Penultimo spettacolo al BLoser: Per una donna. La recensione

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Genova, 17/03/2019.

In Per una donna, una lei mette alla sbarra le sue proprie identità. La nuova lei scoperta da pochi mesi, a 40anni, risulta incomprensibile e oscena alla lei tradizionale: “una donna ha i capelli lunghi, le braccia deboli” e sta con un marito “che non mi sgrida, non mi picchia e per il mio compleanno mi regala dei fiori”. Il rapporto però non va molto oltre perché questo lui non parla un granché e di sesso non se ne fa da tempo.

Con un titolo Per una donna, che richiama alla mente vecchie canzoni - quella di Califano o dei Pooh, per esempio - in cui si celebra l'amore etero, il testo scritto da Letizia Russo e interpretato da Sandra Zoccolan per la regia di Manuel Renga, non è affatto un monologo né un lavoro sull'amore tradizionale tra un uomo e una donna. Russo intende piuttosto rappresentare quella pluralità di voci che abitano l’identità complessa, lei dice “confusa”, di una donna un giorno lasciatasi andare alla passione amorosa e sensuale per un’altra donna.

Lo spettacolo costruito per sette microfoni e altrettante voci (vedi foto) è andato in scena (il 14 marzo) in una versione ridotta, per due soli microfoni, nello spazio mignon di BLoser, dove Cristina Cavalli (direttrice artistica del cartellone teatrale OneBloser) accoglie sempre il suo pubblico dialogano e segnalando anche gli spettacoli da non perdere di altri cartelloni - giovedì ha segnalato Bestie di scena di Emma Dante al Nazionale (20-22 marzo) e Lebensraum del regista svedese Jakop Ahlbom, anche attore e acrobata alla Tosse (28-30 marzo). Oltre a ricordare Niente niente, l'ultimo appuntamento della rassegna dedicata ai monologhi (il 6 aprile) in cui saliranno sul palco accanto a Cavalli, Sabrina Napoleone, Cristina Nico e Irene Serini.

Sandra Zoccolan a partire dalla forma epistolare costruisce un dialogo serrato tra chi è cattolicamente colpevole e chi tiene le redini del buon senso, del "come si deve fare per essere per bene". Fino a un chiaro quadro ammonitore in cui il peggio si palesa in un ipotetico futuro in cui è stata presa la decisione sbagliata e di fronte all’album di famiglia, la protagonista agli occhi dei nipoti diventa la grande assente e additata come “la zia pazza”. Nel testa a testa, tra la lei tradizionale, aggressiva e giudicante, e la lei "smarrita", in preda alla passione e spesso muta o incapace di argomentare, prendono spazio e corpo in vocalizzazioni registrate sul palco anche le voci inarticolate della sfera più interiore, espresse tra canto, sospiri, lamenti e gorgoglii spesso mandati in loop come una colonna sonora.

La drammaticità dell'autoprocesso, condita di auto-ironia, fa emergere la dimensione condizionata dell'essere femminile, quella che conosce il proprio posto anche se non l'ha mai realmente scelto; per contrasto cresce anche il profilo di una lei incondizionata e quasi muta. Sono poche pochissime le parole della lei-colpevole. Pochissime le contro-deduzioni, rispetto alle accuse di tradimento e lesbismo. Fitto di dettagli è però il racconto dell'incontro travolgente e passionale dove le due lei improvisamente si dibattono come afferrate e trattenute in una morsa. Rimestando nel profondo della propria individualità, la protagonista non distingue più la lei della normalità da quella della trasgressione, e si mette a tracciare i momenti in cui un femminile mai conosciuto, mai sondato si fa avanti. Dando credito solo a una versione del proprio io, quella versione messa in scena quotidianamente e seguita con zelo come un copione imposto da un regista despota, la 40enne crede di avere la soluzione del caso in pugno.

La drammaturgia di Letizia Russo è al contempo immediata e persino scontata (specie in apertura), quanto sottilmente acuta e capace di ispessirsi nel proporre tutti gli stereotipi a cui la protagonista si auto-sottopone mentre si fa il processo. Partendo con una sentenza già predisposta, l'epistola auto-rivolta intende arrivare all'unica soluzione accettabile: trattare l'accaduto come un episodio di confusione, smarrimento, oserei dire peccato da cancellare con questa forma di confessione sommaria, per poi chiudere la porta alla propria libertà di espressione e cedere alla tombale esistenza fin lì condotta. Eppure c'è nello smarrimento della passione una forza nuova, un'individualità inesplorata, un piacere non noto, un modo di essere e amare non immaginato e travolgente che si oppone a ogni forza raziocinante e accusatoria.

Come in un romanzo, in questo breve atto unico, si perlustra il perimetro di una stanza tutta per sé rischiosamente asfittica, ma potenzialmente permeabile alle sollecitazioni recondite che vedono nell'altro/a un'occasione di presa di coscienza e auto-affermazione.

@ BLoser - giovedì 14 marzo 2019
Per una donna

con Sandra Zoccolan
di Letizia Russo
regia Manuel Renga
produzione ATIR 

Vive la routine di un matrimonio senza scossoni né sussulti: giorni placidi, risvegli sereni, camicie da stirare, vacanze da programmare. Rituali affettuosi, come l’attendersi per cena o il resoconto di una giornata di lavoro. È questa la felicità? Aggrappata al passato, all’illusione che il tempo non passi e non trasformi le cose, una donna si accorge di poter incontrare il desiderio. Una crisi personale la costringe a mettere in discussione la propria vita. Ironia e sensualità, intelligenza e ambiguità. Per una donna è una polifonia di voci nevrotiche, tra flashforward e ripetizioni ossessive. La scena è un intrigo di fili elettrici o audio, matassa di problemi da sbrogliare. Sono viscere, arterie, connessioni fatue che c’illudono di dominare il set della vita proprio quando ne restiamo imbrigliati. Per non parlare dei fili invisibili che ci trattengono, e soffocano persino i nostri impulsi più candidi.

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