Sono una seguace del rigorismo di Kant, ma non sono felice

Magazine, 31/10/2017.

Buongiorno, 
ultimamente ho studiato la morale rigorista di Kant e mi ci sono ritrovata molto
Le persone mi hanno sempre detto di essere molto rigida con me stessa e razionale, ma questo perché io ho sempre pensato che in fondo ogni essere umano, utilizzando la razionalità, è in grado di capire cosa sia giusto e cosa no. 
Sono rigida con me stessa perché so cosa devo fare ma ogni tanto sono troppo svogliata per farlo, e per questo mi giudico negativamente a volte.

Ho sempre pensato che bisognasse sottomettersi alla razionalità, a prescindere che andasse contro la proprio felicità.
Ho sempre cercato di agire in modo tale da non ferire le persone, come altre hanno fatto con me. 
Da un lato ho anche sempre pensato (sperato?) che l'essere giusti con gli altri avrebbe portato anche i suoi frutti, nonostante non fosse il movente delle mie azioni.
Ma andando avanti con il tempo ho notato che le persone che spesso (purtroppo) invidio, sono proprio coloro che seguono più il loro istinto, ma che alla fine continuo a non stimare perché penso si comportino erroneamente.

La morale di Kant gliel'ho citata perché ho scoperto che esiste l'antinomia della morale che dice che la ricerca della felicità e la virtù (la sottomissione alla morale)... beh non coincidono
Quindi il mio sottomettermi alla morale mi renderebbe infelice. 
Non so davvero come uscirne, vorrei comportarmi più egoisticamente a volte, ma se lo faccio ho una voce interna che mi dice che sto sbagliando, che non è giusto.
Glielo giuro, ci sono rimasta davvero male.
Soprattutto perché il mio rigorismo l' ho sempre messo in campo nelle situazioni di cuore e infatti non ho mai raggiunto la felicità.

Buongiorno, seguace del rigorismo Kantiano,
Devo premettere di non possedere né le competenze,  né le conoscenze adatte a fare un analisi critica del pensiero Kantiano.

Ma qualche competenza nel mio campo la possiedo.
Quel tanto che mi permette di farle notare che l'essere umano é intrinsecamente ambivalente e spesso tra il dire ed il fare vi é una notevole differenza.

Da qui la domanda: giusto per chi? Senza contare che  il concetto di ciò che è giusto cambia, a volta anche radicalmente, a seconda dell'età delle persone, delle epoche, delle culture, delle religioni, dei progressi scientifici e delle leggi. E non ultimo, anche a seconda delle filosofie. Ed è su questa base che si è sviluppato il relativismo culturale (a volte coincidente con il pensiero debole).

Inoltre, anche badarsi sulla nostra razionalità, non è poi cosi sicuro. La nostra capacita di  ragionare risente di connessioni, di abitudini mentali e di condizionamenti inconsci. Inoltre la nostra capacità di fare ragionamenti, viene fortemente influenzata dal nostro stato emotivo, dalle nostre conoscenze e non ultimo delle nostre capacità di fare davvero dei ragionamenti logici anziché pseudologici.

Senza contare che non sta scritto da nessuna parte che quello che noi definiamo logica sia, davvero, l'unico sistema che funzioni per ogni occasione. E men che meno nelle situazioni in cui ci sono di mezzo i sentimenti, tipo l'amore e la  felicità che con la logica hanno poco in comune.

Dopo aver detto tutto questo, ovviamente, mi trovo in difficoltà a darle delle risposte giuste, ma mi limiterò a spigarle qual è la mia, personale,  filosofia. Ovvero che non esistono risposte semplici e polarizzate (giusto - sbagliato) quando si tratta di affrontare problemi complessi. E gli esseri umani, sono, complessi. Ed ancora più complesse sono le loro interazioni.

Quindi se a lei serve una visione meno rigida le consiglierei di affiancare alla logica  Kantiana  anche altre riflessioni, come, ad esempio la Fuzzy Logic di Bart Kosko,
Senza contare che: la felicità è desiderare ciò che si ha (Buddah) e dunque essere contenti di ciò che si è.

Ci pensi su e mentre ci pensa, la invito a sorridere anche se le sembrerà del tutto illogico.

Saluti
Dott. Marco Emilio Ventura
Psicologo Psicoterapeuta Mental Cosch
Genova

Di Marco Ventura

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