Il gabbiano: amori e ambizioni, arte e vita quotidiana

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Mercoledì 7 marzo, ore 17.30, nel foyer della Corte, per il ciclo Coop Liguria Incontra, Elisabetta Pozzi in dialogo con Laura Gugliemi, direttora di mentelocale.it - ingresso libero.

Mercoledì 15 marzo, ore 17.30, nel foyer della Corte, Marco Sciaccaluga e gli interpreti incontrano il pubblico. Conduce Umberto Basevi. Ingresso libero.

Genova, 01/03/2017.

Alla ricerca del senso dell'esistenza individuale, potrebbe funzionare come sottotitolo a Il gabbiano di Anton P. Čechov. Donne e uomini in questo testo teatrale cercano di capire che cosa li aspetta, quale futuro è in serbo per loro. Nel frattempo coltivano ambizioni e amori passionali.

Sono ricchi, poveri, ricchi impoveriti o poveri per sempre, ma questo non è fattore che decreta l'esito delle loro vite, come afferma in una delle primissime battute Maša: «Il denaro non c'entra. Anche un povero può essere felice». Le ambizioni, tra i giovani, sono in larga parte derise dalla generazione che si è già affermata. Gli amori, senza distinzioni d'età, sono per lo più non corrisposti e facilmente messi a rischio da infatuazioni.

E poi c'è la gelosia o (peggio) l'invidia in amore e nei fatti della vita. Si tende a volere ciò che non si può avere e a guardare a chi ha mitizzando la sua figura. O detestandola. Per il resto, la vita quotidiana è noia per chi ha e chi non ha. Una condanna, la reiterazione di un'ossessione, un incubo e la conferma di non poter più immaginarsi in altro mo(n)do.

La nuova produzione del Teatro Stabile di Genova di questo Čechov è diretta da Marco Sciaccaluga, che sceglie una lettura per lo più naturalistica di quest'opera, spesso rappresentata sposandone invece la dimensione astratta e filosofeggiante. Offre spaccati dalla vita quotidiana dei personaggi cechoviani, collocandoli in contesti verisimili - la spiaggia a bordo lago, gli interni della tenuta di Sorin (scene e costumi Catherine Rankl) - e dedica la massima attenzione a personaggi e interpreti con pochi altri interventi. L'azione infatti, com'è noto, è poca cosa ma ogni personaggio crea un suo movimento. Il gabbiano, nella nuova traduzione di Danilo Macrì che recupera la prima versione di questo scritto teatrale, precedente alla censura, è in scena fino al 19 marzo.

La Irina Nikolaevna Arkadina di Elisabetta Pozzi non cede a caratterizzare troppo l'attrice, ma si occupa piuttosto di rappresentare una donna volitiva, la cui volontà, forte e determinata appunto, ma accompagnata da eleganza e fama, la rendono gradevole a tutti/e e il suo peccato di avarizia passa in secondo piano come accessorio irrilevante. Ben esemplifica il suo carattere lo scambio di battute con il dottore Dorn: «Giove, ora tu sei in collera...» Arkadina: «Non sono Giove, sono una donna (si accende una sigaretta)». Resta acerbo il rapporto con il figlio, invece, costruito su un'emotività a scoppio, a cui gioverebbe maggiore incertezza - anche solo nell'indugiare di sguardi - perché poco coerente con la profonda sofferenza che scuote l'incompreso Konstantin Gavrilovič Treplev, dalla madre mortificato fin dall'infanzia come racconta a più riprese.

Comprensibilmente pieno di rancore e animato da istinto e spirito inquieto giovanile il Treplev di Francesco Sferrazza Papa è teso fin dall'inizio e per buoni motivi: è al centro della trama perché sta per presentare il suo lavoro teatrale a tutti gli ospiti della tenuta e alla madre che gli è ostile. Seppure nell'insieme apprezzabile nel suo ruolo, Sferrazza Papa fatica a trasformare la tensione iniziale - sempre troppo uniformemente nervosa - in un crescendo che lo porti tra le ombre della cupa vena autodistruttiva, sempre più hamletica e folle del finale.

