Viganò a Marassi: «Il carcere deve preparare al rientro nella società»

L. Santini
Teatro dell'Arca Cerca sulla mappa

Genova, 09/11/2018.

Prima c'è stato il Viaggio in Italia nelle scuole. Lo scorso maggio (2018), poi, è stato presentato un nuovo percorso che porta la Corte Costituzionale a incontrare le persone. In entrambi i casi l'intenzione è quella di «diffondere la conoscenza della Costituzione e farne condividere i valori, allo scopo di costruire una solida “cultura costituzionale”» come descritto nel progetto del presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi.

La quinta tappa di questa nuova impresa civile e culturale ha toccato Genova portando nel carcere di Marassi, negli spazi del Teatro dell'ArcaFrancesco Viganò, giudice della Corte Costituzionale nominato direttamente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso febbraio. Ad accoglierlo Maria Milano, direttrice della Casa Circondariale del centro città, il provveditore degli istituti penitenziari Liberato Guerriero e Maria Eugenia Oggero, consigliera della Corte d'Appello di Torino che, dall'agosto scorso, ha accompagnato alcuni dei detenuti di Marassi in una serie di incontri preparatori all'evento.

Evidentemente emozionato e motivato da una sensibilità personale molto spiccata, il giudice Viganò introdotto ufficialmente dall'inno italiano suonato dal vivo, ha affermato: «Infrangendo il protocollo, comincio con il raccontarvi qualcosa di me e qualcosa dell'istituzione che rappresento, perché il senso è quello di un incontro e quindi sapere chi siamo e quali esperienze abbiamo fatto ci permette di guardarci negli occhi e di realizzare davvero quello che succede comunemente quando ci si incontra tra persone la prima volta».

Con grande amabilità e coraggio il giudice si è dunque «messo a nudo» raccontando della sua famiglia: «Sono originario di un paesino di migranti vicino a Como dove non c'era lavoro». Si è soffermato sulla sua formazione e sulle sue debolezze di giovane: «Sono cresciuto in una pluriclasse, non proprio ideale per formare una persona. Ero il tipico secchione, timido, con un po' di balbuzie e collezionavo tanti due di picche con le ragazze; le condizioni economiche non erano ideali, vivevamo tutti insieme anche con la nonna». Delle esperienze forti della sua vita: «Incontrai un professore che mi prese per mano, mi spedì a studiare a Monaco, non sapevo il tedesco ma piano piano me la cavai. Lì ho scoperto la mia vocazione, ho fatto un po' l'avvocato ma poi avevo la faccia da bravo ragazzo e non ero molto credibile. Quindi ho fatto il ricercatore e poi sono diventato professore. Ci vuole creatività per affrontare il diritto come ho sempre detto ai miei studenti - a cui non ho mai proposto una lezione formale ma lunghi dibattiti, tanto lavoro di gruppo e alla fine di ogni anno si andava sempre a mangiare una pizza tutti insieme». Fino al suo impegno militante per un impatto concreto nel diritto penale: «Ho fondato la rivista online Diritto Penale Contemporaneo in cui ho cercato di portare fuori dell'accademia i dibatti sul diritto. Lì ho fatto battaglie civili sui diritti dei detenuti». Poi un giorno, lo scorso febbraio (2018) una telefonata l'ha posto di fronte a una grande svolta: «Non avevo fatto niente perché mi arrivasse un tale riconoscimento. È stata una grande emozione. Non ho risposto subito, ho preso tempo dicendo "Fatemi sentire mia moglie"».

In un intervento al contempo estremamente umano, quasi confessionale, una sorta di colloquio rivolto individualmente a una platea gremita per lo più composta da detenuti, ma che accoglieva anche il personale della polizia penitenziaria, gli operatori e tanti rappresentati della società civile (tra cui i docenti attivi in carcere e il personale di Teatro Necessario). Chiaramente volto a trovare punti di contatto umano a un certo svelarsi con l'intento di essere accolti, il giudice si è anche addentrato negli aspetti tecnico-formali del ruolo che ricopre e dell'istituzione che rappresenta. «La Corte Costituzionale è un legislatore negativo - ha ricordato più volte Viganò - che non può migliorare o modificare la legge, ma può lanciare un monito rispetto ai risultati applicativi della norma che vanno contro i principi della Costituzione, in un principio di collaborazione con il legislatore perché possa intervenire» e superare l'eventuale irragionevolezza della norma. «Compito specifico della Corte Costituzionale, suo criterio fondamentale è che in una democrazia è il legislatore primariamente eletto, il Parlamento, che deve decidere, per esempio nel diritto penale, quali reati e in che misura debbano essere puniti. Però, in Italia se si volesse legiferare a favore della pena di morte non sarebbe possibile perché la Costituzione lo nega nel principio della difesa dei più deboli, ovvero di coloro che non hanno la possibilità di far sentire la propria voce contro la maggioranza. Si tratta dunque di un compito defilato, non sotto i riflettori, svolto in sobrietà ed equilibrio». 

