Lac è un lago dei cigni mai visto, quello di Jean-Christophe Maillot

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Genova, 01/03/2017.

Portare la danza a un pubblico che non la conosce. Lavorare in un tempo dove tutto è rapido. Offrire ancora una volta una grande storia classica senza appiattirla sull'immaginario creato nel tempo dalle tante produzioni. E poi, certo, sfidare anche il proprio stile e linguaggio.

Queste le priorità che hanno guidato il coreografo francese Jean-Christophe Maillot, direttore de Les Ballets de Monte-Carlo che per la prima volta porta Lac, un originale Lago dei cigni, una produzione del 2011, in prima nazionale in Italia, al Carlo Felice dal 2 al 5 marzo 2017.

Profondamente ripensato, anche dal punto di vista drammaturgico insieme allo scrittore Jean Rouaud, seppure tutto danzato sulle punte da un ensemble di 50 elementi, questo balletto «si apre con un breve film - spiega Malliot - su come il giovane principe già nella sua infanzia incontri il cigno bianco e quello nero». Molto resta della narrazione classica: nel primo atto il principe cerca una sposa, ma ha paura delle donne che gli vengono presentate perché troppo forti. Come vuole la tradizione, il principe si ritroverà poi nel bosco, non è chiaro però se sia sogno o realtà, lì incontra il cigno nero e quello bianco. E qui la licenza che il coreografo si prende è quella di «riportare nel primo atto, l'amore pericoloso, quello carnale, rappresentato dal cigno nero».

Inevitabile secondo Maillot riformare, rileggere, ritoccare la tradizione pur rispettandola. Inevitabile e necessario rompere «con una visione tradizionale dei ruoli e proporne una un po' meno naïf per mettere in rilievo una donna-uccello. Una delle cose forti di questa storia è la donna-cigno, volevo trovare il modo di dare un senso a questa trasformazione. Allora ho deciso di nascondere le mani che sono la parte più umana, con cui si saluta, si accarrezza, graffia e schiaffeggia. Le ritroveremo solo successivamente quando resta la donna».

E il finale? «La fine è tragica non c'è speranza, è quasi un thriller, ma per me è essenziale anche qui proporre il mio punto di vista su questa storia che tutti conoscono. Restituire modernità a una favola che ha attraversato le epoche e i palcoscenici. Come proporla a un pubblico che spesso resta davanti alla TV e lascia i teatri vuoti? Bisogna capire il tempo contemporaneo che cambia. Il resto è in scena. I danzatori e l'orchestra vi spiegheranno le altre scelte. Sì, perché abbiamo anche l'orchestra, quella del Carlo Felice».

Sul palco per questa ripresa un danzatore italiano Gabriele Corrado del Balletto del Teatro alla Scala, una nuova acquisizione? «No, Gabriele ha lavorato con me per tre anni, ma ora è alla Scala, visto che era libero e a me mancava un danzatore gli abbiamo proposto di danzare per noi. Diciamo che è come se Les Ballets de Monte-Carlo fosse la sua amante e la Scala la sua sposa».

C'è chi ha applaudito questa rilettura chi l'ha criticata, come ha reagito alle varie risposte di pubblico e critica? «Cambiare è necessario cambiare. Ci sono tanti che non conoscono questo balletto, tanti che non conoscono la danza e vengono a teatro. Come si fa a raccontare loro il cigno, in un modo che possa essere al contempo riconoscibile e proporre loro anche una lettura immediata che non metta nessuno in imbarazzo, ma che tocchi anche temi e interpretazioni del passato. La danza vive della creazione al contrario della musica che vive del repertorio. Noi proponiamo il nuovo, specie nei costumi. Proporre un'idea originale è il compito di un coreografo contemporaneo. A 25/30 anni si piange o si gioisce per una critica buona o una brutta. A 55 anni non ce ne importa più niente. Sono solo punti di vista. Sono io che scrivo la peggiore delle critiche possibili e anche la migliore quando assisto alla prima. È così difficile avere una critica che possa insegnarti qualcosa».

Rivoluzionare per andare incontro all'oggi, sia pubblico che ritmo contemporaneo, non sarà rischioso? Non si rischia di appiattire il proprio stile e il linguaggio della danza? «Distruggo tutto, anche i miei canoni, le mie scelte, non cerco mai un compromesso e tutte le volte che trovo un elemento che si mostra compiacente per assecondare un pubblico o l'altro mi autocensuro. E il pubblico è ancora meno capace di esprimersi in questo senso offrendo una prospettiva critica. Per esempio io adoro la musica, ho studiato il piano e rispetto profonamente i compositori. Adoro anche la musica, ma il cigno. Io però ascolto la musica per la sua qualità e quindi faccio delle scelte. Credo che il cigno contenga un buon numero di passaggi appassionanti, però l'ho ridotta lasciando da parte passaggi meno convincenti. Non credo di essere irrispettoso, ma faccio piuttosto attenzione all'armonia e alla coerenza. Se si resta fedeli si muore, c'è bisogno di rompere i canoni, non ci sono regole che tengano».

Di Laura Santini

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