Fabrizio Arcuri e Joël Pommerat per una Cenerentola tutta di oggi

Giovanni Chiarot

Genova, 20/04/2018.

Che cos'è una fiaba? Un modo per spiegare le cose brutte, le brutture del mondo umano.
Ai bambini? Sì, forse. Ma soprattutto agli adulti.

La magia. L'immaginazione. I cattivi. I buoni. Gli eroi. Gli antieroi e le fate. Sì, incantesimi inclusi. Tutto falso. Lo sappiamo da tempo ma il drammaturgo francese Joël Pommerat, forse abbracciando quanto anticipato dall'acuta capacità intellettuale della scrittrice britannica Angela Carter (1940-1992), smonta le favole - struttura, personaggi e trama, tutto incluso - per presentarci la versione Ur-, quella che sta sotto. Insomma la fiaba senza costume, senza abiti eleganti né nella lingua né nell'azione. La fiaba in mutande, ma sotto le luci di scena. Carter ha lavorato una vita dentro generi cosiddetti minori, fiabe, horror, fantascienza per svelare ruoli e strutture mitiche che si annidano, più o meno, sottotraccia nelle nostre esistenze.

Non perdetevi l'occasione di vedere un regista, Fabrizio Arcuri (anch'egli da tempo impegnato a decostruire), un drammaturgo e un gruppo di attori, Compagnia della Accademia degli Artefatti, collaborare a un'idea di teatro contemporaneo che ancora una volta, come nella migliore delle ipotesi e delle pratiche antiche, sa pescare dalla tradizione con sguardo disincantato, critico, lucido per mettere in scena un'altra nuova storia per questo nostro tempo agonizzante. Cenerentola e Pinocchio sono in scena al Teatro dellaTosse ancora venerdì 20 e sabato 21 aprile 2018 animati da un solido e avvicente, certo armonico e precisamente improbabile, ensemble di interpreti come chiede la chiave di lettura adottata.  Necessario, direi, segnalarvi chi in Cenerentola, veste con brio e giusto disagio gli scomodi panni dei vari personaggi: Luca Altavilla (il re), Valerio Amoruso (papà di Cenerentola), Matteo Angius (il principe), Gabriele Benedetti (la fata madrina), Elena Callegari (voce narrante e sorellastra), Irene Canali (Sandra/Cenerentola, un unico personaggio), Rita Maffei (la matrigna), Aida Talliente (l'altra sorellastra e la madre di Cenerentola) e con Sandro Plaino.

Arcuri e Pommerat ci espongono alla crudezza della vita filando per sommi capi le vicende di figure di oggi dentro la trama antica, evocativa, patetica (nel senso di portatrice di pathos) e mitologica tipica di una fiaba tanto nota. Come panni stesi su un filo, questi personaggi non hanno fascino, ma trasudano umane debolezze, traumi, versioni della vita fantasmagoriche e insensate come solo ognuno di noi sa inventarsi nel corso dell'esistenza. Proprio su questo sapersi inventare, sapersi immaginare ruota tutto. La nostra immaginazione è all'opera 7/24 perché la prima storia a cui dobbiamo applicarci è: la nostra.

Ogni esperienza della vita è trattata come evento a cui si reagisce con "immaginazione": C'è chi regolarmente fustiga le proprie membra da dentro e da fuori per un vizio autocritico insesauribile e un senso di inadeguatezza cronicizzato (la Sandra/Cenerentola di Irene Canali, un po' bambina traumatizzata un po' prototipo di donna-martire). Ne esce una versione femminile vagamente fantozziana negli intenti, ma determinata ed efficientista, cocciuta e bloccata in una missione di espiazione dolorosa come solo una donna riesce a esprimere. C'è la versione "decidono altre/altri per me" anche nota come "fammi pensare un momento" oppure "cosa questo? cos'è? Ma sì è...". Un modello umano che attraversa la vita al traino di decisioni altrui cercando un posto comodo dove essere trasportati con poco (o meglio) nessuno sforzo possibilmente e le conseguenze? Ci penseremo un'altra volta: è il caso del papà di Sandra/Cenerentola. Vita presa di petto, vissuta però su modelli precostituiti, pubblicizzati su carta patinata, nessuna concessione alle stravaganze, personalizzazioni, tutto standardizzato ma di "altissimo livello". La matrigna nell'accattivante versione offerta sul palco da Rita Maffei.