Appartengono a un'altra genìa i personaggi di Tommaso Ragno e Giovanni Franzoni: lo scrittore Boris Alekseevič Trigorin, amante di Arkadina (E. Pozzi) e il dottore donnaiolo Evgenij Sergeevič Dorn, amante di Polina Andreevna (Mariangeles Torres).

Disinvolti interpreti sempre consapevoli delle necessità timbriche che i personaggi richiedono, Ragno e Franzoni sono altrettanto attentissimi a gestirne i loro corpi che accompagnano sempre la voce, raccontando l'intima natura e gli stati emotivi in modo più ampio. Variando nei registri, nell'altezza dei toni, nella velocità della battuta e nel modo di proporla non temono la debolezza della voce e della prosodia, ma la cavalcano tutte le volte che è necessario con pronunce strascicate, sussurrate, fiacche.

Ricorda più che mai la lezione di Carlo Cecchi in questo suo Trigorin, Tommaso Ragno già apprezzato in Intrigo e amore (Stabile di Genova 2016) e oggetto di un grande applauso a scena aperta per la lunga tirata sull'essere scrittore nel secondo atto. D'altra parte Giovanni Franzoni nel suo agire, racconta della sua carriera tra le fila della compagnia di Antonio Latella, dove il corpo è costantemente al centro del taglio registico (recentemente applaudito in Caro George alla Tosse). Mariangeles Torres che pure ha un parte decisamente defilata si dedica con costanza a restituire l'unica figura femminile completamente devota al suo amante il dottor Dorn (Franzoni): lo segue con lo sguardo, lo rende amore clandestino, ora adorato ora colpevole di eccessive attenzioni alle altre, lo determina nel ruolo che per lei è unico.

Sono forti e decise anche le figure femminili giovani la Maša di Eva Cambiale e la Nina Michailovna Zarečnaja di Alice Arcuri. Un Čechov decisamente femminista scrive per loro battute piene di consapevolezza. Sono entrambi infelici ma Maša vive di un'infelicità terrestre capace di venire a patto con ciò che non ci è dato raggiungere. Nina invece vive di sogni e di un ottimismo che la punirà portandola in percorsi al di là delle sue possibilità e minati dalla disonestà altrui - il padre, l'amante Trigorin avido di un amore giovanile mai consumato. Apprezzabile il cinismo non scalfibile su cui Cambiale costruisce la sua Maša, più fragile nella resa la Nina di Arcuri che segue troppo il tema delle battute invece che il personaggio forzando sempre un po' sulla tecnica. Con un'eccezione: spiritosa e completamente assorbita nel gesto di mimare l'Arkadina mentre sottovoce rifà per intero la scena precedente di cui è protagonista l'altra, appunto.

Completano il cast Kabir Tavani nel piccolo ruolo di Jakov, Federico Vanni che tiene nel ruolo dello stanco e malato fratello di Arkadina, Petr Nikolaevič Sorin. Più stereotipati e con scarse sfacettature Il’ja Afanas’evič Šamraev, marito di Polina Andreevna, di Roberto Alinghieri e Semen Semenovič Medvedenko di Andrea Nicolini.

Un Čechov che resta uno dei cardini nella storia del teatro, imprescindibile, seppure a onor del vero Il gabbiano non sia proprio amato da tutti/e. Un testo spesso bollato come difficile, eccessivamente simbolico e astratto ma che contiene - impossibile negarlo - temi epici accostati a pillole di saggezza comune senza tempo. In questa nuova produzione che offre una versione parzialmente inedita del testo c'è certa innegabile cura e il merito della pubblicazione della traduzione di D. Macrì. Uno spettacolo in cui Franzoni, Pozzi e Ragno conducono l'intero ensemble verso un esito decisamente alto, agile - nonostante la durata (3 ore) - apprezzabile tanto da convincere il pubblico ad applaudire lungamente, richiamando più volte la compagnia.

Di Laura Santini

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