Dopo Picasso le fotografie del maestro André Kertész, mostra al Ducale: fotogallery

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Genova, 23/02/2018.

«Sono un fotografo dilettante e intendo rimanere così per il resto della mia vita». Ad André Kertész, fotografo nato a Budapest nel 1894, Palazzo Ducale dedica la mostra André Kertész. Un grande maestro della fotografia del Novecento, esposta nel sottoporticato fino al 17 giugno 2018.

Una grande retrospettiva, curata da Denis Curti, su uno dei maggiori fotografi del XX secolo, ma poco conosciuto. È organizzata dal Jeu de Paume di Parigi, in collaborazione con la Mediathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Ministère de la Culture et de la Communication - France, con di Chroma photography. La mostra è visitabile da martedì a domenica ore 11-19 (chiuso il lunedì). Costo del biglietto: intero 10 euro; ridotto 8 euro e scuole 4 euro. Biglietto congiunto con la mostra Picasso. Capolavori dal Museo Picasso, Parigi: intero 17 euro, ridotto 15 euro; biglietto congiunto con la mostra Antonio Ligabue: 15 euro. I biglietti per André Kertész si possono acquistare comodamente su HappyTicket.

Incoronato da Henri Cartier-Bresson, che lo ha considerato un vero e proprio precursore nel mondo della fotografia, e considerato da Brassai il proprio maestro, Kertész immortala quotidianità e normalità, con giochi di ombre e luci. Gente normale ritratta da angolature diverse. Niente attualità, economia o politica. E ciò non significa semplice capacità di cogliere l'attimo, anzi: «Nelle sue fotografie c'è un pensiero, nulla è fatto in modo casuale», racconta il curatore Denis Curti ammirando Il Nuotatore, una delle sue immagine più note.

Si possono ammirare oltre 180 fotografie, che ripercorrono, suddivise in sezioni, l’intero percorso artistico del maestro ungherese, che in più di cinquant’anni di carriera ha sempre utilizzato la fotografia come se fosse un suo diario visivo, atto a rivelare la poesia dietro le semplici e anonime cose quotidiane, catturate attraverso prospettive uniche e rivoluzionarie. Uno dei più grandi fotografi del Novecento, capace di usare la luce per piegare una realtà intesa sempre e comunque come poesia.

Ci "consegna" immagini che prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Foto che vivono nel ricordo e che evocano ricordi. Il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo. Il gioco di doppi creato dall’ombra di una forchetta in un piatto. Tutto con una capacità modernissima di reinventare il reale. Nel 1984, per preservare l’intero lavoro della sua vita, dona tutta la sua collezione di negativi e di documenti al Ministero della Cultura francese. André Kertész muore nella sua casa di New York, il 28 settembre del 1985.

«È il padre della fotografia del '900, un uomo che ha riscritto il vocabolario moderno ma anche contemporaneo di questo mondo, segnando il fondamentale passaggio tra fotografia di stampo tardo-pittorialista a moderna - continua Curti - Non ha mai guardato alla fotografia in termini esclusivamente narrativi: le sue storie e foto sono un omaggio ai sentimenti degli esseri umani. La sua fotografia non fa informazione, ma finalmente è arte, e nulla a che fare con la realtà. Ha anticipato l'incredibile ricerca sulle distorsioni, con un punto di vista sul mondo un pò chirurgico, di un bisturi che riesce ad entrare nelle pieghe più nascoste della pelle per rivelare la grandezza dei sentimenti e dei pensieri di uomini e donne».

La mostra si suddivide in 4 sezioni:

