Scuola, una riflessione su classismo, intolleranza e istruzione

Magazine, 16/02/2018.

È di questi giorni la polemica che riguarda la scuola italiana. Infatti sui giornali è uscito un rapporto alquanto inquietante su come svariati istituti superiori abbiano pubblicato sul loro Rav (Rapporto di Auto Valutazione) delle direttive su alcune fasce di studenti. E cioè che nelle loro scuole non sarebbero presenti disabili, stranieri, poveri e nomadi.

Questo ha suscitato reazioni indignate da più parti e il ministro dell’istruzione Fedeli ha aperto un’inchiesta ma è anche il segnale preoccupante di una tendenza sempre più diffusa, e non solo nella scuola, dell’esclusione delle fasce più deboli ed emarginate della società.

Da molto tempo ormai si assiste a un decadimento morale dei valori etici che influisce su ogni contesto sociale, e a questo non è immune il mondo dell’istruzione che se da una parte è aperto all’integrazione e convivenza, dall’altra dà segnali di chiusura e intolleranza verso chi è diverso per stato, cultura o religione.

Questa schizofrenia è da imputare a vari fattori, fra cui l’ignoranza e la paura. Questi due sentimenti vanno di pari passo e sono l’humus di cui si nutrono certi ambienti sociali e politici, che senza entrare nel merito influiscono anche la scuola, diventata ormai quasi un’holding dove si bada più al profitto che ai valori fondanti dell’uguaglianza e della solidarietà.

Certa scuola, almeno, si è convinta che escludendo alcune categorie sociali può sperare in un maggior interesse da parte delle famiglie più abbienti e intolleranti, e fregiarsi di essere migliore perché più selettiva. Ma davvero una maggiore selezione garantisce una migliore istruzione? Indubbiamente no, perché una scuola chiusa e refrattaria produrrà solo futuri cittadini ottusi e impreparati alle mille sfide del mondo globale.

Solo un’attenta inclusione e conoscenza di altre culture e altre dimensioni sociali da parte della scuola può prevenire l’atavica paura “dell’altro” e insegnare che ogni soggetto può costituire una ricchezza umana e spirituale a prescindere dallo stato sociale, dalla salute, dal reddito, dal colore della pelle o dalla religione.

A tutto ciò si aggiunga che lo studio è un diritto inalienabile di tutti e che la scuola italiana è sempre stata oggetto di studio e ammirazione per il suo carattere innovativo e inclusivo, pur con mille contraddizioni e incongruenze, soprattutto per quanto riguarda gli studenti disabili. Ora sembra che si stia tornando indietro di cinquant’anni, non solo per il Rav.

C’è chi ventila un ritorno alle classi speciali, alle scuole separate per i disabili, dimenticandosi di quanto fossero degradanti e umilianti. Ora, se vogliamo davvero vivere in una società civile, non buttiamo a mare decenni di lotte per una scuola aperta e solidale, e non lasciamoci travolgere dal vento insidioso dell’intolleranza e del classismo.

Di Maria Pia Amico

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