La parte centrale dell'intervento è stata dedicata al tema dell'incontro: Tendere alla rieducazione. Ovvero come e perché la Costituzione ci ricorda che il carcere deve proporre ai detenuti un percorso che restituisca loro un'occasione e alla società sicurezza e nuovi componenti attivi pronti a dare il loro contributo. «Cosa dice la Corte Costituzionale a proposito della pena e della pena detentiva? Le pene devono tendere alla rieducazione, articolo 27. La Costituzione dà per scontato che la pena sia legittima e che sia necessaria per tutelare i diritti fondamentali delle persone e delle vittime dei reati. Una volta che la pena è stata sancita e comminata, il condannato deve potersi proiettare nel futuro, la pena non deve essere inflizione di sofferenza, deve risolversi in un'opportunità per ricominciare da capo. La finalità è che la persona possa diventare migliore, essere reintegrata e contribuire al miglioramento della società tutta. No dunque al lavaggio del cervello, no a quel processo per un adeguamento assoluto a valori imposti dal partito al governo. Al condannato deve essere offerta una revisione critica del proprio passato in un appello alla libertà interiore, in cui possa comprendere le ragioni e le responsabilità rispetto ai reati compiuti. Si tratta di un processo atto a prepararsi per tornare nella società per dare il proprio contributo e non per chiedere; quindi significa rimboccarsi le maniche, ma a partire da date condizioni oggettive che lo permettano, come sancito dalla riforma penitenziaria del 1975 con cui in Italia si è concretizzato il percorso di rieducazione».

Come ha ricordato il magistrato Oggero, il Viaggio nelle Carceri cominciato il 4 ottobre a Roma dal Carcere di Rebibbia e proseguito nelle tappe di Milano a San Vittore, quindi Nisida (Istituto penale per minorenni) e Terni ora tocca Genova quindi sarà poi a Lecce, rappresenta una grande occasione: «È un incontro simbolico e fisico, perché i giudici sono usciti per la prima volta dal Palazzo della Consulta (vicino al palazzo del Quirinale) dunque c'è una simbologia forte, ma al contempo riconosciamo un gesto concreto. Un'esperienza dinamica anche per i detenuti per dibattete e confrontarsi perché diritti e doveri, quelli sanciti dalla Costituzione, hanno senso se connessi all'essere umano, la costituzione è bella perché è antropocentrica, si capisce tutto quello che c'è scritto. Dal latino: homo sum et nihil humani alienum puto, ovvero "io sono umano e non mi è alieno nulla di ciò che pertiene l'umano". Un principio che ci viene dalla latinità classica (anche se è spesso stato attribuito a Sant'Agostino) e che guarda al diritto alla speranza un concetto che mutiamo invece dalla legge sui diritti umani della Corte Europea».

A chiudere la lunga ma ricca mattinata le domande dei detenuti. Salendo sul palco, ad uno ad uno, presentandosi con il proprio nome e cognome, ognuno ha proposto domande estremamente puntuali e sempre più sofisticate al giudice Viganò che ha avuto così l'opportunità di completare e perfezionare gli aspetti più specifici della materia diritti/doveri/pena detentiva.

Per esempio Carlo Rebaudi ha domandato: «La Corte Costituzionale ha gli strumenti per comunicare al parlamento se una norma è incostituzionale?» Sempre con grande entusiamo ed equilibrio la risposta di Viganò è arrivata con la solita naturalezza e capacità comunicativo-empatica: «Non in maniera preventiva. Sarebbe scorretto che facessimo conoscere la nostra opinione su leggi che si stanno discutendo in Parlamento. Anche perché il controllo preventivo è riservato al solo presidente della Repubblica, che decide di non firmare una legge, ma solo in casi macroscopici ovvero se c'è un dubbio importante per cui il Presidente chiede al Parlamento di ripensarci. Il nostro intervento - prosegue Viganò - è solo su caso concreto. Aspettiamo che la legge venga applicata a una vicenda specifica trattata in tribunale, quindi nel momento in cui la legge fa sentire i suoi effetti sulle persone e si svela incompatibile con i diritti della costituzione. Noi non ci contrapponiamo al Parlamento, con cui invece intendiamo collaborare. Aspettare un momento concreto ci permettere di non esprimere un giudizio politico». 

Tra le altre, quella di Alessio Sicari riflette proprio sul senso del progetto Viaggio in Italia: «Questi incontri saranno utili perché il Parlamento faccia qualcosa per migliorare la condizione detentiva?» Con la chiara cautela ma intezione di non evadere mai il quesito, Viganò ha soddisfatto anche in questo caso la platea: «Esiste un dovere di leale collaborazione con le istituzioni a cui dobbiamo rispetto tutti e io in qualità di rappresentante dell'istituzione di cui faccio parte. L'utilità di questo Viaggio forse andrà a vantaggio anche della polizia penitenziaria e di tutti gli operatori che sono altrettanto reclusi, servirà forse a dare la sensazione che si sta pensando a voi. Questo viaggio si inquadra in un orientamento culturale volto a continuare a parlare di carcere: argomento che non piace a nessuno, non troppo popolare tra chi fa politica perché non porta voti. L'intento è di mettere in evidenza che la rieducazione possa giocare sulla sicurezza collettiva e portare un reale contributo che faccia l'interesse della società tutta».

Come accade ogni volta che si entra al Teatro dell'Arca nel carcere di Marassi, anche questa è stata un'occasione unica per un evento davvero corale, intenso, ed estremamente significativo in particolare per il percorso svolto dai detenuti all'interno della Casa Circondariale di Marassi. Tra i vari progetti atti alla risocializzazione e rieducazione la direttrice Maria Milano ne ha promosso uno che ha previsto di dipingere sulle pareti dei corridoi «l'articolo 27 della Costituzione - ha spieganto Milano - con il supporto dei docenti di grafica e con la partecipazione di detenuti e di parte del personale di polizia. Anche questa è un'attività che favorisce integrazione e percorsi rieducativi».

Di Laura Santini

Argomenti trattati

Newsletter EventiResta aggiornato su tutti gli eventi a Genova e dintorni, iscriviti gratis alla newsletter