  • Nella sezione di apertura, dedicata ai primi anni da fotografo di Kertész in Ungheria, le immagini in esposizione celebrano la purezza e la semplicità della vita e dei paesaggi rurali caratterizzati da una lucidità e un’immediatezza innovativa davvero sorprendenti.
  • La mostra prosegue indagando quello che è stata senza dubbio la fase più fortunata e florida di Kertész nella travolgente Parigi a cavallo tra le due guerre. Gli scatti del periodo francese sono ricchi di atmosfere oniriche, risultano suggestive e profondamente rivelatrici, perché in perfetta armonia con il suo carattere romantico e malinconico. In breve tempo entra a far parte del circolo degli artisti ungheresi che si riunisce al Cafè du Dôme, nel vivace quartiere di Montparnasse. Ed è in questo ambiente stimolante che entra in contatto con artisti e intellettuali, primi fra tutti, i connazionali Lazló Moholy-Nagy e Brassaï, i pittori Piet Mondrian, Marc Chagall e Fernand Léger. La sua ricerca artistica, iniziata in Ungheria, a Parigi si trasforma e adotta uno stile realistico e diretto ma sempre e volutamente poetico. Sono di questa fase le inquadrature geometriche, create sapientemente da linee nate dai contrasti tra luce e ombra.
  • Le eccezionali immagini del periodo francese accompagnano nella sezione americana e in quelli che senza dubbio sono stati gli anni più difficili della sua carriera artistica. Nel 1936, l’agenzia fotogiornalistica Keystone di New York propone a Kertész un contratto professionale di un anno. Così, insieme a sua moglie Elizabeth si trasferisce negli Stati Uniti. Sebbene negli scatti americani di Kertész il rancore e la frustrazione, derivanti dal mancato interesse riscosso dalle sue opere, restano ai margini delle sue fotografie, un velo di disaffezione si fa strada nella sua poetica.
  • Nel 1964 questo lungo periodo tormentato trova termine grazie al visionario curatore John Szarkowski che riabilita il suo lavoro riconoscendone la portata pioneristica e dedicandogli una mostra retrospettiva al Museum of Modern Art (MoMa) di New York. Evento di tale portata ci conduce all’interno della quarta sezione, quella dei riconoscimenti internazionali. Nel 1970 i suoi lavori vengono esposti quasi ininterrottamente nelle più grandi città del mondo come Stoccolma, Londra, Parigi, Tokyo, Melbourne e Buenos Aires, riscuotendo ovunque un gran successo. Nel 1977 la sua adorata moglie Elizabeth, e sua più grande sostenitrice, muore lasciando nel cuore di André un vuoto incolmabile.
  • L’ultima sezione svela al pubblico alcuni scatti a colori inediti per il pubblico italiano. Per André Kertész il colore è un fatto decisamente nuovo ed è pura sperimentazione, curiosità. I toni possono essere molto caldi o molto freddi, ma i tagli, le inquadrature e i punti di vista sono, ovviamente, il prodotto di un’esperienza visiva maturata lungo una straordinaria carriera.

Nato a Budapest il 2 luglio del 1894 in una famiglia della media borghesia ebraica, dopo essersi diplomato nel 1912 all’Accademia commerciale di Budapest, comperò la sua prima fotocamera, una ICA 4.5×6, un apparecchio maneggevole che utilizzava senza stativo. Arruolatosi nel 1915 nell’esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-polacco, portando con sé una piccola Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce, evitando gli aspetti più crudi della guerra.

Finita la guerra si trasferì a Parigi nel 1925, e lì ebbe modo di conoscere e frequentare gli artisti e gli intellettuali del momento come Mondrian, Picasso, Chagall che influenzarono e ispirarono il suo lavoro dell’epoca. Nel 1933 la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese, influenzato dal Surrealismo e vicino alla poetica cubista di Picasso, Hans Arp e Henri Moore, affittò uno specchio deformante da un circo e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle, Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine, conosciuta con il nome di “Distorsioni”. L’incontro del 1926 con Brassaï fu fondamentale per la carriera di quest’ultimo in quanto Kertész lo introdusse alla pratica fotografica.
 
Nel 1928 acquistò una Leica ed insieme a Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista Vu, antesignana dell’americana LIFE. Nel 1929 Kertész partecipò alla prima mostra indipendente di fotografia Salon de l’escalier, insieme a Berenice Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray, Nadar e Eugène Atget. Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l’offerta di Erney Prince dell’agenzia Keystone, trasferendosi insieme alla moglie Elisabeth a New York, nell’ottobre del 1936. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e didascalico. Lavorò come freelance collaborando per molte riviste, tra cui Harper’s Bazaar, Vogue, Town and Country, The American House, Coller’s e Coronet, Look.

Costretto a stare in casa per problemi di salute, e affascinato dalla vista fatta di tetti e strade sul Washington Square Park, Kertész cominciò a fotografare dalla finestra di casa, riuscendo a cogliere i momenti intimi delle persone che attraversavano la piazza: il lavoro From my Window è uno dei più struggenti ed emozionanti ritratti dell’umanità, colta nei momenti più semplici del quotidiano. Kertész ha passato tutta la sua vita alla ricerca dell’accettazione del consenso da parte della critica e del pubblico. La sua arte non si è mai avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e quelli successivi alla morte segnano un rinnovato interesse verso degli scatti che riescono ad essere senza tempo.

Considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. Tra i pionieri della fotografia straight, con i suoi costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca comunicativa.

Di Andrea Sessarego

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