Il tortellino bolognese: piatto del Natale e dei ricordi. Monica Campagnoli e la ricetta di Nonna Sara - Bologna

Il tortellino bolognese: piatto del Natale e dei ricordi. Monica Campagnoli e la ricetta di Nonna Sara

Food Bologna Lunedì 23 dicembre 2019

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Bologna - «... l'oste, ch'era guercio e bolognese,
imitando di Venere il bellico,
l'arte di fare il tortellino apprese»

Nella Secchia rapita, poema in ottave della prima metà del '600, Alessandro Tassoni racconta così l'origine del tortellino. Dopo una giornata di battaglia tra modenesi e bolognesi, alla sera Venere, Bacco e Marte si fermano a riposare alla locanda Corona di Castelfranco Emilia. Il mattino seguente, Marte e Bacco ripartono, lasciando Venere che dorme ancora. Al suo risveglio, la dea chiama qualcuno; accorre allora il locandiere, che la sorprende discinta. L'uomo rimane così colpito dalle forme di Venere che, tornato in cucina, prende un pezzo di sfoglia, lo riempe e gli dà la forma dell'ombelico della dea.

Leggende a parte, che tra le righe raccontano la contesa tra Bologna e Modena sull'origine, il tortellino è sicuramente uno dei re della tradizione bolognese e la sua ricetta è depositata dal 1974 presso la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna. Per un bolognese un piatto di tortellini, soprattutto quello di Natale, rappresenta molto di più di semplice cibo: è il simbolo dei momenti passati in famiglia, il ricordo delle confidenze scambiate durante la preparazione e spesso anche di persone che non ci sono più, ma che rivivono nel profumo del brodo fumante.

Lo racconta molto bene Monica Campagnoli nel suo blog tortellini&co, un ricettario pieno di pagine e fogli volanti. È una passeggiata lungo la via Emilia. Una sera d’estate davanti al mare, Adriatico naturalmente. Un pomeriggio d’autunno passato a raccogliere foglie e castagne nei boschi dell’Appennino. [...]Tutto è iniziato mettendo ordine tra le ricette di famiglia, soprattutto quelle della mia nonna materna. Volevo condividere quei piatti semplici e genuini, la gestualità, i ricordi e le storie di vita quotidiana legate a quelle preparazioni

Monica, partiamo dal principio: parlaci un po' di te, chi sei e cosa fai?

Vivo a Bologna da tanti anni, ma sono nata a Imola, che considero il trattino che unisce Emilia e Romagna. Penso che il meglio di quelle due tradizioni messe insieme sia una storia bellissima da raccontare e, pur facendo anche altro nella vita - sono una studiosa di storia contemporanea e una giornalista -, oggi scrivo felicemente per il mio blog, dove ho iniziato a raccontare le storie della via Emilia, le ricette e la loro gestualità. È nel procedimento, infatti, che spesso ci sono i segreti, per questo è importante raccontarli. Ad esempio è necessario sottolineare che quando si fa il brodo di cappone, che è quello delle feste, non lo si lascia raffreddare con tutta la carne dentro. Il rischio è quello di rovinare la carne, che è il lesso, un altro piatto tipico, e di salare troppo il brodo.

Quindi il brodo di cappone è tipicamente natalizio, non è quello di tutte le domeniche...

Esatto, perchè il cappone, una volta come oggi, è costoso. Si ricava un brodo molto più ricco, da un certo punto di vista più delicato, ma anche più grasso.

Come prepariamo un tipico brodo di carne da servire, ad esempio, con i tortellini? 

La base sono gli odori: una carota (intera), un sedano con la foglia e una cipolla (intera). Si aggiungono un paio di ossa di manzo, una coscia di gallina e la carne da brodo, in modo che venga fuori anche un pezzo di lesso; io metterei della punta di petto, oppure un paio di pezzi di doppione. Una regola importante è che l'acqua va a freddo: si mettono tutti gli ingredienti nella pentola, compreso un pizzico di sale grosso, e poi l'acqua fredda che deve coprire tutto. Si porta a bollore e si abbassa immediatamente la fiamma, perché il brodo cuocia tante ore senza bollire, deve borbottare. Tutto ciò che esula dagli odori classici, che sono appunto sedano, carota e cipolla, varia da famiglia a famiglia, ma non è un ingrediente obbligatorio. A casa mia, per esempio, mia nonna non metteva niente, per diversi motivi. Lei diceva che nei tortellini bisogna sentire il sapore del brodo con una punta di noce moscata, che è un po' la spezia bolognese. 

Una volta a occuparsi della preparazione del brodo e dei tortellini c'era l'azdoura, donna tutto fare che amministrava la casa e la famiglia sotto molti punti di vista. Parliamo di questa figura femminile in generale e di tua nonna Sara in particolare, esempio di rezdora, declinazione romagnola dell'azdoura.

