare là dove vogliamo dire la nostra e definire i contorni di fatti, pensieri, illusioni.

"Chiudete gli occhi". "Ora riapriteli". Così anche il pubblico è chiamato ad esercitare un suo ruolo sulla superficie di gioco o tabellone. No, non siamo chiamati sul palco, siamo invitati a prendere gli interpreti come pedine, per vederceli in un'altra posizione appena riapriamo gli occhi, pronti a partire per la prossima sessione di gioco.

Terribilmente umano, sfacciatamente confessionale, reconditamente disvelatorio di ciò che prima o poi passa a tutti per la testa, questa nuova produzione Deflorian/Tagliarini va oltre l'idea stessa di ciò che è vero e ciò che non lo è, ciò che si può dire e ciò che non si può dire reimmaginando il senso stesso della parola realismo, tout court: il significato delle cose passa per una simulazione mentale; agire o pensare/sognare di farlo equivale ad averlo fatto. Perché è di chi è ai margini che si cerca di disquisire fuor di retorica, fuor di ciò che  è politically correct o di ciò che è moralmente bene sostenere o narcisisticamente opportuno affermare. Ecco questa forma di realismo trascende il reale per generare il contradditorio, flussi di coscienza interlacciati, che mettono fianco a fianco il detto e non detto senza soluzione di continuità e ci portano dentro ciò che si vive anche solo perché ci è passato per la testa.

Teatro Duse di Genova
15 e 16 marzo 2019
Il cielo non è un fondale
autori e performer De Florian/Tagliarini
con 
Monica Demuru (attrice e cantante) e Francesco Alberici

Tra brani di Dalla, Battisti, Mina o Händel, la testimonianza individuale e privata si fa mirabile racconto collettivo, sospeso tra immedesimazione e distanza critica.

Il cielo non è un fondale è un momento nodale nel percorso di ricerca di due artisti potenti e inquieti. Il primo spettacolo nato dalla loro collaborazione è Rewind, omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch. Successivo è il Progetto Reality, ispirato ai diari di una casalinga di Cracovia, per il quale Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu 2012 come miglior attrice. Nel 2012 Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni riceve il Premio Ubu come migliore novità italiana e nel 2016 il Premio della Critica come miglior spettacolo straniero in Quebec, Canada.

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