La danza concettuale di Cristina Rizzo ispirata a La sagra della primavera

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@ Teatro dell'Archivolto - sala Mercato - unica replica 12 maggio 2017

La sagra della primavera. Paura e delirio a Las Vegas
concept, coreografia, elaborazione sonora e danza Cristina Kristal Rizzo
musica Igor Fedorovic Stravinskij, nella registrazione eseguita da The Cleveland Orchestra diretta da P. Boulez (1992)
disegno luci Carlo Cerri
produzione CAB008

Genova, 13/05/2017.

Non c'è narrazione. Non c'è sincronia. Non c'è solo La sagra della primavera di Igor Fedorovic Stravinskij, nella registrazione eseguita da The Cleveland Orchestra diretta da P. Boulez (1992) nella coreografia di Cristina Kristal RizzoLa sagra della primavera. Paura e delirio a Las Vegas. C'è anche il romanzo di H.S. Thompson nel riadattamento per il cinema che ne fece Terry Gilliam proponendo un viaggio a Las Vegas filtrato e amplificato da sostanze stupefacenti, psicotrope, psicoattive - indugio nella lista di sinonimi in modo non casuale. L'intento è proprio questo: riattivare lo sguardo e possibilmente i processi interpretativi.

C'è un impeccabile, non scontato e teatralmente palpabile disegno luci di Carlo Cerri che determina la scena giocando con l'atmosfera caricata di particelle e resa opaca; tagliando il palco in diagonale; costruendo sul muro di fondo un'immagine pittorica, un fermo immagine, della danzatrice-attrice che vestista una parrucca bionda (molto Andy Warhol) ora si propone come realia dal film: ferma, non danzante, tornata in piedi, dopo una clamorosa caduta, dalla sedia rossa, con la testa bassa, nel gesto di bere una cola. E qui la sala Mercato del Teatro Modena grida soddisfazione per essere luogo perfetto, iconagraficamente parte del tutto concettuale creato da Rizzo e Cerri, in quella sua identità sempre nuda fatta di attrezzerie e architetture. 

La linearità non sta nelle intenzioni di questo lavoro nato su una sollecitazione ben precisa nel 2013 in occasione del centenario de Le sacre du printemps (prima 1913) una sperimentazione musicale di Igor Stravinskji, nell’esecuzione e ideazione di Vaslav Nijinsky per la compagnia di Sergei Diaghilev, Ballets Russes, (scene e costumi di Nicholas Roerich) che cambiò per sempre lo spirito della danza. Per l'appunto da quel tempo, almeno fino al 2008, secondo la studiosa Stephanie Jordan si è arrivati a quasi 200 versioni.

Nel 2013 la sfida a confrontarsi con questa monumento, il suo significato, il suo impatto, il mondo stesso della danza è l'assunto colto da Rizzo e, già, qualche anno prima (nel 2011) intrapreso da Michela Lucenti e Balletto Civile con Il sacro della primavera. Sarebbe un peccato e una mancanza non ricordare quelle altre importanti versioni, che hanno segnato in modo altrettanto vigoroso per le riletture offerte da indiscusse figure, il mondo del corpo in movimento, della coreutica e del teatro-danza attraverso il ripensamento di quel lavoro del 1913: Maurice Béjart (1959), Pina Bausch (1975) o Martha Graham (1984), infine quella del 1987 del Joffrey Ballet di Los Angeles (The Rite) nata grazie al lavoro di meticolosa ricostruzione di Millicent Hodson per riportare in scena l'originale di Nijinsky considerato perduto.

Se la mediazione dell'artista danzatrice è forte e rende la fruizione in qualche misura un percorso a ostacoli, fitto e raffinato, ma continuamente interrotto, sporcato, intersecato da sollecitazioni spiazzanti e dissonanti è perché Rizzo trattiene la dimensione sperimentale e di rottura sia della scrittura musicale che di quella coreutica. Il suo è un solo non uno spettacolo per ensemble con orchestra.

La musica è in cuffia per ogni spettatore e c'è un'intervento di mixaggio, sempre a firma di Rizzo, che interrompe, sovrappone, accosta sonorità e ritmi altri, volutamente per epoca e sensibilità inclusi gli ululati di cani disperati. E poi c'è uno spezzone del film di Gillian mandato in loop che ci introduce appunto a Fear and loathing in Las Vegas (1998), la danzatrice entra in un personaggio, viviamo un frammento, poi buio. Esce di scena. Saranno almeno tre le uscite decise e protratte per alcuni minuti così come alcune gestualità, alcuni quadri saranno tenuti più a lungo di quanto potrebbe essere superficialmente necessario nell'economia del solo. Ci saranno anche lunghi silenzi. Nessuna musica in cuffia.

Noi soli dunque, apparentemente isolati con la nostra musica, Rizzo in scena con la sua. In cuffia ma anche mentale, il ritmo del suo corpo che evidentemente segua una sua interiore partitura. Soli noi sola lei, eppure con lo sguardo testimone della sua e della nostra presenza. Con il suo invadere la platea e percorrere ogni angolo, geometria del palco, fisicamente a ricordarci spazio e tempo del presente, del reale che accade di fronte. Sì certo compresa nel suo immaginario e allora, noi, in platea stimolati a fare altrettanto a godere di un flusso di sollecitazioni sonore, visive, gestuali, spaziali e illuminotecniche che possano stimolarci il pensiero, il nostro stare a guardare possa trasformarsi in re-azione.

Con indosso le cuffie non sono poche le voci in platea che si alzano nel tono e commentano con chi siede accanto come se fosse lecito vista la provenienza della musica. Ma non sono poche le persone che fin dall'inizio provano l'effetto che fa togliere le cuffie o tenerle a metà.

Rotta la quarta parete, interrotta l'idea stessa di convenzione, ognuno/a a suo modo sperimenta, reagisce, si sente scomodato/a nei pensieri, nello sguardo, nel sentire, e accoglie l'idea di potersi lasciare andare al proprio disegno immaginario invece che fruire quello altrui. Esatto proprio questo era il senso! nell'ideazione di una danzatrice dalle indiscusse qualità tecniche, ma anche capace di restituire grandi momenti di profonda empatia perché indossando comuni scarpe da ginnastica invece che classiche scarpe da palcoscenico o i contemporanei piedi nudi, in fondo evoca anche i nostri corpi in movimento. Ecco si chiude magicamente il cerchio del senso. Brava.

Di Laura Santini

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