Il Carnevale zeneize: le maschere della tradizione genovese

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Genova, 26/02/2019.

Il Carnevale è sinonimo di colori, folclore e tanto divertimento, soprattutto per i bambini. Ma, Carnevale, significa anche recuperare antiche tradizioni e svelare curiosi aneddoti legati al territorio. Curiosità che si possono scoprire durante il Ghost Tour di Carnevale 2019 a Genova di sabato 2 marzo, un percorso che si snoda tra vicoli e piazzette del centro storico e introduce i partecipanti in un mondo sospeso tra passato e presente.

Le origini del Carnevale sono davvero antiche. Pare che già i Babilonesi lo festeggiassero eleggendo un re carnevale, che sovvertiva l'ordine naturale delle cose. Pur essendosi diffuso in Liguria già nell’antichità, a Genova, il Carnevale, nasce tra XVI e XVII secolo su iniziativa dell’Accademia degli Addormentati e dei Magnifici della Repubblica. Nel periodo barocco non si perdeva occasione per animare la città con trionfi, mascherate, giostre, tornei, sfilate e fuochi di gioia. Ma conoscete le maschere trazionali del carnevale genovese? Ecco una guida alle più note, con il contributo del Circolo Culturale Fondazione Amon (testi tratti dal libro Le maschere di Genova di Cesare Viazzi, de Ferrari editore).

O Marcheise

Maschera settecentesca genovese. Cappello a due o tre punte, parrucca bianca incipriata legata con un nastro nero, marsina o giacca a redingote di velluto con fregi in oro dalla quale trasbordano un largo bavaglio ed abbondanti polsini in trina, calze bianche di seta e scarpe nere. Così compariva nei cortei carnevaleschi (più raramente nei teatrini delle marionette) il Marchese, caricatura della nobiltà conservatrice ed estremamente cauta di fronte ad ogni innovazione, da cui potessero essere intaccati i suoi privilegi.

O Paisan

Contadino sceso dai monti dell’entroterra, contrapposto, secondo la tradizione, al Marchese. Di solito si chiamava Gepin, Brisca, Genio. Il suo costume è costituito da un cappuccetto rosso e a strisce, di lana, lungo come una calza che scende su una spalla. Sul berretto è spesso appoggiata la “trentinn-a” (un cappello scuro rigido a falda larga, simile ad un copricapo usato nel Trentino). Ha una camicia colorata sopra la quale indossa un corpetto o rosso, o bianco, o rigato, coperto a sua volta da una giubba di fustagno marrone oppure di velluto verde o rosso. I pantaloni sono della stessa stoffa della giacca, retti da una fascia rossa e chiusi sotto il ginocchio da lacci dello stesso colore. Ghette bianche e scarponi slacciati. Sulle spalle o paisan ha un fazzoletto con frange, in mano un ombrello verde o rosso, una piccola lanterna, un cestino o un sacchetto di castagne. Al fianco la pennacca, la roncola.

O Villan

Come o paisan, proviene dalla campagna. Ma, a differenza di questi, non possiede e non coltiva terra propria, bensì lavora sotto padrone. Ha un costume più povero, per esempio sopra al “cappuccetto” non porta cappello, non ha né corpetto, né ombrello. A completare la sua tipicità concorre l’intonazione di uno strapuntin dopo l’altro, cioè canzoni sfrontate e sferzanti.

A Paisann-a

È la compagna del Paisan, e di solito si chiama Nena. Il suo costume è costituito da una camicia di pizzo non molto raffinato con sopra un corpetto di velluto o altro tessuto pesante, gonna lunga ed ampia di colore vivace e righe alternate chiare e scure o a fiori e sotto le “fadette” (sottoveste a falde) le mutande strette in vita dalla picaggia (fettuccia) e alla caviglie da tre nastri di tela, scarpe di stoffa nera o a fiori, grembiule da lavoro. In testa indossa il “sottesto”, panno arrotolato a forma di ciambella che aiuta a portare pesi in bilico. Gli accessori sono collane ed orecchini, un nastro di velluto nero o blù che gira intorno alla testa in modo da fissare le trecce ed i capelli raccolti, scialle frangiato a tre punte. Molto spesso, però, in testa ha il meizao, il mezzaro.

A Marcheisa

Nei cortei carnevaleschi del XIX secolo e dei primi decenni del XX secolo, al fianco del Marchese, sono comparse una Marchesa e delle Marchesine. A Marcheisa ha parrucca bianca a boccoli, corpetto stretto in vita con ornamenti vari, sottana larga di preferenza viola, calze di seta bianca, scarpine bianche o nere . In testa il “pezzotto”.

Capitan Spaventa

È l’ultimo discendente del Miles Gloriosus di Plauto e dello spagnolo Matamaros. (Ricordiamo che gli Spagnoli occuparono Genova il 30 maggio del 1522 e la loro egemonia sulla città si protrasse a lungo, suscitando e lasciando scarse simpatie). Capitan Spaventa nella versione genovese è spesso degradato a caporale, ma è sempre la caricatura del soldato spagnolo convinto di essere bellissimo e valorosissimo, mentre è brutto e fanfarone, si vanta in continuazione di avventure amorose e guerresche, mai vissute, con un linguaggio infarcito di vocaboli casigliani ed italiani. Il costume più consueto è un abito attillato a strisce gialle e rosse (i colori della Spagna), un mantello rosso foderato di giallo, cappello ornato di piume variopinte. Al fianco gli pende la spada.

O Scio Reginn-a

Fu una macchietta viva e vera della Genova settecentesca, città nella quale era arrivato dalla riviera di Ponente. Il suo è un abito borghese dell’epoca completo di “micado” (il cappello a cilindro). Si chiamava Francesco Capanna, era forse di famiglia agiata, ma una volta inurbato si era ridotto in miseria. Vero o finto tonto, cercava di procurarsi un poco di cibo e molto vino, esibendosi nelle osterie in un repertorio di pagliacciate e di sgangherati monologhi. Nella notte di Pentecoste del 1792, secondo alcune fonti, cadde per le scale di una taverna. Gravemente ferito, fu trasportato all’ospedale di Pammatone dove morì il giorno dopo; ma vive nel tempo. Fu destinato all’immortalità con l’epiteto che gli era stato assegnato dai frequentatori delle bettole: o Scio Reginn-a.

Di A.S.

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