L'Emilia-Romagna, nonostante il trattino che sembra separare, ha la via Emilia, una bellissima strada che la tiene unita: tant'è vero che noi troviamo le azdoure come le rezdore, che sono la versione emiliana e romagnola di una figura che accomunava tutta la nostra regione. Mentre oggi per azdoura si intende in linea di massima la massaia, la casalinga, una volta era il corrispettivo di una figura maschile: il capo famiglia. La radice viene dal latino regere (governare), e si riferisce proprio ai reggitori della casa: l'uomo era il capo famiglia e la donna era la reggitrice. All'interno di questo sistema patriarcale, l'azdoura aveva una serie di mansioni ed era anche resposabile di tutte le donne di casa. Una volta succedeva quello che in parte succede anche oggi: non si andava via dalla casa dei genitori, e forse allora come adesso per gli stessi motivi, c'erano pochi soldi. I figli che si sposavano portavano la moglie in casa, perchè per le famiglie contadine era tutta mano d'opera. L'azdoura era la figura che in qualche modo le coordinava tutte. 

Come si faceva a capire quale fosse? Era quella più anziana?

Qui uso l'esempio di mia nonna Sara. Lei era l'azdoura reggente, e si capiva senza che nessuno lo specificasse. Tutti noi convergevamo verso di lei per istinto, in modo naturale. Quando parlava Sara, gli altri tacevano e senza che lei dovesse alzare la voce: non ricordo di averla mai sentita urlare, era una figura autorevole e tutti riconoscevano il suo ruolo. Attorno a lei girava tutta la famiglia. In generale, l'azdoura era quasi sicuramente la donna più grande, ma anche quella che aveva saputo dimostrare sul campo di avere il polso fermo e di sapere gestire la famiglia. Le azdoure avevano cura dei suoi membri in senso lato: non solo li nutrivano, ma li accudivano, si preoccupavano per loro sotto tutti i punti di vista e questa figura rappresenta una centralità della donna che va ben oltre il capofamiglia. Per quanto la società riconoscesse all'uomo una libertà che la donna non aveva - era l'angelo del focolare, che esauriva la sua vita in casa, prima in quella del padre e poi in quella del marito -, le azdoure raccontano altro e ci dicono che le donne sono sempre state capaci di ritagliarsi margini di indipendenza e di autorevolezza. Insomma, l'azdoura si occupava della famiglia in modo ben più complesso di un piatto di tortellini in brodo!

Ormai Bologna è la tua città d'adozione: cosa rappresenta per te il tortellino, soprattutto a Natale, e più in generale cosa signfica per un bolognese? 

Certamente il tortellino è uno dei piatti bolognesi per eccellenza, tant'è vero che la ricetta è depositata presso la Camera di Commercio. Quando scendiamo a livello personale, ed entriamo nell'ambito delle case, credo che il tortellino sia evocativo. È il piatto della domenica e delle feste, essendo ricco e costoso non si faceva sempre, era speciale. Oggi abbiamo un po' perso la capacità di associare l'essere speciale di un piatto e di un'occasione al momento, perché ormai mangiamo tutto quando vogliamo. Invece una volta le stagioni scandivano non soltanto la dieta, ma anche le festività e quindi anche i piatti associati a quella ricorrenza. E quel suo essere speciale, in quanto così legato ai momenti più belli della storia di una famiglia, ha fatto sì che il tortellino si mantenesse ad alta densità di ricordi. Per me sicuramente è questo: un piatto che mi ricorda casa e famiglia. Mi riporta a mia nonna Sara, che è stata una figura centrale nella vita, ed evoca tutta una serie di immagini: le catene di montaggio dei cugini che chiudevano i tortellini, le risate insieme e il pranzo di Natale, dove tutti mangiavano le stesse cose. Quel brodo caldo per me è come un abbraccio. Il tortellino è tradizione che diventa per ognuno la Madeleine di Proust: evoca momenti famigliari diversi, ma forse in fondo tutti simili.

La ricetta dei tortellini di nonna Sara 

Ingredienti per 4 persone

Per la sfoglia:

  • g 500 di farina
  • 5 uova

Per il ripieno

  • g 450 di macinato fine (g 300 di lonza di maiale macinato fine, g 100 Mortadella Bologna Igp, g 50 di prosciutto crudo)
  • g 150 di parmigiano reggiano grattugiato
  • 1 uovo (due se sono piccole)
  • sale q.b.
  • noce moscata q.b.

Procedimento

  • Chiedi al macellaio di fiducia di macinare finemente lombo, mortadella e prosciutto crudo.
  • Aggiungi al macinato un uovo intero e il parmigiano reggiano grattugiato, poco sale e noce moscata. Amalgama bene tutti gli ingredienti del ripieno e lascia riposare in frigorifero.
  • La sfoglia deve essere tirata molto sottile, preferibilmente con il mattarello. Oppure utilizza una qualunque macchina per fare la sfoglia.
  • Dopo averla stesa, la sfoglia per i tortellini non deve asciugare o rischia di seccarsi, quindi procedi subito tagliando dei quadrati di 3-4 cm.
  • Al centro di ogni quadratino di pasta metti un po’ di ripieno.
  • Poi piega la pasta a triangolo facendo aderire bene i bordi.
  • Stringi ognuno dei due angoli del lato più lungo tra il pollice e l’indice di entrambe le mani, fai ruotare con la mano destra il triangolo di pasta intorno all’indice della mano sinistra formando un anello, unisci i due angoli e stringi fino a farli combaciare.
  • Prima di congelare, lascia seccare i tortellini su una superficie pulita, infarinata e distanziati tra loro. Oppure lasciali seccare prima di riporli in frigorifero pronti all’uso.

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