Zerocalcare, Macerie Prime sei mesi dopo: il racconto di una generazione in cui ritrovarsi

Magazine, 15/05/2018.

Sei mesi fa, raccontando Macerie Prime, si metteva in evidenzia come Zerocalcare, ancora una volta, mentre diverte il lettore lo porta su sentieri difficili, dove osservare se stesso, per scoprire che certe situazioni, che portano le persone a isolarsi, a colpevolizzare gli altri, ad allontanarsi per chiudersi in un fortino, non si fermano a Rebibbia ma occupano spazi conosciuti nella vita di chiunque.

Il racconto in due atti di Macerie Prime (Bao Publishing, 192 pp, 17 euro) nasceva dalla necessità, anagrafica ma non solo, di voler aggiornare i protagonisti della mitologia a cui Zerocalcare attinge da sempre: la sua famiglia, il suo vissuto, i suoi amici; per questo Macerie Prime è un racconto personale che, strada facendo, come avviene spesso con Michele, diventa qualcosa di più grande e spaventosamente più importante: un racconto generazionale onesto e nel quale ritrovare i ragazzi compresi tra i trenta e i quaranta anni. Giovani, spaventati, spesso sconfitti, guerrieri.

Ritroviamo Michele e i suoi amici sei mesi dopo la chiusura del primo atto. Cinghiale ha avuto la figlia annunciata nella prima parte e l’incontro della piccola con la famiglia scelta, gli amici, è l’occasione per ritrovarsi e forse fare i conti con quello che sei mesi prima li ha allontanati. Michele, abbandonato il suo spirito guida, l’Armadillo, è nelle mani di un Panda cinico che esalta il bisogno di isolarsi piuttosto che la necessità di relazionarsi con gli altri. Rinforzare lo Sticazzi, il suo credo.

La vita dei protagonisti, come un masso che ormai ha iniziato a cadere e ha preso una sua inerzia, pare destinata a precipitare inesorabilmente in un secondo atto – che è il vero ponte tra i due volumi – dai toni drammatici che sembra il finale de L’Impero Colpisce Ancora. Come per gli altri romanzi di Zerocalcare, anche in questo caso il volume esce dal quotidiano e diventa significante di significato più alto; Michele è un fuoriclasse nel saper raccontare temi delicati usando elementi semplici e in Macerie Prime questo talento è mostrato in modo cristallino.

Come con l’osservazione di fenomeni complessi, anche in questo caso l’analisi del dettaglio diventa occasione per invitare ad una riflessione più ampia che inevitabilmente coinvolge i lettori. Le sconfitte quotidiane raccontate, diventano affresco di una generazione che, per dirla come Giorgio Gaber, ha perso.

La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.

In questo senso Macerie Prime – Sei mesi dopo, è un racconto che mantiene le promesse fatte e che sa raccontare molto del mali generazionali, con cuore ed onestà. Il dolore dei ragazzi che aspettano l’occasione per affrancarsi da un destino che rifiutano è facilmente condivisibile.

Come in altre occasioni Zerocalcare sa mettere le mani nelle ferite aperte, tocca la carne viva del mondo che ha attorno arrivando con precisione chirurgica dove fa più male, un’operazione che non fa per sadismo, ma perché solo andando al cuore delle cose si riesce ad elaborarle. La sua è un’analisi tanto onesta quanto spietata e per questo è semplice vedere in essa un racconto che esce con estrema facilità dal suo mondo per entrare nel nostro.

Come in un incontro terapeutico, il vissuto dei protagonisti, messo a nudo con estrema onestà e delicatezza, colpisce perché è semplice trovare in esso dinamiche che ci riguardano da vicino: una scelta professionale sbagliata, il risentimento proprio che diventa isolamento verso gli altri, la coscienza delle occasioni mancate che diventa invidia verso i successi di un amico, come se la gioia di uno non meritasse di essere condivisa, ma ne togliesse agli altri.

In questo contesto diventa esemplare il rapporto tra Sarah e Secco e il modo nel quale la compagna di Sarah la mette di fronte a una verità ineluttabile: il dolore per un desiderio non realizzato, nel suo caso l’insegnamento, non è giusto che diventi risentimento verso l’amico di una vita che occupa, magari abusivamente, uno spazio ambito. La ridondanza tra reale e onirico conferisce maggiore forza al racconto e quelle che nel primo libro erano parentesi allegoriche, il saggio che istruisce il ragazzo osservando i pezzi di anima persi da Zerocalcare e dai suoi amici, diventano pagine essenziali che consentono di guardare allo spirito dietro agli eventi.

Il racconto viaggia su due binari, quello reale si muove parallelo a quello allegorico e l’effetto ottenuto dalla declinazione doppia delle stesse dinamiche dà alla narrazione maggiore forza. La palude post apocalittica nella quale si muovono naufraghi e mostri è un mondo parallelo, uno spazio nel quale paure, scelte e sconfitte hanno forma e sostanza e, tangibili, sono affrontabili su un piano fisico.

I due piani narrativi, i pezzi di anima strappati di fronte ai fallimenti e i demoni con in quali facciamo i conti quotidianamente che prendono vita e si coalizzano, consentono una maggiore identificazione e dimostrano un’attenzione e sensibilità che ricorda quella dei grandi cantautori del sociale, da Guccini a De André.

Zerocalcare si pone come osservatore del mondo mettendo al servizio del lettore la propria sensibilità, il proprio punto di vista, uno spazio comune da condividere per sentirsi meno soli. Fa tutto questo regalando la propria esperienza personale, una testimonianza diretta che coinvolge anche le persone care, un consegnare se stesso e la propria famiglia per mostrare che la Crisi, in qualunque sua forma, è uno stato della materia umana e che plasma, sfida, fa crescere per affermare una verità ineluttabile; una volta perso un pezzo di anima occorre forza e consapevolezza per recuperarlo; il suo recupero è un viaggio lungo e tormentato però, che trasforma in profondità, tanto che la tasca nel quale quel pezzo era alloggiato non è detto sia la stesa una volta recuperato.

Ritrovare se stessi dopo una tempesta, scrive Zerocalcare, non è operazione indolore; in questo senso la riflessione sui sei mesi a cui costringe i lettori non è solo un’operazione narrativa, o commerciale, ma è scelta necessaria. Il tempo dei protagonisti si sovrappone a quello del lettore costringendolo a rivedere con elementi inattesi l’ultimo semestre, inevitabilmente sospeso tra bilanci, progetti, occasioni e amicizie perse o ritrovate.

Il volume consegna un Michele Rech sempre più maturo e abile a veicolare il proprio messaggio, un autore che ogni volta osa qualcosa di più riuscendo a toccare nuovi livelli narrativi. I sei mesi regalati da questo doppio volume sono un tempo minimo per comprendere che la vita è piena di spigoli e che non siamo proprio fatti per affrontarla da soli.

Un racconto che coinvolge al punto che il consiglio non è solo di leggerlo, ma di condividerlo: è uno di quei libri che non meritano di restare soli ma han bisogno di viaggiare come una bella canzone. Un invito a mettere in comune le proprie le macerie.

Di Francesco Cascione

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