L'amore? Quello tra Cenerentola e il principe? Ma certo che c'è. C'è tutto, nella sua interezza, scarpetta inclusa - ma vedrete che c'è da farsi delle risate sulla questione scarpe. Si tratta di una questione di genere e il ribaltamento, come per tutto il resto, non tarda a proporsi con naturalezza casual. Presente questo amore mitico sia nella pochezza che nel potenziale di due personaggi schiacciati dalle loro ingombranti parentele e da attenzioni parentali del tutto non richieste. Con sottile lavoro scenico soprattutto di attore-mimo che tiene le assi del palco con poche battute, ma tutto se stesso, nel corpo, nel viso, nel movimento, il principe è Matteo Angius. E che dire della fata madrina? I suoi poteri magici sono tutta immaginazione, sono l'esito di un mestiere antico che ha più a che fare con illusioni, truffalderie di strada, pasticci d'arguzia ma poca cosa se non un'occasione per far saltare il plot della storia che la nostra immaginazione ha confezionato per noi. La fata madrina è quell'altra parte di noi che ci concede un'altra chance. Quella parte di noi che osa, che prova, che si butta, che fa da controcanto, che ci ritira su con un'idea totalmente fuori luogo. En travesti un volto che è marchio di fabbrica per l'Accademia degli Artefatti dopo il ciclo Ravenhill (Spara/Trova il tesoro/Ripeti), Gabriele Benedetti - (qui la recensione del ciclo Ravenhill).

Impegnate entrambe su due ruoli, non sono certo meno convincenti nel costruire quell'abbruttimento che ci aspettiamo dalle sorellastre Elena Callegari (anche in Tropicana di Irene Lamponi) e Aida Talliente. Anche in questo caso però è la vita che è "favola" e non i personaggi a incarnarla. Come sappiamo bene nelle favole (come nella vita) ci sono tanti/e che sanno essere cattivi/e tra ingiusti/e, avidi/e, invidiosi/e, furbetti/e; inesauste figure che lavorano sempre contro per impedire, anche solo per noia, che altri/e raggiungano ciò che si desiderano o credono, immaginano di desiderare.

Vuoto ma briluccicante il palcoscenico vive di elementi mobili che diventano di volta in volta luoghi, spazi, mobilio, appunto. Immaginazione, ci vuole immaginazione e ricordare che il teatro che si fa davanti ai nostri occhi comparirà come per magia, ma solo se siamo disposti a lavorare di immaginazione, per quell'inesauribile gioco del "mettere in scena" che richiede una costante collaborazione a chi guarda. Non si tratta appunto di una favola della buona notte, quindi tenete gli occhi ben aperti e lasciatevi brutalmente divertire. Come fece Bruno Bettelheim nella seconda parte del suo studio sulle fiabe del 1976, prendete ispirazione per organizzare le fiabe nel modo che credete più adatto a voi, per capire le varie fasi di un personale e sempre atipico modo di maturare e superare le varie asperità che ogni stagione della vita propone. 

Da non perdere.

@ Teatro della Tosse
19 aprile ore 20.30
21 aprile ore 17.30
Cenerentola

20 e 21 aprile ore 20.30
Pinocchio

testi Joël Pommerat
regia Fabrizio Arcuri
interpreti Luca Altavilla, Valerio Amoruso, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Elena Callegari, Irene Canali, Rita Maffei, Aida Talliente e con Sandro Plaino
spazio scenico Luigina Tusini
assistente alla regia Matteo Angius
produzioneCSS Teatro stabile di innovazione del FVG
in collaborazione con Accademia degli Artefatti

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